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L’Unità Sanitaria Mobile Hamoon in una baraccopoli vicino a Kabul

Pubblicazione: 15 Luglio 2024

L’Unità Sanitaria Mobile Hamoon fornisce servizi sanitari essenziali a donne e bambini.

Pubblichiamo l’ultimo report, giunto ieri, dell’organizzazione afghana che gestisce l’Unità relativo all’intervento effettuato presso una baraccopoli auto costruita da rifugiati interni non lontano da Kabul, emarginati e abbandonati dalle autorità di fatto.

Il racconto testimonia, ancora una volta,  le condizioni disumane in cui versa la popolazione dell’Afghanistan.

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Queste famiglie hanno dovuto sopportare anni di guerra ed avversità, hanno perso le proprie case e hanno cercato rifugio a Kabul, dove hanno trovato solo ulteriore miseria e deprivazione. Vivono in abitazioni precarie e buie, prive di servizi igienici.

Quando abbiamo raggiunto questo accampamento, è stato per noi incredibile trovare tali condizioni di vita vicino alla capitale, dove per 20 anni gli Stati Uniti hanno parlato di democrazia, diritti delle donne e ricostruzione. Perché qui donne e ragazze sono ancora scarti umani, smarrite tra cumuli di rifiuti, i loro occhi colmi di dolore e sofferenza.

Nel vedere arrivare il nostro team sanitario, la gente ci correva incontro con gioia. Un uomo anziano ci ha chiesto, incredulo: “Vi siete persi?”

I nostri medici, toccati nel profondo, hanno soccorso e curato gli abitanti disperati di questo accampamento. Abbiamo constatato che ogni donna, ragazza, bambino è affetto da gravi infezioni, in gran parte generate dall’esposizione all’ambiente: una discarica, nella quale i rifugiati sono costretti a cercare il proprio cibo e materiali da riciclare quale unica opportunità di sopravvivenza.

Oltre ad essere ammalati, molti pazienti soffrono di malnutrizione e sono molto deboli, con disturbi infiammatori e deficienze vitaminiche dovute alla mancanza di accesso a un cibo adatto ad esseri umani e all’acqua potabile.

Habiba, una donna di mezza età, è venuta da noi per chiedere un trattamento per lei e per sua figlia, sofferenti di infezioni alla gola e diarrea causate dal degrado ambientale: “La pena e la sofferenza delle donne sembrano non finire mai. Dopo di noi, saranno ancora le nostre figlie a dover soffrire per la povertà e morire di fame”, si è lamentata. ”Ho perso mio marito anni fa e ho due figlie, di 12 e di 18 anni, e un figlio di 15 anni. Mio figlio raccoglie rifiuti nelle vicinanze durante il giorno e li porta a casa, dove le mie figlie ed io trascorriamo l’intera giornata con le mani nella spazzatura, sperando di recuperare avanzi di cibo da mangiare e plastica da vendere. Tutti i giorni, ci ammaliamo. Nessuno si può mai abituare a mangiare scarti di cibo recuperati dalla spazzatura; noi siamo semplicemente obbligati a farlo.”

Una operatrice del nostro team ha abbracciato Habiba e le ha dato le vitamine e le medicine necessarie, ma questo può solo alleviare una minima parte della sua sofferenza, della sua pena.

Ogni paziente aveva storie da raccontare, di anni di guerra, dolore e miseria. Nessuno dei bambini sta frequentando una scuola, anzi in quanto bambini lavoratori sono loro gli unici che portano il cibo a casa per la famiglia. I bambini visitati hanno potuto solo esprimere il proprio dolore per la mancanza di opportunità di studio ed educazione.

Il team sanitario ha trascorso l’intera giornata con loro, non solo curando e distribuendo medicine ed altri generi di prima necessità, ma anche ascoltando il loro dolore, il racconto di ciò che gli tocca vivere.

Alla fine la gente ci ha salutati con calore, pregandoci di tornare dato che nessun altro si prende cura di loro, sono stati completamente dimenticati.

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