I delitti contro le donne… non sono delitti
Per le donne in Afghanistan non c’è giustizia, c’è una mirata e ossessiva persecuzione di genere. Il Ministero della Giustizia e tutte le leggi che vige6vano nel paese sono state smantellate, così come il Ministero degli Affari femminili e tutti i programmi di sostegno alle donne vittime di violenza. L’unica legge in vigore nel paese è la sharìa, secondo l’interpretazione estrema dei talebani. Legge, declinata in innumerevoli divieti, sempre più numerosi, che escludono le donne dalla vita sociale e sospendono la vita stessa.
E se limitare i diritti delle donne e delle ragazze è il principale risultato previsto degli editti, diversi editti sono diretti agli uomini (per esempio, un dipendente pubblico rischia la sospensione dal lavoro se sua moglie o sua figlia non indossano “l’hijab adeguato”) contribuendo così ad aumentare il controllo sociale sulle donne.
I delitti contro le donne non hanno nemmeno la dignità di essere delitti, sono comportamenti, governati dalla sharia. Accettati. Accolti dentro la vita di ogni giorno. L’impunità è totale. La violenza domestica e sociale non è più reato. Non c’è più nessuna autorità alla quale appellarsi. Nelle corti talebane le decisioni, in ambito sia civile che penale, vengono prese dagli uomini in assenza delle donne. I codici cambiano e sono i talebani a possederli. La giustizia è sprofondata nel fanatismo. Basta la sharia.
Chiedere un intervento della corte talebana, mette le donne a rischio di violenza e violenza sessuale. Come si legge nel rapporto del giugno 2023 rilasciato dall’Human Rights Council dell’ONU, le donne che chiedono il divorzio o fuggono da situazioni domestiche violente sono le più colpite, poiché sono abitualmente costrette a tornare a relazioni violente. Gli esperti dell’ONU hanno sentito gli avvocati che gestiscono casi in cui donne che erano andate in tribunale chiedendo il divorzio sono state ammonite dal giudice con osservazioni del tipo “la tua mano non è rotta, la tua gamba non è rotta, perché vuoi il divorzio?”, “Ottieni prima il consenso di tuo marito” e categoricamente “non puoi divorziare”. Il ritorno forzato delle donne a partner violenti è stato ulteriormente esacerbato da un editto secondo cui qualsiasi caso di divorzio risolto durante l’era della Repubblica può essere rivisto da un giudice dell’Emirato islamico dell’Afghanistan.
Le donne che lavoravano in ambito giuridico, avvocate, procuratrici, giudici, sono senza lavoro, vivono nascoste e minacciate per la loro passata attività a favore delle donne. Sono anche il bersaglio di uomini condannati per le violenze inflitte e liberati dai talebani. Uomini che cercano tenacemente vendetta.
Com’era prima: la giustizia nei 20 anni di occupazione USA/NATO
La violenza strutturale contro le donne non è stata intaccata nel corso degli ultimi 20 anni, nonostante la propaganda. Le opportunità c’erano, ma non per tutte. A fronte di alcune donne che riuscivano ad affermare la propria autonomia e a percorrere la propria strada professionale, spesso con gravi rischi (attacchi alle scuole e alle studentesse, omicidi mirati dei talebani alle donne professionalmente attive, minacce e intimidazioni), il resto del mondo delle donne afghane soffocava nel silenzio e nella quotidiana violenza che raggiungeva l’87% delle donne.
La giustizia per i reati commessi contro di loro restava una chimera ma esistevano fondamentali strutture di sostegno per le donne: Centri di Aiuto Legale, con assistenza legale, medica e psicologica, Case Protette, Ministero degli Affari Femminili, associazioni e Ong molto attive. L’impunità per i delitti contro le donne è rimasta comunque molto alta in tutto questo periodo.
Le leggi in vigore 2001/2021
Eppure le leggi buone c’erano. Il sistema giudiziario era stato riformato proprio dagli italiani Eccole.
Ratificata nel 2003, la CEDAW (Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne).
Nel 2004 la Costituzione prevede l’Articolo 22: “I cittadini afghani, sia uomini che donne, hanno gli stessi diritti di fronte alla legge.” L’efficacia di questo articolo è però indebolita dall’Articolo n. 3: “Nessuna legge può essere contraria ai principi e alle disposizioni della sacra religione dell’Islam”, la sharia dunque è fondamento del diritto e non può essere ignorata in alcun caso.
Nel 2009 la legge EVAW( Eliminazione della violenza contro le donne, trasformata in legge da Karzai ma mai ratificata dal Parlamento) prevede sanzioni penali per i colpevoli di 17 forme diverse di violenza e criminalizza le tradizioni dannose, ba’d (bambine date in spose per riparare un torto) e badal, (scambio di ragazze e bambine tra famiglie.)
Solo il 5% dei casi è trattato con la procedura penale sotto la legge Evaw (Unama ’16); nell’80% dei casi funziona o la mediazione familiare o la Giustizia Parallela, sistema giuridico informale basato sulla sharìa e sulle leggi tribali tradizionali.
In pochi si rivolgono alla Giustizia governativa per gli alti costi della corruzione.
Purtroppo, le buone leggi, nei 20 anni di occupazione, sono state poco usate e molto ostacolate.
Le strutture del potere, che avrebbero dovuto applicarle, come il Parlamento o il Governo delle diverse province, erano saldamente in mano ai Signori della Guerra, potenti capi tribali, fondamentalisti feroci, che si erano macchiati di innumerevoli crimini di guerra oppure ai talebani che continuavano a governare parte del paese. Proteggere le donne e condannare i colpevoli di violenza non era certo una loro priorità. Ostacolare i percorsi intrapresi per ottenere giustizia, era prassi comune nella quale venivano utilizzate minacce, intimidazioni, omicidi.
I sistemi giuridici. La difficile scelta delle avvocate
Come ci hanno spesso raccontato le avvocate che si battevano per i diritti delle donne, quando si è di fronte a una cliente in difficoltà, bisogna sostenere e coltivare il loro coraggio ma rispettarne la paura. Difendere le donne e pretendere i loro diritti fondamentali era un’attività molto rischiosa per la cliente e per l’avvocata. Si potevano seguire percorsi legali diversi per cercare di ottenere giustizia, a seconda delle situazioni e dei rischi.
Processo Penale. Denunciare penalmente l’uomo violento sotto la legge Evaw, era una strada piena di ostacoli. Si prevedeva la condanna dell’aggressore, (che spesso scontava pene molto brevi perché era in grado di minacciare i giudici o corrompere le autorità) e diventava quindi più probabile la ritorsione violenta da parte dell’accusato e della sua famiglia.
Il processo civile alla Family Court. Non erano previste condanne né pene né denunce, il colpevole rimaneva impunito, ma si poteva ottenere almeno il divorzio, un prezioso pezzo di carta che sanciva la libertà della donna dal marito violento.
Mediazione Familiare. Era sempre il primo gradino, entrare nella famiglia, discutere, ottenere rassicurazioni e impegni positivi. Mettere sotto sorveglianza. Raramente efficace.
La Shura, Corte Tradizionale, Assemblea degli anziani e dei religiosi. Nella shura è in vigore la sharìa e le decisioni raramente sono a favore della donna. Ma, a volte, era l’unica strada e poteva sancire una separazione dal marito violento.
Chi ancora combatte per la giustizia delle donne
Nell’oscuro vuoto nel quale il paese è precipitato, dove la giustizia per le donne si è sbriciolata e se ne nega perfino l’esistenza, ci sono donne che mantengono vive piccole luci di protezione.
Organizzazioni di donne coraggiose come RAWA, HAWCA, OPAWC, continuano a cercare di difendere le donne, schivando, come possono, i divieti e le sanzioni talebane. Scuole segrete, dove ancora si parla di diritti e di giustizia per le donne, dove si trovano conforto e aiuto, piccoli appartamenti nascosti e sicuri dove le donne a rischio possono rifugiarsi, dopo la chiusura degli shelter, e cercare di vivere una vita protetta, nell’ombra. È proprio nell’ombra, dove le donne si nascondono, che si coltiva la speranza.