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Il crimine dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità

L’uguaglianza di genere è, prima di tutto, un diritto umano. Implica che donne, uomini, ragazzi e ragazze di tutte le classi e razze partecipino come pari e abbiano pari valore.

Da un punto di vista legale, è definita come il principio secondo cui tutte le persone, indipendentemente dal loro genere, devono avere gli stessi diritti, doveri, opportunità e accesso alle risorse.

Questo principio è sancito in varie convenzioni internazionali, tra cui:

  • La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4/11/1950, che all’art 14 prevede il divieto di discriminazione anche fondata sul sesso , sulla “ nascita o ogni altra condizione” e prevede che il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella convenzione debbano essere garantiti ad ogni persona senza distinzione alcuna.
  • La Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1979. La CEDAW è considerata uno dei trattati fondamentali per la protezione e la promozione dei diritti delle donne. L’articolo 1 definisce “discriminazione contro le donne” come qualsiasi distinzione, esclusione o restrizione basata sul sesso che abbia l’effetto o lo scopo di compromettere o annullare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato civile, sulla base dell’uguaglianza con gli uomini, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo.
  • La Convenzione sulla parità di retribuzione (OIL – Convenzione n. 100), adottata dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) nel 1951, che richiede agli Stati membri di garantire la parità di retribuzione per un lavoro di pari valore, senza discriminazioni basate sul genere.

Le convenzioni internazionali attribuiscono agli Stati una chiara responsabilità non solo di legiferare a favore dell’uguaglianza di genere, ma anche di adottare tutte le misure necessarie per eliminare la discriminazione di fatto. Ciò include l’accesso alla giustizia, la disponibilità di rimedi efficaci e la possibilità di ottenere adeguate riparazioni e garanzie di non ripetizione.

Perché è necessaria la codificazione del crimine di apartheid di genere?

Il concetto di “apartheid di genere” non è ancora codificato nel diritto internazionale come crimine e il riconoscimento legale di tale crimine affronterà quella che è una lacuna importante nel diritto internazionale.

L’importanza di riconoscere e definire “apartheid di genere” come uno specifico crimine contro l’umanità, distinto dal crimine di apartheid sancito nello Statuto di Roma, risiede in diverse considerazioni fondamentali relative alla protezione dei diritti umani, alla giustizia internazionale e alla lotta contro la discriminazione sistematica.

Il crimine di apartheid, come definito nello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale (articolo 7 (1) (j)), si concentra sulla discriminazione razziale. Tuttavia, le dinamiche della discriminazione di genere hanno caratteristiche uniche che richiedono un’attenzione legale specifica. Le violazioni dei diritti umani basate sul genere, come la violenza sessuale, lo stupro, la negazione dei diritti riproduttivi e la segregazione di genere, non sono sempre adeguatamente affrontate sotto la semplice nozione di apartheid razziale.

Un crimine di “apartheid di genere” riconoscerebbe l’entità e la gravità della discriminazione di genere, affrontando specificamente le violazioni sistematiche che colpiscono ragazze, donne e individui non conformi al genere, in particolare le persone LGBTQI+.

Incorporare “apartheid di genere” nel corpus dei crimini contro l’umanità rafforzerebbe il quadro giuridico internazionale, consentendo indagini e azioni penali più efficaci per i crimini basati sulla discriminazione di genere. Aumenterà gli sforzi per combattere i regimi istituzionalizzati di oppressione e dominio sistematici imposti per motivi di genere. In effetti, il riconoscimento legale riconoscerebbe il tipo unico di vittimizzazione e amplierebbe le opportunità per le vittime di cercare giustizia e per le istituzioni internazionali di intraprendere azioni contro Stati, governi o entità che utilizzano e perpetuano tali sistemi di oppressione. Inoltre, creerebbe un precedente legale che potrebbe essere utilizzato per costruire giurisprudenza e fornire mezzi per affrontare le nuove forme di discriminazione di genere emergenti nel mondo contemporaneo.

Ad esempio, in Afghanistan il contesto storico della discriminazione di genere e la continuazione delle pratiche oppressive sotto i regimi recenti illustrano come le azioni attuali facciano parte di un sistema prolungato di apartheid di genere.

Definizione proposta per il crimine di apartheid di genere come crimine contro l’umanità

“Apartheid di genere significa qualsiasi atto, politica, pratica o omissione che, in modo sistematico e istituzionalizzato, è commesso da un individuo, uno stato, un’organizzazione, un’entità o un gruppo, con lo scopo o l’effetto di stabilire, mantenere o perpetuare il dominio di un genere sull’altro, attraverso la segregazione istituzionalizzata, l’oppressione o la discriminazione in ambito politico, economico, sociale, culturale, educativo, professionale o in qualsiasi altro ambito della vita pubblica e privata”.

Questi atti includono, ma non sono limitati a:

  • a) L’emanazione di leggi o politiche che negano, limitano o riducono i diritti fondamentali degli individui in base al loro genere;
  • b) L’uso di violenza fisica o psicologica, detenzione arbitraria o qualsiasi altra forma di coercizione per imporre il controllo di un genere sull’altro;
  • c) La segregazione sistematica e la limitazione dell’accesso alle risorse, all’istruzione, all’occupazione o alla partecipazione politica in base al genere;
  • d) La promozione di ideologie o pratiche che giustificano o legittimano il dominio e/o l’oppressione di un genere sull’altro”.

Spiegazione della proposta

La definizione di apartheid di genere nella formula proposta (atti, politiche o pratiche volte a perpetuare il dominio di un genere sull’altro) è coerente con la comprensione giuridica dell’apartheid come definita dalla Convenzione internazionale sulla repressione e la punizione del crimine di apartheid (1973) e ampliata nello Statuto di Roma (1998), che include il crimine di apartheid come crimine contro l’umanità. Questi quadri giuridici definiscono l’apartheid come dominio istituzionalizzato e oppressione sistematica, in genere basata sulla razza. La proposta di ampliamento basato sul genere di questo principio è giustificata, poiché la discriminazione di genere è stata storicamente una forma di oppressione pervasiva e istituzionalizzata.

Gli elementi chiave di questa definizione sono la segregazione istituzionalizzata, l’oppressione e la discriminazione, che sono state caratteristiche fondamentali dei regimi storici di apartheid. In questo contesto, l’apartheid di genere riflette politiche che escludono sistematicamente gli individui in base al genere dalla piena partecipazione alla vita sociale, economica e politica, rafforzando le strutture di dominio. Gli atti elencati, come le leggi discriminatorie, l’uso della violenza per imporre il controllo e la segregazione sistematica nell’accesso alle risorse, corrispondono a pratiche simili riconosciute nei sistemi di apartheid razziale. Ognuna di queste pratiche può essere osservata in regimi di discriminazione di genere, sia storicamente che attualmente, come il regime talebano in Afghanistan, dove alle donne è stato negato l’accesso all’istruzione, all’occupazione e alla libertà di movimento. Tali azioni, quando commesse in modo sistematico e istituzionalizzato, presentano sorprendenti somiglianze con le pratiche dell’apartheid. La proposta sottolinea che tali atti possono essere commessi non solo da attori statali, ma anche da attori non statali, come gruppi organizzati, il che riflette un crescente riconoscimento nel diritto internazionale del ruolo che gli attori non statali possono svolgere nel commettere e perpetuare gravi violazioni dei diritti umani. L’inclusione delle omissioni come forma di condotta criminale, in cui le autorità non agiscono per prevenire o punire la discriminazione o la violenza di genere, amplia ulteriormente l’ambito della responsabilità. Ciò è in linea con la giurisprudenza di casi come Opuz contro Turchia (2009) e Talpis contro Italia (2017) , in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che l’incapacità di uno Stato di proteggere le donne dalla violenza domestica violava i diritti umani.

Il concetto di apartheid di genere può essere situato nel quadro più ampio dell’intersezionalità, che esamina come varie forme di oppressione, come razza, classe e genere, interagiscono e si aggravano a vicenda. Gli studiosi del diritto come Catharine MacKinnon hanno a lungo sostenuto che l’oppressione delle donne è sistematica e dovrebbe essere intesa come una forma di subordinazione politica simile all’apartheid. In questo senso, la formula proposta si basa sulla teoria giuridica femminista, che vede la discriminazione di genere come una forma di stratificazione sociale e legale.

Inoltre, la proposta è in linea con le tendenze legali internazionali verso l’ampliamento della portata dei crimini contro l’umanità per includere i crimini di genere. Ad esempio, il Tribunale penale internazionale per il Ruanda (ICTR) e il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY) hanno riconosciuto la violenza sessuale come crimine contro l’umanità e atto di genocidio quando viene sistematicamente utilizzata come strumento di oppressione. Questi precedenti supportano l’inclusione della discriminazione sistematica basata sul genere come forma di apartheid.

1. SOGGETTI DEL REATO

  • Soggetto attivo

L’inclusione sia di individui che di entità collettive, come Stati e gruppi organizzati, è in linea con gli sviluppi del diritto penale internazionale, che riconosce la responsabilità degli individui per crimini contro l’umanità, riconoscendo anche il ruolo che istituzioni o entità possono svolgere nel consentire e far rispettare tali crimini. Questo duplice riconoscimento consente la responsabilità sia a livello individuale che sistematico. Nell’apartheid di genere, sia i regimi politici che i gruppi culturali o religiosi possono esercitare un controllo significativo sulle norme sociali e questa proposta consente un approccio sfumato per perseguire i crimini commessi da tali entità.

  • Soggetto passivo

La definizione di soggetto passivo come qualsiasi gruppo di persone identificate dal loro genere, comprese le donne e gli individui non conformi al genere, riflette la moderna comprensione del genere come costrutto sociale. Ciò è particolarmente importante in quanto amplia le protezioni oltre il tradizionale binario di uomini e donne, affrontando la discriminazione e l’oppressione affrontate dalla comunità LGBTQI+, che è stata sistematicamente oppressa in vari contesti, dalle leggi restrittive sull’espressione di genere agli attacchi violenti. Il riconoscimento della costruzione sociale del genere in questi termini implica la necessaria abrogazione dell’art. 7 co 3 del trattato di Roma.

2. CONDOTTA

La condotta si riferisce ad azioni, politiche, pratiche o omissioni deliberate che istituzionalizzano e perpetuano la discriminazione e l’oppressione sistematiche basate sul genere. La condotta dovrebbe mirare a creare, mantenere o rafforzare un sistema di dominio e/o oppressione di un genere sull’altro.

a) Elemento della condotta

La condotta dovrebbe essere parte di un sistema continuo di discriminazione e/o oppressione. Tale condotta può manifestarsi attraverso i seguenti atti:

1. Leggi e politiche discriminatorie:

  • Leggi e decreti che limitano i diritti civili e politici, come negare alle donne o ad altri gruppi di genere il diritto di voto, candidarsi o partecipare alla vita pubblica. Ad esempio, leggi che impediscono alle donne o agli individui non conformi al genere di ricoprire determinate posizioni o di accedere a professioni specifiche.
  • Politiche che limitano l’accesso all’istruzione e alla formazione, comprese pratiche educative che discriminano in base al genere, impedendo alle donne o agli individui non conformi al genere di accedere all’istruzione o a specifici campi di studio. o Leggi che impongono codici di abbigliamento o norme comportamentali basate sul genere, come l’obbligo per le donne di coprire parti del corpo o il divieto di guidare o viaggiare senza un accompagnatore maschile.

L’adozione di leggi e politiche discriminatorie sono chiari esempi di forme sistematiche e istituzionalizzate di apartheid di genere, volte a controllare, segregare e opprimere gli individui in base al genere. Queste leggi e politiche spesso riflettono norme e valori sociali radicati, rafforzando ulteriormente le disuguaglianze di genere sia nella vita pubblica che in quella privata.

2. Pratiche economiche e lavorative discriminatorie:

  • Pratiche che limitano l’accesso all’occupazione e alle risorse economiche, come divari salariali tra i sessi per lavori di pari valore o l’esclusione sistematica di donne o individui non conformi al genere da settori specifici.
  • Leggi e pratiche che impediscono alle donne o ad altri gruppi di genere di possedere, ereditare o controllare proprietà e risorse economiche.
  • Segregazione del lavoro basata sul genere, che relega un genere a lavori meno retribuiti o meno rispettati.

3. Controllo sociale e culturale:

  • Applicazione dei ruoli di genere tradizionali, limitazione  della autonomia e autodeterminazione le donne o altri gruppi di genere a ruoli domestici, ciò potrebbe includere la pressione sociale per il matrimonio forzato o la maternità.
  • Violenza di genere come strumento di controllo, come tolleranza o promozione della violenza domestica, mutilazione genitale femminile o “correzione” violenta di individui non conformi al genere.
    • La violenza di genere è un potente strumento utilizzato per far rispettare le gerarchie di genere e controllare le donne e gli individui non conformi al genere. Questa violenza può assumere molte forme, tra cui violenza domestica, violenza sessuale, mutilazione genitale femminile (MGF) e la cosiddetta violenza “correttiva” contro coloro che non si conformano ai ruoli di genere tradizionali. In molti casi, questi atti di violenza sono tollerati, normalizzati o persino promossi all’interno della società, rafforzando ulteriormente la subordinazione di un genere rispetto a un altro. Questo tipo di violenza non è solo un’espressione di aggressione individuale, ma è spesso tollerata da norme o pratiche sociali che considerano le donne e le minoranze di genere inferiori o bisognose di controllo. Rappresenta una grave forma di apartheid di genere, in cui la violenza è sistematicamente utilizzata per imporre la subordinazione di genere e negare agli individui il loro diritto alla sicurezza, all’autonomia e all’uguaglianza.

4. Esclusione sistemica dai diritti e dai servizi:

  • Negazione dell’accesso ai servizi sanitari essenziali, tra cui la salute riproduttiva, la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili e i servizi di salute mentale. o Esclusione dai sistemi giudiziari che negano alle donne o agli individui non conformi al genere l’opportunità di cercare un risarcimento legale per crimini o violazioni dei diritti, come i tribunali che non riconoscono la loro testimonianza o applicano standard di prova più severi per i crimini basati sul genere.
  • Privazione della libertà personale, comprese restrizioni alla circolazione, all’organizzazione politica e alla partecipazione alle proteste.

L’esclusione sistemica dai diritti e dai servizi essenziali è un pilastro fondamentale dell’apartheid di genere, in cui agli individui, in particolare alle donne e alle persone non conformi al genere, viene deliberatamente negato l’accesso a servizi essenziali e protezioni legali. Queste esclusioni rafforzano e sostengono la disuguaglianza di genere rendendo difficile o impossibile per i gruppi emarginati vivere liberamente, accedere all’assistenza sanitaria, cercare giustizia e partecipare pienamente alla società.

5. Propaganda e incitamento all’odio:

  • Promozione di ideologie che affermano l’inferiorità di genere attraverso i media, la propaganda o la retorica politica, giustificando la discriminazione, il dominio e/o l’oppressione e diffondendo stereotipi dannosi.
  • Normalizzazione della discriminazione di genere, del dominio e/o dell’oppressione attraverso l’istruzione, la cultura popolare o dichiarazioni ufficiali di leader politici o religiosi.

La propaganda e l’incitamento all’odio sono potenti strumenti utilizzati per sostenere l’apartheid di genere promuovendo ideologie che giustificano la subordinazione di un genere all’altro. Attraverso la deliberata diffusione di stereotipi dannosi, queste tattiche rafforzano le norme sociali che legittimano la discriminazione e l’oppressione basate sul genere. Tali ideologie sono spesso radicate nei media, nella retorica politica, nei sistemi educativi e nella cultura popolare, favorendo un ambiente in cui la disuguaglianza è normalizzata e persino celebrata. La propaganda e l’incitamento all’odio mantengono l’apartheid di genere attraverso la promozione dell’inferiorità di genere e la normalizzazione della discriminazione di genere. In particolare,

b) Forme di condotta

  • Imposizione diretta: la condotta può essere imposta direttamente tramite minaccia o forza legale o fisica, come l’applicazione di leggi discriminatorie o l’uso della violenza per sostenere le norme di genere.
  • Supporto o tolleranza istituzionale: la mancanza di azioni per reprimere pratiche o politiche discriminatorie può anche integrare la condotta quando uno stato, un governo o un’istituzione sostiene indirettamente la discriminazione, il dominio e/o l’oppressione di genere.
  • Controllo sistemico: la condotta può essere parte di un quadro di controllo sistemico che include non solo leggi e politiche, ma anche applicazione selettiva, controllo dei media ed educazione per mantenere la superiorità di genere, il dominio e/o l’oppressione.

c) Impatto della condotta

L’obiettivo dell’apartheid di genere è quello di mantenere e rafforzare una gerarchia di genere che perpetua la disuguaglianza e l’oppressione in modo che gli individui di un certo genere rimangano svantaggiati in tutti gli aspetti della vita sociale, politica ed economica. Gli effetti degli atti includono:

  • Creazione di un sistema di disuguaglianza strutturale cronica, che causa danni psicologici, fisici, economici e sociali al gruppo oppresso.
  • Perpetuazione di stereotipi di genere, che giustificano la subordinazione e la discriminazione, causando un ciclo a lungo termine di privazione di potere ed esclusione.

La condotta dell’apartheid di genere ha conseguenze profonde e di vasta portata sulla società, con il suo scopo finale di rafforzare e mantenere una rigida gerarchia di genere. Questo sistema garantisce che determinati generi, in genere donne e individui non conformi al genere, rimangano svantaggiati in tutti gli ambiti della vita, socialmente, politicamente ed economicamente. Gli impatti di questa condotta sono devastanti, radicano la disuguaglianza e perpetuano cicli di oppressione e privazione di potere. In particolare:

1. Disuguaglianza strutturale cronica

L’apartheid di genere crea un sistema di disuguaglianza strutturale cronica che si manifesta in varie forme di danno, psicologico, fisico, economico e sociale. Questa disuguaglianza strutturale è intessuta nel tessuto della società, assicurando che le donne e le minoranze di genere affrontino barriere sistemiche alle opportunità e alle risorse, mentre il gruppo di genere dominante (in genere gli uomini) beneficia di privilegi e potere duraturi.

  • Danno psicologico: il costante rafforzamento dell’inferiorità e della subordinazione causa danni psicologici a lungo termine.
  • Danni fisici: l’apartheid di genere provoca anche danni fisici diretti, in particolare attraverso l’uso della violenza per far rispettare le norme di genere e mantenere il controllo. Ciò può includere violenza domestica, omicidi d’onore, matrimoni forzati, mutilazioni genitali femminili e punizioni fisiche per non conformità di genere.
  • Danni economici: l’impotenza economica è una componente critica dell’apartheid di genere, in cui alle donne e alle minoranze di genere viene sistematicamente negato l’accesso all’istruzione, all’occupazione e alle risorse economiche.
  • Danno sociale: l’apartheid di genere favorisce l’esclusione dalla vita pubblica, con donne e minoranze di genere spesso escluse dalla partecipazione politica, dai ruoli decisionali e dalle posizioni di leadership. Questa esclusione porta all’emarginazione di interi gruppi dal progresso e dallo sviluppo della società.

2. Ciclo a lungo termine di privazione del potere ed esclusione

La condotta dell’apartheid di genere stabilisce un ciclo a lungo termine di privazione del potere ed esclusione, in cui ai generi emarginati vengono sistematicamente negate le opportunità di sfuggire all’oppressione. Ogni generazione eredita e perpetua la disuguaglianza e gli stereotipi della precedente, rafforzando l’idea che l’attuale gerarchia di genere sia naturale o immutabile.

  • Impatto intergenerazionale: l’apartheid di genere non colpisce solo coloro che vivono sotto di essa, ma anche le generazioni future.
  • Sviluppo sociale ed economico: l’esclusione a lungo termine delle donne e delle minoranze di genere dai ruoli critici nella società impedisce anche lo sviluppo sociale ed economico generale.. Gli studi hanno dimostrato che una maggiore uguaglianza di genere porta a una maggiore prosperità economica, poiché più individui sono in grado di partecipare pienamente alla forza lavoro e contribuire al progresso sociale.

 3. ELEMENTO SOGGETTIVO: INTENZIONE E CONSAPEVOLEZZA

a) Mens Rea (Intenzione)

L’elemento soggettivo del crimine di apartheid di genere va oltre la semplice intenzione di discriminare. Comporta la consapevolezza e l’accettazione della gravità e della natura sistematica della discriminazione, con l’intenzione di mantenere o rafforzare la subordinazione di un gruppo di persone in base al loro genere. Ciò significa una volontà consapevole di dominare, controllare o soggiogare un gruppo specifico in base al genere. In genere, ciò comporta il mantenimento di una struttura sociale e politica che perpetua la superiorità di un genere, spesso maschile rispetto a quello femminile, attraverso leggi, politiche o pratiche che pongono un genere in una posizione subordinata o emarginata, privandolo di diritti e opportunità fondamentali.

Gli autori devono essere consapevoli che le loro azioni o politiche si tradurranno in discriminazione, dominazione o oppressione e sofferenza di un gruppo di persone in base al genere. Anche se non è l’intento primario, gli autori devono accettare la discriminazione e la disuguaglianza risultanti come inevitabili o accettabili.

Pertanto, la mens rea, o elemento soggettivo, implica una consapevolezza e un’accettazione specifiche della gravità e della natura sistemica della discriminazione, con l’intenzione di mantenere o rafforzare la subordinazione di un gruppo basato sul genere.

b) Prova dell’elemento soggettivo

Per stabilire l’elemento soggettivo in un contesto giudiziario, possono essere utilizzate varie forme di prova, tra cui:

  • Documentazione ufficiale: leggi, regolamenti, decreti e politiche ufficiali che dimostrano esplicitamente o implicitamente l’intenzione di perpetuare la discriminazione di genere. Questi documenti possono servire come prova diretta dell’intenzione di creare e/o mantenere un sistema discriminatorio.
  • Dichiarazioni pubbliche: discorsi, dichiarazioni o altri atti comunicativi degli autori che esprimono l’intenzione di sostenere un sistema di supremazia di genere. Queste dichiarazioni possono evidenziare la consapevolezza dell’autore degli effetti delle proprie azioni e la sua deliberata intenzione di continuare tali pratiche.
  • Pratiche istituzionali: prova che le istituzioni statali o altre organizzazioni implementano costantemente pratiche discriminatorie contro uno specifico gruppo di genere. Ciò può includere registrazioni di come le politiche vengono applicate nella pratica, dimostrando un approccio sistematico all’esclusione e alla disuguaglianza basate sul genere.

 

Proposta del C.I.S.D.A. (Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afgane) inviata Sesta Commissione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la lettera che puoi leggere qui, redatta con la collaborazione giuridica della Dot.ssa Laura Guercio, (avvocato e professoressa, attualmente SG Universities Network for Children in Armed Conflict, membro del Consiglio dell’European Law Institute, esperta OSCE) e della Dot.tssa Paolina Massidda, (avvocato penalista internazionale specializzata in crimini di genere e crimini che colpiscono i bambini. Avvocato principale dell’Office of Public Counsel for Victims (OPCV) indipendente presso la CPI. Membro del comitato consultivo dell’UNETCHAC)

Lettera all’ONU per il riconoscimento dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità

Alla Sesta Commissione

Assemblea Generale delle Nazioni Unite

 

l’Associazione C.I.S.D.A. (Coordinamento Italiano a Sostegno delle Donne Afghane) con la presente nota intende fornire un contributo ai lavori in corso nell’ambito della Sesta Commissione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulla Convenzione dei Crimini contro L’Umanità, per chiedere che venga presa in esame l’introduzione del crimine di “apartheid di genere” nella proposta di Convenzione sulla prevenzione e la punizione dei crimini contro l’Umanità.

Vi inviamo pertanto in allegato la nostra analisi e proposta di definizione del reato di “apartheid di genere”, affinché la stessa possa essere presa in considerazione nelle modalità ritenute più opportune. Tale proposta, che vuole avere una valenza generale per ogni situazione che in essa vi rientri, trova però la sua origine nella crescente consapevolezza di governi, istituzioni internazionali, Associazioni della società civile ed attiviste per i diritti umani che ciò che si sta compiendo in Afghanistan è un crimine contro l’umanità la cui tipologia non è ancora pienamente riconosciuta dai Trattati esistenti e dalle Convenzioni internazionali.

Come emerge dal più recente Report dello Special Rapporteur sull’Afghanistan del Human Rights Council del giugno 2024, il Paese rappresenta il caso più emblematico di applicazione di un sistema pervasivo, metodico ed istituzionalizzato di oppressione e segregazione delle donne e delle ragazze, rafforzato da editti e politiche che le sanzionano violentemente e impongono privazioni dei diritti fondamentali. Le testimonianze delle attiviste per i diritti umani che operano nel Paese e con le quali CISDA è in contatto ci riportano lo stato di grave depressione mentale e il maggior numero di suicidi delle donne come unica possibilità di fuga da una vita condannata alla paura e alla reclusione.

Uniamo la nostra voce a quella del Relatore Speciale nel ritenere che l’inclusione del crimine di apartheid di genere nel “Trattato sulla prevenzione e la punizione dei crimini contro l’Umanità” possa sostenere la comunità internazionale in una vigorosa azione di condanna e messa al bando di coloro – individui, governi di fatto, stati e regimi politici – che applicano violazioni sistematiche e istituzionalizzate di genere.

Il C.I.S.D.A. opera dal 1999 a stretto contatto con Associazioni di attiviste tra le quali la principale è R.A.W.A. (Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane) che, nel proprio Paese, attiva da decenni, in clandestinità, progetti umanitari a sostegno di donne, bambini e della popolazione civile in stato di necessità. Le attiviste di R.A.W.A. affiancano al lavoro umanitario la denuncia politica sulle gravi violazioni dei diritti umani e sui crimini commessi non solo dall’attuale regime dei talebani ma, a partire dalla fine degli anni ‘70, anche dai fondamentalisti e dai signori della guerra che hanno ricoperto incarichi di rilievo nei precedenti governi della Repubblica Islamica. E’ a partire da quel periodo che sono iniziati, e continuano tuttora, i finanziamenti e il sostegno da parte di potenze regionali e internazionali a criminali che hanno preso il controllo dell’intera società afghana per più di quaranta anni rendendo impossibile lo sviluppo di una società laica e democratica e un processo di reale autodeterminazione per il popolo afghano.

Per C.I.S.D.A. e per le donne di RAWA, l’apartheid di genere si sviluppa in Afghanistan proprio da questi fatti drammatici ed è frutto di una violenza sistemica che scaturisce dalla drammatica sinergia tra fondamentalismo religioso, conflitti armati, corruzione dilagante negli organi preposti al governo di fatto del Paese, traffico di armi, droghe ed esseri umani, cambiamento climatico, crisi umanitarie, migrazioni forzate e terrorismo.

Ciò che avviene oggi nell’Afghanistan governato dal regime talebano è ancor più grave per la comunità internazionale in quanto si assiste ad una normalizzazione in atto della condizione di totale negazione dei diritti umani nei confronti del popolo afghano e in particolare delle donne, delle bambine e degli individui LGBTQI+.

Per questi motivi, plaudiamo all’impegno e alla leadership del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite nel riconoscimento e la condanna a livello internazionale del grave crimine di apartheid in un’ottica di genere, consolidando così per tutti gli individui nel mondo, indipendentemente dal genere, il principio di eguali diritti tra donne e uomini sancito dalla Dichiarazione Universale dei diritti Umani delle Nazioni Unite.

In conformità alle raccomandazioni dello Special Rapporteur sull’Afghanistan del Human Rights Council, riteniamo però che tale processo non possa essere disgiunto dalla necessità che gli Stati membri delle Nazioni Unite non riconoscano in nessun modo il governo di fatto dell’Afghanistan, mettano al bando il fondamentalismo talebano con provvedimenti urgenti, impediscano finanziamenti e rifornimenti militari da parte di Paesi amici, estromettano rappresentanti del governo di fatto da incontri della diplomazia internazionale e non li convochino alle riunioni delle Nazioni Unite. Azioni queste che legittimano un regime che continua a violare i diritti umani delle donne e gli obblighi legali internazionali dell’Afghanistan.

La proposta che presentiamo in allegato è stata redatta con la collaborazione giuridica della Dot.ssa Laura Guercio, (avvocato e professoressa, attualmente SG Universities Network for Children in Armed Conflict, membro del Consiglio dell’European Law Institute, esperta OSCE) e della Dot.tssa Paolina Massidda, (avvocato penalista internazionale specializzata in crimini di genere e crimini che colpiscono i bambini. Avvocato principale dell’Office of Public Counsel for Victims (OPCV) indipendente presso la CPI. Membro del comitato consultivo dell’UNETCHAC)

Distinti saluti

 

C.I.S.D.A. (Coordinamento Italiano a Sostegno delle Donne Afghane)

Report CENTRO EDUCATIVO nell’Ovest dell’Afghanistan

Negli ultimi mesi il lavoro del Centro educativo, realizzato da una delle associazioni afghane che CISDA sostiene, è aumentato in modo significativo. Siamo partite con 50 studenti e studentesse, che ora è una comunità fiorente formata da circa 350 ragazzi e ragazze volenterosi. I nostri corsi includono lo studio di inglese, dari, e disegno, e offrono un’esperienza educativa a tutto tondo. Operativo sei giorni alla settimana dalle 8 alle 17, il Centro offre un ambiente di apprendimento coerente e accessibile a tutte e tutti.

Il Centro educativo, un faro di speranza

Durante i tre mesi di vacanza nel rigido inverno afghano, spesso i bambini rimangono a casa. In quei mesi sono poche le famiglie che possono permettersi di mandare i loro figli in centri di apprendimento privati. Per venire incontro a questa necessità, abbiamo organizzato corsi speciali e attività durante la pausa invernale, che sono stati ben accolti dai nostri studenti e studentesse e dalle loro famiglie. In Afghanistan, le sfide poste dalla presenza dei talebani hanno reso estremamente difficoltoso per le ragazze accedere all’istruzione. Molti centri educativi che fornivano opportunità educative per ragazze più adulte sono stati costretti a chiudere. Nell’Ovest, così come in altre parti del paese, le regole dei talebani sono ferree riguardo al modo in cui le donne si devono vestire, alla limitazione della loro libertà di circolazione e alle opportunità educative.

Nonostante questi ostacoli, il nostro Centro educativo rimane un faro di speranza per i nostri studenti e studentesse. Le riunioni regolari tra gli insegnanti e i genitori favoriscono la collaborazione e il feedback, e le preziose informazioni che ci vengono direttamente dalla comunità consentono di arricchire i nostri programmi.

Recentemente è stato organizzato un concorso di disegno che ha messo in luce la creatività dei nostri studenti e delle nostre studentesse, e le opere più meritevoli sono state esposte in modo ben visibile all’interno del Centro.

Nell’ottobre 2023, i nostri studenti e le nostre studentesse si sono riuniti per celebrare la Giornata degli insegnanti e onorare la dedizione e il duro lavoro dei nostri educatori ed educatrici. Sono stati condivisi poesie, articoli e canzoni, e gli insegnanti hanno ricevuto segni di apprezzamento. Un sentito discorso ha sottolineato il potere trasformativo dell’educazione e dell’apprendimento per creare un futuro migliore.

I nostri studenti e le nostre studentesse sono spinti a eccellere anche attraverso esami settimanali e mensili; chi raggiunge i migliori risultati riceve un premio. Al termine di ogni ciclo di studi, vengono consegnati certificati e schede di valutazione, così che i ragazzi e le ragazze siano consapevoli dei loro progressi.

Oltre alle attività curricolari, i nostri studenti e studentesse hanno accesso a proiezioni settimanali di film educativi; i più gettonati sono stati i documentari di geografia.

Le donne raccontano

A., una studentessa di 12 anni, riflette sul lavoro del Centro, e sugli ostacoli che deve superare per coltivare la sua passione per l’inglese. “Sono entusiasta di aver trovato questo centro vicino a casa mia”, condivide. “Ho già ampliato il mio vocabolario di inglese e sono ansiosa di continuare ad imparare.”

Oltre che continuare a incoraggiare e a dare forza ai nostri studenti e studentesse attraverso l’istruzione, il Centro educativo è impegnato per promuovere un ambiente di apprendimento solidale e inclusivo per tutti e tutte.

Il lavoro del Centro educativo ha un forte impatto sulla vita dei suoi studenti e delle sue studentesse, in particolare quelli provenienti da contesti più svantaggiati.

S., che fa parte di una famiglia povera di 10 persone, condivide la sua gratitudine per il Centro, che offre i corsi quasi gratuitamente. Suo padre, pur essendo analfabeta, apprezza l’educazione e ha mandato al centro quattro dei suoi figli. S. apprezza gli insegnanti laboriosi e compassionevoli, evidenziando potenziale trasformativo del Centro per famiglie povere come la sua.

A., una studentessa di 12 anni che frequenta la quinta elementare in una scuola privata, ha paragonato i suoi lenti progressi nell’apprendimento di base con il rapido avanzamento che ha sperimentato al Centro. È partita dal primo livello di lingua dari, ora legge con sicurezza e scrive, e ha sottolineato l’efficacia del centro nel promuovere la crescita accademica.

H., una ragazza di 15 anni a cui è stata negata l’istruzione a causa della chiusura delle scuole imposta dai talebani, temeva che la sua famiglia la obbligasse a un matrimonio precoce. Determinata a continuare gli studi, ha convinto la sua famiglia e si è iscritta alle lezioni di dari e di inglese presso il Centro. H. ha parlato dell’impatto che ha avuto l’istruzione sulla sua vita, sulle sue capacità e sulla sua autostima, e ora immagina un futuro migliore grazie alle nuove opportunità di apprendimento.

R., una studentessa di 16 anni che deve percorrere una distanza considerevole per raggiungere il Centro, ha riflettuto sulla sua istruzione, interrotta al settimo anno dopo che, a partire dall’agosto 2021, è stato imposto alle ragazze il divieto di andare a scuola. Nonostante debba superare grossi ostacoli, è dedicata ai suoi studi e promuove i centri educativi come spazi vitali per le ragazze, affinché si liberino dalle regole disumane dei talebani. La resilienza e la determinazione R. dimostrano l’importanza dell’istruzione accessibile per le comunità marginalizzate.

S., una madre di 40 anni con un forte desiderio di imparare, ha sottolineato l’importanza dell’istruzione e partecipa attivamente alle lezioni del Centro insieme ai suoi figli. Il divario di età con le sue compagne di classe non le crea problemi, e la sua sete di conoscenza simboleggia il ruolo del Centro nel dare a individui di tutte le età la possibilità di avere opportunità di apprendimento.

Grazie dagli organizzatori

L’Organizzazione afghana che promuove questi corsi è grata ai suoi sostenitori e sostenitrici per averle consentito di continuare la sua missione in circostanze difficili per le donne afghane.

L’Organizzazione è impegnata in diversi progetti umanitari, ma ritiene che i progetti educativi, che comprendono corsi clandestini, centri educativi, scuole e programmi di alfabetizzazione, siano un pilastro fondamentale.

L’Organizzazione è impegnata contro l’estremismo religioso e l’oppressione, ma rimane dedicata alla promozione di consapevolezza e all’educazione come strumenti essenziali nella lotta contro ingiustizie sociali portate avanti da gruppi fondamentalisti come i talebani

Zohra Orchestra – Keeping The Music Alive

Questo video è un estratto, sottotitolato in italiano da CISDA, del film originale pubblicato da CNA INSIDER! nell’ottobre 2022, con i sottotitoli in inglese. La Zohra Orchestra, il primo e unico ensemble musicale tutto femminile dell’Afghanistan, ha avuto una storia di successo globale. Erano un simbolo di libertà. Quando i talebani hanno ripreso il controllo nell’agosto 2021, la vita di queste ragazze è stata sconvolta e questa prima parte del film racconta come è nata l’orchestra, quello che facevano prima del ritorno dei talebani e cosa è successo alla loro ripresa del potere. Per vedere il film originale integrale clicca qui

Mentre la seconda parte, originale e sottotitolata in inglese, è disponibile qui 

OPAWC Report – Team sanitario mobile di Hamoon in visita nel distretto di Nari, Kunar

Il team sanitario mobile di Hamoon ha visitato la provincia di Kunar nell’Afghanistan orientale che gode di un bellissimo paesaggio, con alte montagne verdi e un grande fiume. Infatti, Kunar è famosa per le sue foreste verdi e il suo bellissimo fiume. Abbiamo scelto Nari, che è il distretto più grande di Kunar.

Crimini contro la popolazione

Durante il viaggio ciò che più ha attirato la nostra attenzione sono stati i resti di molte basi americane che vengono attualmente utilizzate dai Talebani. Sebbene gli Stati Uniti siano arrivati in Afghanistan con l’apparente motivazione di garantire i diritti delle donne e di combattere il terrorismo, siamo venuti a conoscenza di crimini scioccanti commessi contro la popolazione di Kunar, soprattutto donne, da parte delle truppe USA, del loro governo fantoccio e dei Talebani. Sembra si tratti del più alto numero di delitti d’onore e di assassinii di ex soldati militari avvenuti negli ultimi vent’anni e tenuti segreti dal governo di Ghani.

Una delle più grandi basi militari statunitensi si trovava nel centro del distretto di Nari. Secondo diverse testimonianze, cinque donne afgane provenienti dagli Stati Uniti in qualità di interpreti per le truppe americane sono state uccise dalle stesse truppe, e dopo un po’ di tempo i corpi di queste donne sono stati rinvenuti nelle valli del distretto. A pochi passi da una delle basi militari statunitensi è sorto un gruppo di milizie dell’ISIS che, secondo le testimonianze della gente, era sostenuto dagli Stati Uniti.

Il lavoro dell’équipe mobile di Hamoon

La nostra équipe composta da due medici, un uomo e una donna, e da due farmacisti, ha curato pazienti di tre diversi villaggi.

Il 13 dicembre 2023, la Squadra Sanitaria Mobile di Hamoon si è recata in un villaggio chiamato Machmana, composto da circa 100 famiglie. Il team ha visitato più di 150 pazienti. La clinica più vicina era a chilometri di distanza e per raggiungerla le persone dovevano camminare almeno un’ora. Inoltre, erano presenti solo un medico uomo e un’ostetrica, personale insufficiente per i bisogni della gente. I bambini della zona soffrivano di malattie stagionali e le famiglie non erano in grado di pagare le cure né di acquistare le medicine necessarie.

Il secondo giorno il nostro team sanitario si è recato nel villaggio di Salam Sangi. La popolazione era molto povera e soffriva di varie malattie. Sono stati curati 200 pazienti. La priorità è stata data alle donne e ai bambini. Le malattie più comuni in questo villaggio erano anemia tra le donne a causa di un’alimentazione molto povera e le pessime condizioni ginecologiche dovute a matrimoni di minorenni.

La maggior parte delle donne non poteva recarsi in clinica a causa delle difficili condizioni economiche e si lamentava dei costi elevati dei medici e dei farmaci. Stress e depressione erano visibili sui volti delle donne e dei bambini.

Le malattie della pelle dei bambini erano molto comuni e si ritiene che l’umidità della zona, dovuta alla vicinanza al fiume, sia una delle cause principali. Un’altra causa è dovuta all’inquinamento dell’aria per via delle esercitazioni militari effettuate nel passato dagli USA e dai Talebani nelle aree montuose del distretto di Nari.

Le donne raccontano

Le donne hanno raccontato storie di vita molto dolorose.

All’età di quindici anni, Marzia viene costretta senza il suo consenso a sposare un uomo con problemi mentali. La violenza del marito e il pesante lavoro domestico quotidiano le hanno piegato la schiena. Marzia non conosce i suoi diritti fondamentali perché è priva di istruzione, e pensa che la sfortuna sia la causa della sua attuale situazione. Ha due figli il cui volto mostra la miseria della loro povera vita.

Sakina ha diciotto anni e si è sposata due anni fa. Ha un problema ginecologico a causa del quale ha perso due volte due bambini a sette e nove mesi di gravidanza. Inoltre, un bambino di due mesi è morto nel suo grembo, ma a causa della mancanza di denaro, non si è potuta recare da un medico per abortire.

Adela è madre di sei figli. È venuta dal villaggio di Shah Masir per farsi curare. All’età di tredici anni suo padre l’ha costretta a sposare un uomo cieco da entrambi gli occhi. Fortunatamente è istruita e ha potuto lavorare in una scuola privata. È riuscita a studiare e ottenere il permesso di lavorare. Tutta la famiglia dipende economicamente da lei.

Adela ha raccontato molte storie di delitti d’onore nel suo villaggio. Una donna, madre di sei figli, è stata uccisa dal marito perché era innamorata di un altro uomo, anch’egli ammazzato dal marito in un’imboscata. I Talebani hanno convocato il marito nel loro dipartimento di sicurezza e si sono congratulati con lui per l’omicidio della donna e dell’uomo. Un altro ragazzo insieme alla ragazza che amava e alla sorella che li ha aiutati a fuggire, sono stati catturati dal fratello della ragazza e tutti e tre sono stati fucilati nello stesso giorno.

Nella maggior parte dei villaggi del distretto di Nari è consuetudine che se una ragazza fugge con un ragazzo, entrambi vengano uccisi per evitare faide familiari.

Laila era una bella ragazza che si era innamorata di un soldato dell’esercito nazionale. Entrambi parlavano al cellulare e si si scambiavano foto. Il ragazzo, arrestato dai talebani, ha cercato di distruggere il suo telefono in modo che la sua conversazione e le sue foto con Laila non venissero divulgate, ma non ce l’ha fatta. I Talebani hanno ucciso il ragazzo e hanno diffuso nella zona le foto di Laila e le loro conversazioni. Venuto a conoscenza della relazione di Laila, il fratello ha preso la pistola per ucciderla; lei ha lottato a lungo per sopravvivere e ha ferito il fratello al volto con le unghie, ma non è riuscita a fermarlo. La storia di Laila è nota tra gli abitanti del villaggio.

Il 15-12-2023 il nostro team sanitario si è recato nel villaggio di Nari, ha visitato i pazienti e ha somministrato i medicinali necessari. Poiché l’arrivo del team era già stato annunciato attraverso l’altoparlante della moschea, sono arrivate anche persone dai villaggi vicini. I nostri medici hanno curato un totale di 270 pazienti, inclusi bambini e donne. Raffreddore, mal di gola, ipertensione e malattie della pelle erano fra i disagi più comuni. Le persone si lamentavano del fatto che non potevano permettersi visite mediche a causa del costo delle medicine e della parcella del medico. Il loro unico reddito proviene dalla coltivazione della terra e riescono a malapena a pagare le spese di cibo e vestiti.

Nello stesso villaggio, infatti, c’è una clinica privata, ma la gente non può andarci a causa del costo eccessivo delle cure. Marzia si era recata dal medico per un’allergia e le è stato somministrato un farmaco stimolante senza essere stata prima sottoposta alle analisi necessarie. Questo farmaco le ha provocato un’infiammazione polmonare e Marzia ha iniziato a perdere peso. Sua sorella, che è un’insegnante, spende tutto il suo stipendio per curare Marzia, ma senza risultati positivi.

Una bambina di cinque anni soffriva di un’infiammazione della vescica perdendo sempre sangue nelle urine. La madre si è recata molte volte dai medici, ma la figlia non è guarita. La stessa madre era molto debole e soffriva di anemia.

Le persone erano felici e soddisfatte dell’ottima qualità dei medicinali forniti dalla nostra équipe. Hanno detto che era la prima volta che vedevano un team sanitario nel villaggio con medici esperti. Ogni giorno, alla fine delle visite e dei trattamenti medici, parlavamo con le persone dei loro problemi e delle loro condizioni di vita. La gente del posto ci ha accolto calorosamente e ci ha fatto visitare dei bellissimi luoghi nei loro villaggi.

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    RAWA Report – Distribuzione del cibo a Herat, dicembre 2023

    Una coppia con un figlio disabile ha speso tutti i suoi averi per le sue cure. Con l’arrivo dei talebani, il recente terremoto e disordini in città, il reddito del capofamiglia, che è un camionista e vive in un’umile casa di una sola stanza, non è più sufficiente a sostenere le loro vite.

    Afghanistan provincia di Herat

    Questa donna trascorre giorni e notti in una casa danneggiata con tre bambini e uno in arrivo. Suo marito è un lavoratore a giornata ed è difficile per lui trovare lavoro in città. Soffre anche di asma e diabete ma non ha abbastanza soldi per le cure.

    Afghanistan provincia di Herat

    Una giovane donna gravemente malata, madre di un bambino. La loro casa è in una delle zone più povere della città di Herat che è stata danneggiata nei vari periodi di guerra e del recente terremoto. A causa della povertà non è in grado di curarsi. È preoccupata di ammalarsi durante l’inverno poiché vive in un seminterrato buio e umido.

    Afghanistan provincia di Herat

    La calzolaia, il cui marito è disabile ad entrambe le mani e non può avere alcuna attività, lavora tutti i giorni con la sua piccola figlia sul ciglio della strada fino a sera. Si è lamentata del fatto che i talebani le hanno impedito di lavorare e l’hanno minacciata molte volte di togliere i suoi attrezzi ed andarsene.

    Afghanistan provincia di Herat

    Una donna deve mantenere sia i figli sia i nipoti dopo la morte del fratello (a seguito di un attacco suicida vicino al posto di lavoro). La cognata si è risposata ma ha lasciato i figli. Questa signora si è rivolta più volte al Ministero dei Martiri e degli Handicappati (per ricevere assistenza sociale) chiedendo aiuto, ma, essendo donna, è stata allontanata con minacce e insulti.

    Afghanistan provincia di Herat

    Una madre single (il marito era tossicodipendente ed è scomparso in Iran), deve prendersi cura anche del padre malato e ricoverato in ospedale. Avrebbe avuto un piccolo reddito affittando due stanze nella parte superiore della loro casa, ma a causa del terremoto sono crollate. Ora non ha modo di lavorare perché non può lasciare il suo anziano padre da solo e il suo bambino di sei anni.

    Afghanistan provincia di Herat

    Madre di tre figli, il cui marito è caduto durante lavori di costruzione in Iran perdendo la vita. Diverse parti della sua casa sono crollate a causa del recente terremoto, ma lei non ha i soldi per ripararle. Ogni sera a casa prepara cibi per il figlio dodicenne che li venderà per strada in modo che possano ottenere un piccolo guadagno.

    Afghanistan provincia di Herat

    I figli di questa donna vivono del lavoro giornaliero della loro mamma  (soprattutto pulisce e lava le case). Suo marito è scomparso in Iran da quattro anni e non si hanno più informazioni. Tre famiglie vivono insieme e per ridurre i costi dividono l’affitto di una casa di tre stanze.

    Afghanistan provincia di Herat

    Seema non era in casa perché impegnata a fare il bucato e le pulizie di altri dalla mattina alla sera. L’anziana nonna si prende cura ogni giorno dei suoi nipoti affinché la nuora, il cui marito è alcolizzato e violento, può preparare un boccone di pane per la famiglia.

    Afghanistan provincia di Herat

    Una grande famiglia vive sotto lo stesso tetto (madre, figlia e nuora possedendo ognuno una sola stanza). La suocera e la nuora sono entrambe vedove e la figlia sopravvive solo con il lavoro quotidiano del marito. Tutti i membri della famiglia sono impegnati a raccogliere la spazzatura dalla mattina alla sera.

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