Saniya
Mi chiamo Saniya e vengo dalla provincia di Laghman. È il giorno del mio matrimonio, ho 13 anni. Mio padre mi ha promessa da tempo e devo fare il mio dovere. Mia madre cerca di consolarmi ma le viene da piangere: tuo marito non è brutto, è sano. Può bastare, dice. L’ho visto, da uno spiraglio della porta. No, non è brutto e almeno non è vecchio come quello di mia sorella. L’aria sa di nuovo, è quasi primavera. Aspetto qui, nella stanza dove sono cresciuta. La famiglia è arrivata, il cibo pronto.
Ma la festa non comincia. ‘Che succede, perché?’.
Le voci si alzano, le porte sbattono. Il mio “fiancé”, come lo chiamavo con le mie sorelle, non è arrivato. Suo padre ha detto che non mi vuole più. Litiga con mio padre.
La mamma si dispera. Ma a me non importa, improvvisamente respiro di nuovo. Il mio fiancé non mi vuole, e non lo voglio nemmeno io.
Tutto è sistemato, rimango a casa mia. Ma l’illusione dura poco. Non si può sprecare tutto quel cibo, e bisogna riparare l’offesa. I padri si mettono d’accordo. Il suocero pagherà di più, ha altri figli. Il fiancé non brutto è sostituito dal fratello maggiore.
Gli uomini sono contenti, il matrimonio si fa. L’onore è salvo e il riso si mangerà. Questo marito di riserva è brutto, strano, silenzioso. Sordomuto. Adesso sono proprietà della sua famiglia. Di tutti. E’ così che funziona? Il primo fiancé che non mi voleva, adesso mi vuole, tutte le notti, e mi vuole anche suo padre. Non dico niente se no mi picchiano. Devo essere sorda e muta, come il mio sposo.
Quattro figli, tre maschi, una femmina sola, per fortuna. Nessuno è di mio marito. Ma sono miei, tutto quello che ho. Un giorno il fiancé e suo padre portano a casa altri uomini, sconosciuti. È una bella notizia, dicono. Finalmente servirai a qualcosa. ‘Vedi? Pagano per te!’, dice mio suocero mettendo in tasca i soldi. C’è un limite che non si deve superare. Basta. Sono di nuovo incinta, non so di chi.
Prendo i bambini più piccoli e scappo via, via dal fiancé che non era brutto e dagli uomini che mi hanno resa brutta.
Ho avuto fortuna, in fondo. Mio figlio è nato nella casa protetta, nella vita protetta. Non sono più sola. Voglio il divorzio da mio marito. E poi? Il sogno: vivere da sola con i miei bambini, un piccolo lavoro, così la vita avrà davvero quell’odore di nuovo.
Aggiornamenti
Saniya rimane a lungo nello Shelter di Hawca, partorisce il suo ultimo bimbo, viene curata per i suoi numerosi problemi fisici e mentali che 15 anni di matrimonio hanno lasciato nella sua anima e nella sua pelle. Elisa la sostiene dall’inizio e, con il suo piccolo gruzzolo, torna a vivere a casa del padre. Il marito la minaccia ma lei tiene duro.
Le avvocate di Hawca riescono a ottenere il sospirato divorzio, dopo anni di battaglie e, cosa ancora più difficile, la custodia dei figli. Ma anche vivere con i genitori non è facile, il divorzio è una grave colpa in Afghanistan. Riesce a trovare una piccola sistemazione dove può vivere con i figli e mandarli a scuola, libera dalla paura, dai ricatti, dalla violenza. Il suo sogno, lentamente, passo dopo passo, tra enormi difficoltà, si realizza.
Trova lavoro in un salone di bellezza, le parrucchiere sono molto richieste a Kabul. Lavora sodo, impara in fretta per realizzare un giorno il suo sogno di aprire un suo salone e guadagnare abbastanza da mantenere la sua famiglia. È contenta, anche se, per ora, da sola non ce la farebbe. Intanto anche Serenella e Alessandra le stanno accanto, dandole la fiducia e la serenità di cui ha bisogno.
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Una storia del progetto Vite preziose.
La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.