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2011 – Il governo di Kabul impone il suo controllo sulle case rifugio!

ALLARME DONNE AFGHANE: IL GOVERNO DI KABUL IMPONE IL SUO CONTROLLO SULLE CASE RIFUGIO!!

Il Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane (CISDA) denuncia la legge promossa dal Consiglio dei Ministri dell’Afghanistan nel gennaio 2011 secondo la quale entro 45 giorni dalla sua entrata in vigore le case rifugio per donne maltrattate passeranno dalla gestione delle ONG afghane al controllo del Ministero degli Affari Femminili afghano (MoWA).

Il Decreto accoglie così una precedente decisione della Corte Suprema Afghana – l’organismo legislativo più oscurantista del paese – che ha dichiarato REATO l’allontanamento delle donne da casa per rifugiarsi nei centri di accoglienza per donne maltrattate gestiti dalle Ong. La decisione della Corte Suprema Afghana già limitava la possibilità delle donne vittime di violenza di appellarsi agli organismi giudiziari.

La legge prevede inoltre la chiusura di alcuni rifugi, l’accompagnamento delle donne da parte di un mahram (parente maschio o marito), l’insegnamento della religione islamica e l’obbligo per le donne accolte di sottoporsi a costanti “esami medici” per il monitoraggio della loro attività sessuale. Il governo afferma che la gestione da parte del MoWA garantirà una migliore gestione dei fondi e una migliore scelta dello staff interno. Riteniamo che questa misura sia stata presa solo per compiacere i fondamentalisti e i Taliban, con cui si sono avviate delle trattative; così, i rifugi sono stati accusati di essere case di prostituzione e si è scelto di tenerli sotto controllo.

Questo avrà conseguenze disastrose per le donne vittime di violenza:

  • * Nessun parente di sesso maschile, men che meno il marito, accompagnerà mai una donna maltrattata in un rifugio: nella maggior parte dei casi sono essi stessi gli artefici delle violenze dalle quali le donne vorrebbero fuggire.
  • * Lo stupro in Afghanistan è motivo di vergogna e ripudio per la donna. Se l’esame medico provasse che la donna è stata violentata, una volta sotto il controllo governativo la vittima sarebbe condannata invece che accolta.
  • * Se la donna fugge da un matrimonio forzato, una volta arrivata al rifugio sarebbe denunciata dal governo stesso, poiché allontanarsi da casa è considerato reato.
  • * Le ragazze rimandate a casa vivrebbero nella vergogna e nell’emarginazione, se non direttamente giustiziate, come dimostrano i vari casi di lapidazione avvenuti in diverse parti del paese negli ultimi mesi.
  • * Nel caso la famiglia chiedesse il ritorno a casa della donna per qualsivoglia motivo, compreso un matrimonio forzato, lo staff del rifugio non potrebbe rifiutarsi. Come se non bastasse, molte delle donne provenienti da case rifugio, verranno accusate di adulterio all’interno della loro comunità.
  • * L’Afghanistan è uno dei paesi più corrotti al mondo: non ci sarà più alcuna garanzia sul controllo dei fondi eventualmente stanziati dalle agenzie internazionali a favore delle donne vittime di violenza.

Il governo Karzai, voluto e sostenuto attivamente dall’occupazione militare USA-NATO, non si distingue certo per il rispetto dei diritti umani:

  • * nel marzo 2009 il governo Karzai ha firmato una legge intesa a colpire soprattutto le donne della comunità shiita: secondo questa legge, le donne non possono rifiutarsi di avere rapporti sessuali con il marito e non possono recarsi a lavoro, dal medico o a scuola senza il suo permesso.
  • * Nel marzo 2007, il governo Karzai aveva provveduto a garantire l’amnistia per tutti i crimini contro l’umanità commessi in Afghanistan negli ultimi vent’anni.
  • * Nel gennaio 2007 il giornalista Parwez Kambashkh era stato condannato a morte da un tribunale di Balkh, dopo esser stato accusato di blasfemia a causa delle sue idee sulla parità dei diritti delle donne. Benché Parwez, a seguito delle pressioni internazionali, venne graziato, altre decine di giornalisti versano nelle medesime condizioni.
  • * Nel luglio 2006, il governo Karzai ha reintrodotto il “Ministero per il Vizio e Virtù”, tristemente noto già sotto il regime Taleban.
  • * Le organizzazioni afghane che si battono per i Diritti Umani denunciano inoltre le continue pressioni da parte del governo per legalizzare il sistema di “giustizia informale” (tribale) all’interno del quale è prevista la lapidazione delle donne.

E l’Italia? Tra il 2001 e il 2011 il governo italiano ha investito centinaia di milioni di euro nel progetto di ricostruzione della giustizia afghana. Chiediamo al governo italiano e alle forze politiche che hanno sostenuto e ancora sostengono l’intervento militare in Afghanistan di spiegare in che modo sono stati investiti i fondi per la ricostruzione del sistema giudiziario afghano, giacché negli ultimi anni sono state varate leggi che penalizzano pesantemente, anziché favorire, i diritti umani e i diritti delle donne afghane

2011 – Decennale occupazione

8 ottobre 2001 – 8 ottobre 2011

DIECI ANNI DI BOMBARDAMENTI,  OCCUPAZIONE E MISERIA IN AFGHANISTAN

Nel decimo anniversario dei bombardamenti USA/NATO sull’Afghanistan, il Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane (CISDA) denuncia il bilancio fallimentare della missione internazionale in Afghanistan.

L’8 ottobre  2001,  a seguito del tragico evento dell’11 settembre, gli USA  e i loro alleati iniziano l’occupazione dell’Afghanistan con pesanti bombardamenti con il pretesto di “sconfiggere il terrorismo”,  abbattere  il regime  dei talebani  responsabili  di aver  sostenuto  Bin Laden,  riportare  la democrazia, liberare le donne, ricostruire un paese già devastato da 20 anni di guerra.

Gli USA scelgono di sfruttare sul terreno le milizie dell’Alleanza del Nord, gruppi di fondamentalisti islamici  responsabili  della  guerra  civile  del  1992-1996   che  ha  devastato  l’Afghanistan,  facendo perdere  la  vita  a  70.000  persone  nella  sola  Kabul;  gli stessi  criminali  di guerra  già sostenuti,  con grossi  finanziamenti  e  forniture  di armi,  per  cacciare  le  armate  sovietiche  che  avevano  occupato  il paese nel 1979.

Quando cade il regime talebano, la comunità internazionale consente  a questi criminali di guerra (tra i quali Sayyaf, Fahim, Rabbani – appena ucciso  in un attentato dei talebani, con i quali stava avviando trattative  “di  pace”  – Qanuni,  Abdullah,  Ismail  Khan,  Khalili, Mohaqiq)  di occupare  governo  e Parlamento afgani e di riprendere il controllo del paese, negando  invece sostegno  e appoggio alle forze democratiche e laiche.

 

Nel marzo  2007  il governo  Karzai  vara  una legge  che  garantisce  l’amnistia  per  tutti i crimini di guerra commessi in Afghanistan negli ultimi vent’anni.

Inoltre,  il via  libera  dato  ai signori  della  guerra  ha fatto  sì che dal  2001,  in tutto il paese,  si  siano formati e abbiano spadroneggiato nelle aree sotto  il loro controllo centinaia di nuove milizie e gruppi para-militari.  In Just  don’t call  it a  milita,  un recente rapporto  di Human Rights  Watch uscito nel settembre  2011,  si  dice  che  “gruppi  militari di vari  tipo hanno  partecipato   a  rappresaglie  tribali, omicidi, traffici illeciti ed estorsioni. Stupri di donne, ragazze e ragazzi sono frequenti. Le milizie sono solitamente controllate da capi locali o signori della guerra”.

La situazione  delle  donne  afgane  rimane  drammatica.  Nel 2009, cercando  di garantirsi  sostegno elettorale dalla comunità shiita, il governo Karzai  vara una legge che prevede  l’impossibilità per le donne shiite di rifiutare rapporti sessuali con il marito, di recarsi liberamente dal medico, a scuola o al lavoro senza il permesso del coniuge, pena il ritiro di qualsiasi sostegno finanziario. Tutt’ora ci sono donne  che  si  suicidano  dandosi  fuoco,  donne  costrette   a  matrimoni  forzati,  donne  ripudiate  dalla famiglia se vittime di stupro perché motivo di vergogna.

Nel gennaio 2011 il Consiglio dei Ministri afghano approva una legge secondo la quale entro 45 giorni dalla sua entrata  in vigore le case rifugio per donne maltrattate  passano dalla gestione delle  ONG al Ministero  degli  Affari  Femminili.  La legge  accoglie  una  decisione  della  corte  suprema  afghana, secondo cui le donne che scappano di casa per maltrattamenti commettono  reato. Le donne dovrebbero essere  accompagnate   al rifugio  da  un parente  maschio  (di solito  l’artefice  dei maltrattamenti)  e sottoposte  a umilianti visite per verificare la loro attività sessuale.

Dalla fine del 2001 al 31 dicembre 2010 sono stati deliberati dal nostro governo circa 516 milioni di Euro per  la  cooperazione  civile  (che  costituiscono  però  solo  circa  il  2% del  totale  delle  spese sostenute per le truppe)  ma l’importo totale stanziato alla fine del 2010 è di circa 208,4 milioni di euro.  Di  questi,  circa  81 milioni di euro  sono  stati  impiegati  per  la  riforma  della  giustizia  in Afghanistan.

In Afghanistan  mancano  case, scuole,  ospedali  e  lavoro;  la produzione di oppio  è arrivata a circa  il 96% del totale mondiale.

Sono questi i risultati dell’intervento internazionale in Afghanistan?

In dieci anni di intervento militare i soli USA  hanno speso più di 487 miliardi di dollari.

La guerra in Afghanistan ha provocato  la morte di 44 soldati italiani, circa 1.400 soldati alleati, 6 mila soldati e poliziotti afgani, circa 25 mila guerriglieri talebani e quasi 11 mila civili afgani (di cui oltre 3 mila vittime degli  attacchi talebani e almeno  7 mila uccisi dalle truppe alleate – più di 3 mila civili morirono  nei  soli  bombardamenti  aerei  del 2001-2002). In totale,  quindi,  otto anni  di guerra  hanno stroncato circa 43 mila vite umane (fonte “Peace Reporter”).

Mentre il governo italiano approva la nuova manovra finanziaria per strozzare ancora di più il nostro paese,  lo stesso  governo   rifinanzia  la  missione  italiana  in Afghanistan  (con  il  solo  voto contrario dell’IDV) che nel primo semestre 2011  ha previsto una spesa di 410 milioni di euro  e una presenza di 4.350 truppe. (fonte: Peace Reporter).

Il CISDA, raccogliendo la voce delle forze democratiche dell’Afghanistan quali RAWA (Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afgane), Hambastagi (Partito della Solidarietà), Malalai Joya, Saajs (Associazione Familiari delle Vittime) chiede il ritiro delle truppe italiane e straniere dall’Afghanistan, il congelamento delle spese militari, il sostegno delle vere forze democratiche del paese e la costituzione di un tribunale internazionale che smascheri i criminali di guerra seduti nel parlamento Afghano.

Per il calendario delle iniziative in Italia consultare: http://www.osservatorioafghanistan.org http://www.facebook.com/#!/pages/Cisda/120648274682738

2011 – Mozione per il ritiro delle truppe dall’Afghanistan

Considerando che l’intervento militare occidentale in Afghanistan ha fallito completamente gli obiettivi propagandati per giustificarlo (sconfiggere il terrorismo; portare la democrazia; liberare le donne), anzi al contrario:

Il paese è stato consegnato dal 2001 nelle mani dei fondamentalisti dell’Alleanza del Nord, responsabili di crimini contro l’umanità e narcotrafficanti. Essi hanno continuato ad occupare fino ad oggi i posti chiave nel governo, nella magistratura e il 90% dei seggi in parlamento. Le successive elezioni, come anche la comunità internazionale ha dovuto riconoscere, si sono svolte tra brogli e violenze di tale portata da invalidare i risultati ad ogni livello. Non c’è alcuna parvenza di democrazia ne’ uno stato di diritto.

I fondamentalisti talebani che l’intervento militare occidentale voleva annientare, sono ora più forti, controllano l’80% del territorio e sono attivi nel 97%. Tanto che la coalizione guidata dagli USA sta tentando di mediare un accordo tra loro e l’attuale governo, per una spartizione del potere tra le diverse fazioni fondamentaliste, e chiamano questo “pacificazione”.

I diritti umani, i diritti delle donne, la democrazia, le condizioni minime di sopravvivenza della popolazione, vengono sacrificati alle logiche di spartizione del potere interno e internazionale

La totale impunità per chi ha violato i diritti umani negli ultimi 30 anni, è stata sancita con una legge in parlamento nel 2007, in nome della “Riconciliazione Nazionale”, sotto gli occhi delle truppe occupanti, e malgrado la disperata resistenza delle organizzazioni afghane democratiche della società civile.

La legge sciita che legalizza lo stupro domestico e cancella ogni diritto delle donne, oltre i limiti già risibili della stessa costituzione afghana, è stata approvata dal parlamento nel marzo 2009.

Gli eserciti occupanti non solo tollerano le sistematiche violazioni dei diritti umani che i signori locali e i loro uomini esercitano sulla popolazione, in particolare sulle donne, ma rafforzano il potere di questi ultimi, e soprattutto dei più violenti e criminali, pagando loro regolarmente decine di migliaia di dollari perché non compiano attentati contro i militari occidentali stessi.

Del resto le perquisizioni notturne nelle case dei sospetti, il sequestro e la detenzione arbitraria in carceri segrete, l’uso sistematico della tortura, da parte in particolare delle forze USA che guidano la coalizione, non qualificano certo gli occupanti quali paladini dei diritti umani e della democrazia tra la popolazione.

I bombardamenti colpiscono indiscriminatamente i civili. L’aviazione USA dal 2001 ha lanciato già oltre 14.049 tonnellate di bombe. Nel 2009 sono stati uccisi 2412 civili, in prevalenza donne e bambini. Ma il maggior numero di vittime non viene registrato dalle statistiche: ci sono oltre 235.000 sfollati nei campi profughi interni, accampati nel deserto senza acqua, cibo e riparo, muoiono di stenti. Feriti e mutilati non hanno accesso a cure mediche.

Considerando infine che la società civile afghana, in particolare le poche associazioni democratiche ancora attive, tra cui Rawa con la quale la Cgil intrattiene da anni relazioni di solidarietà, chiedono con forza il ritiro immediato di tutte le forze di occupazione, chiediamo che la Cgil si faccia portavoce di questa istanza presso tutte le sedi opportune.

2007 – Conferenza Stampa contro la legge immunità Warlord

Il Coordinamento ItaliaRawa e le Donne in Nero di Milano impegnati dal 1999 a fianco di delle donne della Revolutionary Association of the Women of Afghanistan il giorno 15 febbraio 2007, dalle ore 11.30 alle ore 13.00 promuovono una

CONFERENZA STAMPA
Interverranno:
Donne in nero
ItaliaRawa
CGIL internazionale
Amnesty International
presso la
Casa Internazionale delle Donne – Via della Lungara, 19 – 00165 Roma
Non c’è pace senza giustizia
No all’impunità per i criminali afghani
In occasione della visita in Italia del Presidente afghano Hamid Karzai con una delegazione femminile e alla vigilia del voto parlamentare sul rifinanziamento della missione ISAF
Il 31 gennaio 2007 la Camera bassa del Parlamento afghano (Wolesi Jirga) ha approvato quasi all’unanimità una risoluzione che garantisce l’immunità (e quindi l’impunità) a tutti gli afghani coinvolti negli ultimi 25 anni di conflitti, inclusi il leader dei talebani Mullah Omar, l’ex primo ministro Gulbuddin Hekmatyar, leader del partito fondamentalista Hezb-e Islami (e citato nel rapporto di Human Rights Watch Blood Stained Hands – Past atrocities in Kabul and Afghnistan’s legacy of impunity – 2005 – come uno dei maggiori responsabili
di crimini di guerra commessi soprattutto negli anni della guerra civile tra il 1992 e il 1996), e molti membri del parlamento e del governo in carica, anch’essi macchiatisi di efferati crimini di guerra.
Nonostante Karzai abbia rigettato la risoluzione, questo tentato colpo di mano del Parlamento impone di porsi alcune domande su quale tipo di processo democratico si
sia avviato in Afghanistan.

Il parlamento afghano, legittimato e sostenuto da tutta la comunità internazionale e salutato come una grande conquista per la democrazia in quel paese, è composto per il 6% da trafficanti di droga, per il 4% da taleban “moderati”, per il 72% da signori della guerra, per il 3% da religiosi conservatori e per il restante 15% da un’opposizione democratica e non compromessa con i signori della guerra fondamentalisti.

Molti afghani, e in particolare gli abitanti di Kabul, pensano che, per gli abusi commessi, questi leader non siano idonei alle posizioni che rivestono. Noi concordiamo con questa tesi. Human Rights Watch ha lavorato in zone di conflitto e post conflitto in quattro continenti per oltre 25 anni. Abbiamo osservato i successi e i fallimenti di numerosi processi per la costruzione della pace e documentato di volta in volta come leader incaricati nel periodo di post conflitto con un passato di abusi […] abbiano continuato a commettere abusi o consentito che l’illegalità continuasse o ritornasse.
Dal rapporto Blood stainded hands di Human Rights Watch – 2005

2006 – Ritiro esercito italiano da “Enduring Freedom”

AFGHANISTAN: RITIRARE IL CONTINGENTE MILITARE ITALIANO DALLA MISSIONE “ENDURING FREEDOM” E RIPORTARE L’ISAF SOTTO IL COMANDO DELL’ONU

“Nessuno Stato può portare libertà e democrazia a un altro Stato, ma può aiutare un popolo a lottare contro i suoi nemici.”
(RAWA – Rivolutionary Association of the Women of Afghanistan)

1. Quale democrazia in Afghanistan

Imposta con la guerra dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti, la democrazia in Afghanistan si sta rivelando una mostruosa caricatura:
il governo presieduto da Karzai è colluso con i fondamentalisti signori della guerra, responsabili accertati di crimini di guerra e contro l’umanità (vedi “Human Rights Watch del 2005 – Blood Stained Hands); costoro occupano i ministeri più importanti, amministrandoli come feudi personali e spartendosi il denaro destinato alla ricostruzione del Paese, inoltre controllano il territorio con le loro milizie private, spadroneggiando impunemente e gestendo il traffico di oppio, la cui produzione è cresciuta enormemente dopo la caduta dei taleban;
il Parlamento eletto in un clima di intimidazione e di brogli elettorali, è composto per il 85% da signori della guerra, taleban “moderati”, trafficanti di droga, religiosi conservatori, che soffocano la voce dell’opposizione democratica, come dimostra il caso della deputata Malalai Joya, aggredita fisicamente nella stessa aula parlamentare e continuamente minacciata di morte per aver denunciato in più occasioni i molti criminali che siedono indegnamente in parlamento e al governo;
la Costituzione che pur riconosce i diritti umani, politici e civili e la parità tra uomini e donne, è ostaggio dell’interpretazione restrittiva di mullah tradizionalisti e di presunti esperti di diritto islamico conservatori che ne impediscono l’attuazione, anteponendole la sharia (le donne infatti continuano a essere lapidate per “reati” come l’adulterio e considerate criminali quando fuggono di casa per sottrarsi alla violenza domestica e ai matrimoni forzati);
la ricostruzione non decolla a causa della corruzione della classe politica e la popolazione continua a non disporre di acqua potabile, elettricità, scuole, ospedali, casa, lavoro e a vivere in condizioni di estrema miseria;
i taleban si sono riorganizzati e hanno ripreso il controllo delle aree extraurbane delle province sud-orientali, da dove sferrano attacchi terroristici contro le truppe straniere e governative.

2. Le missioni internazionali Enduring Freedom e Isaf

Gli abusi degli Stati Uniti. La missione di guerra “Enduring Freedom”, guidata dagli Stati Uniti con l’obiettivo dichiarato di abbattere il regime dei taleban per portare la democrazia in Afghanistan, catturare bin Laden e smantellare la struttura di al Qaeda, si è rivelata subito come guerra globale al terrorismo, combattuta con ogni mezzo e nella continua violazione delle leggi internazionali in materia di diritti umani.
Human Rights Watch ha documentato gli abusi degli Stati Uniti in Afghanistan ( vedi “Enduring Freedom” – Abuses by U.S. Forces in Afghanistan – marzo 2004; Rapporto annuale 2005; Rapporto annuale 2006), denunciando arresti arbitrari di civili, brutali rastrellamenti dei villaggi, violenze e abusi sulle donne, bombardamenti che colpiscono indiscriminatamente la popolazione, torture e uccisioni di detenuti, cui è negata l’assistenza legale nelle strutture di detenzione presso le basi militari di Bagram, Kandahar, Jalalabad, Asadabad.
A causa del loro comportamento sprezzante, gli Stati Uniti sono visti da gran parte della popolazione come forze di occupazione unicamente interessate a costruire basi militari sul territorio afghano per realizzare la loro politica imperiale nell’Asia centrale.
Intanto gli attacchi terroristici si fanno sempre più frequenti e brutali, un numero crescente di civili perde la vita, la rabbia e la delusione spinge molti afghani a vedere nei taleban una forza di
liberazione dal nemico e una garanzia di stabilità per il futuro e quindi li appoggiano.
Lo snaturamento dell’Isaf
La missione Isaf, autorizzata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, nel dicembre 2001, con il compito di assistenza al governo Karzai per il mantenimento della sicurezza, ha fallito il suo obiettivo, diventando sempre più subalterna alla politica americana.
Il territorio è ancora controllato dalle milizie dei signori della guerra, protetti dagli Stati Uniti perché loro alleati nella guerra contro il regime dei taleban.
L’Isaf, che nel 2003 è passata sotto il comando della Nato senza alcuna autorizzazione dell’Onu, è oggi chiamata ad estendere il suo raggio d’azione nel sud-est del paese, dal quale le truppe
americane stanno per ritirarsi, e ad assumersi la responsabilità di continuare la guerra contro i taleban e i terroristi infiltrati in Afghanistan.
In questo modo l’Isaf cambia natura. Sovrapponendosi a Enduring Freedom e ereditando le sue funzioni, la missione Isaf diventa una missione di guerra; per questo la Nato sta chiedendo ai
paesi della coalizione di aumentare i loro contingenti, di inviare forze speciali e mezzi militari, tipo cacciabombardieri, al fine di poter assolvere adeguatamente i nuovi compiti.

3. Che cosa chiediamo

È ormai chiaro che la democrazia in Afghanistan è un miraggio, che il territorio non è stato pacificato e che il paese rischia nuovamente di precipitare nel caos.
È arrivato il momento di fare chiarezza e di ascoltare la voce dei democratici afghani.
Malalai Joya e molti democratici, che in lei si riconoscono, chiedono espressamente che l’Isaf ritorni sotto il comando dell’Onu per svolgere una più incisiva azione di peace keeping, il cui obiettivo primario deve essere il disarmo delle milizie dei signori della guerra, vera causa dell’instabilità del paese, e la consegna alla giustizia dei criminali che hanno compiuto abusi contro i diritti umani, molti dei quali siedono in parlamento e svolgono funzioni di governo.
Chiedono cioè un radicale cambiamento nel modo di operare dell’Isaf, non il suo ritiro, perché temono che possa nuovamente scatenarsi una guerra civile.
Chiedono anche che l’Europa si smarchi dalla politica americana, impegnandosi sul versante della giustizia, sostenendo cioè un programma giudiziario nell’ambito della cosiddetta “transitional justice”, programma già applicato in paesi dove sono stati compiuti crimini contro l’umanità e che prevede l’istituzione di tribunali speciali per individuare e punire i responsabili di tutti gli abusi, consentendo di chiudere i conti con il passato e il ritorno alla normalità.
Ristabilire la giustizia è infatti il primo passo per dare il dovuto riconoscimento alle vittime, garantire la sicurezza e la pace, costruire istituzioni democratiche in grado di durare nel tempo.
Come donne di pace, da anni impegnate a fianco delle donne afghane contro tutti i fondamentalismi e per la democrazia, sosteniamo queste richieste e in più chiediamo al governo italiano di ritirare, nel rispetto dell’art. 11 della nostra Costituzione, il contingente militare dalla missione di guerra Enduring freedom, combattuta violando le leggi internazionali sui diritti umani e di farsi promotore, a livello europeo, di una politica che rilanci il ruolo dell’Onu e riporti l’Isaf alla sua missione originaria di peace keeping, liberando la coalizione dal pesante condizionamento della Nato che la rende completamentesubalterna agli Stati Uniti.
CISDA – CORDINAMENTO ITALIANO A SOSTEGNO DELLE DONNE AFGHANE – giugno 2006