Shahzia, Kabul
Ho 31 anni e sono della provincia di Kabul. Ho studiato, sono insegnante e avevo uno stipendio.
Mi piaceva tanto il mio lavoro, i bambini mi volevano bene. Poi mi sono sposata e tutto è finito.
Una vita perduta. La famiglia di mio marito ha una mentalità chiusa, mio cognato non mi permette di lavorare fuori casa.
È una vergogna per una donna, dicono, una vergogna per la famiglia. Ma anche vivere di stenti con l’elemosina degli altri è una vergogna. Ho 4 figli e un marito che non può lavorare. Il mio lavoro sarebbe indispensabile. Ha molti problemi di salute, ai piedi, allo stomaco, alla testa. Anch’io ho problemi di salute, ginecologici e ai reni.
Ma i soldi per curarci non ci sono. Siamo tutti un peso per la famiglia di mio marito. È la dignità che mi manca, la dignità di vivere con le proprie risorse, la possibilità di essere curati e capaci di provvedere a noi stessi. Ci penso tutti i giorni. Una soluzione c’è, l’unica possibile: un lavoro da fare a casa, so cucire bene e potrei anche insegnarlo…
Aggiornamenti
Il primo aiuto di Maria Pia e Laura serve per la salute di Shahzia e del marito. Non si sono mai curati e la loro situazione è critica.
Finalmente possono farlo e i bambini vanno a scuola anziché a lavorare o a mendicare. Shahzia spera, una volta guarita, di poter lavorare fuori casa, come un tempo. Ma né la famiglia né il marito glielo permettono.
La vita è difficile, i problemi economici pressanti, e il marito ogni tanto perde la testa e diventa violento con lei e i bambini. Arriva l’aiuto di Angelika che la segue in questi anni. Shahzia ha un grande impegno quotidiano: convincere il marito a non interrompere la scuola dei figli e a premetterle di lavorare.
Ecco quello che ottiene: potrà lavorare solo in una scuola femminile come donna delle pulizie. Ma con un campo così ristretto è difficile trovare lavoro, anche perché, per la sua salute, non può fare lavori pesanti. Il suo lavoro di insegnante rimane una chimera.
Intanto il marito si mette a vendere per la strada i ‘bolani’, involtini di verdura, e ‘ashak’, ravioli. Se ne vedono molti per le strade di Kabul.
Non è un lavoro facile. Non puoi farci affidamento, d’estate, ad esempio si vende molto meno, devi cambiare posto ogni giorno, pagare le tasse sul Karachi, un carretto a motore sul quale vendere la merce.
Ma quel che è peggio, la polizia disturba continuamente il lavoro, con ricatti e richieste di denaro. Qualche mese fa il marito di Shahzia è stato duramente picchiato da un poliziotto che voleva dei soldi per lasciarlo lavorare. Per Shahzia è impossibile sostituirlo, non è nemmeno immaginabile, soprattutto in una famiglia così. Ora il sostegno di Angelika serve per curare le ferite del marito.
Aggiornamento 2023
Shazia è una donna molto coraggiosa e paziente e affronta tutte le sfide che la vita le ha messo davanti senza mai lamentarsi. Riesce a far studiare i suoi figli con il poco denaro che guadagna, vendendo snack per la strada. Vende bolani (pasta fritta ripiena di verdure), ashak (ravioli di porri con carne e yoghurt), sambosa e altri cibi, resistendo alle aggressioni dei talebani che spesso le distruggono tutto il lavoro, la insultano e la trattano da prostituta perché non sta a casa come prescritto. Fa di tutto per non far sentire ai suoi figli che non hanno un padre. “Per continuare l’educazione dei miei figli cerco dei corsi gratuiti, dice Shazia. Stanno frequentando corsi di Inglese e di Corano. Ogni sera, prima di dormire prego che i miei bambini possano un giorno essere liberi dalla povertà e dall’oppressione, che possano avere un futuro.” Manda tutto il suo amore alle sue sponsor.
————
Una storia del progetto Vite preziose.
La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.