Libere di essere
Il 10 e 11 novembre si è tenuto a Roma il convegno nazionale promosso dal Coordinamento donne ANPI “Libere di essere. Donne resistenti ieri e oggi“.
Di seguito riportiamo l’intervento di Francesca Patrizi, attivista CISDA.
Il Cisda, Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane, nasce nel 1999 da un incontro tra attiviste italiane e attiviste afgane appartenenti all’associazione RAWA (Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afgane), che in quel momento aveva già alle spalle una storia ventennale. Infatti, era stata fondata nel 1977 a Kabul da Meena, una coraggiosissima donna afgana assassinata nel 1987 per mano di islamisti, probabilmente legati al partito di Hekmatyar in combutta con il KGB sovietico.
Fin dalla sua nascita RAWA si è posta un duplice obiettivo: la liberazione della donna nella società afgana, all’interno di un processo di autodeterminazione del popolo afgano. Le compagne di RAWA hanno da sempre lottato per costruire un Afghanistan unito (al di là cioè delle differenze etniche sottolineate e strumentalizzate da chi, dall’interno o dall’esterno del paese, vuole dominare attraverso la politica del DIVIDE ET IMPERA), laico, democratico ed egualitario. Per questo motivo sia RAWA che Hambastagi (un partito politico, il Partito della Solidarietà, con il quale RAWA ha sempre condiviso l’obiettivo politico precedentemente esposto) non hanno mai sostenuto nessuna delle formazioni di governo che si sono avvicendate nel corso dei venti anni di occupazione NATO, dal 2001 fino alla restituzione del paese ai Talebani da parte degli Stati Uniti, avvenuta il 15 agosto 2021.
Da quando è stata fondata RAWA, cioè dalla fine degli anni settanta, ad oggi, il contesto afgano ha attraversato diverse vicissitudini fino ad arrivare all’Afghanistan attualmente governato dal regime dei Talebani e segnato da un inasprimento delle condizioni di vita della popolazione. È importante però sottolineare che, a dispetto di quanto ci veniva mostrato dai media mainstream e da quanto ci volesse far credere la politica internazionale, neanche durante i governi precedenti, quelli sostenuti dall’alleanza NATO, l’Afghanistan ha vissuto situazioni idilliache, ovvero contrassegnate da sviluppo economico e sociale e liberazione della donna. Come già accennato, attualmente la situazione si fa ogni giorno più drammatica. La popolazione versa in una condizione di povertà estrema, recentemente aggravata dagli eventi sismici che hanno duramente colpito lo scorso ottobre la provincia di Herat. Le compagne di RAWA sono riuscite a raggiungere le zone colpite dal terremoto per portare soccorso e hanno denunciato l’incapacità del governo nel gestire l’emergenza, ma anche il disinteresse del governo attuale e dei precedenti in una politica del territorio avente come obiettivo lo sviluppo delle aree periferiche e rurali.
Ad aggravare il contesto agisce l’instabilità politica. Il potere è conteso tra gruppi esterni ai Talebani, come per esempio i militanti dell’Isis che sta proliferando nel paese e mostra la sua presenza attraverso attentati rivolti contro la popolazione, e le diverse correnti interne ai Talebani stessi, i quali non sono un fronte compatto come ci vengono solitamente presentati. Un esempio della spaccatura interna e dell’instabilità politica può essere fornito dalla presa di posizione del governo talebano nei confronti di Hamas a seguito di quanto sta avvenendo in Palestina. Infatti, il ministro dell’Interno, Sirajuddin Haqqani, avrebbe dichiarato un appoggio formale dettato da “una simpatia basata sulla fede nei confronti dei musulmani” ma senza l’impegno di un intervento diretto, dichiarazione che avrebbe destato malumori in molti amministratori locali e dettata probabilmente dal timore delle conseguenze che un intervento diretto potrebbe comportare sul già instabile tessuto politico interno.
A fare le spese di questa drammatica situazione sono in particolare le donne. Sono noti i divieti emessi dal governo talebano nei confronti delle donne nel corso di questi due anni. A leggerli, alcuni fanno anche sorridere, come per esempio il divieto di frequentare parchi e ristoranti. Se però li mettiamo insieme emerge la volontà di estromettere la donna dagli spazi della vita pubblica per relegarla al contesto claustrofobico della vita domestica. Questo obiettivo è raggiungibile colpendo prima di tutto quei settori che favoriscono il processo di liberazione della donna, ovvero istruzione e lavoro. Alla donna sono preclusi sempre più settori lavorativi; alle ragazze è stato interdetto l’accesso sia all’università che alla scuola oltre la sesta classe. Il fatto che la donna sia privata di una socialità al di fuori delle mura domestiche ha un impatto grave anche sulla sua salute. Non solo infatti le donne sono le maggiormente colpite da un sistema sanitario al collasso e sempre più affidato in gestione a medici e infermieri che, in quanto maschi, non possono visitarle, ma questa reclusione ingenera importanti disturbi psichici, quali depressioni e alterazioni del sonno. Fin dalla nascita le compagne di RAWA, per perseguire gli obiettivi politici che si sono poste e attraverso una rete di associazioni a loro supporto, hanno attivato progetti nell’ambito dell’assistenza socio – sanitaria a donne e bambini. Ovviamente questi progetti sono condizionati dal contesto, sia perché è la realtà afgana che determina le priorità sia perché l’attualità impone frequenti riorganizzazioni, come è accaduto segnatamente negli ultimi due anni. I settori di intervento, in particolare istruzione e lavoro, non sono cambiati così come non è cambiata la condizione di clandestinità nella quale RAWA ha sempre agito (dalla nascita fino ad ora), ma i progetti in corso sono stati chiusi o riformulati. Questo è avvenuto ad esempio con gli shelter, i primi a subire pressioni e ritorsioni da parte del nuovo governo; le donne ospitate sono state costrette a tornare all’interno della violenza domestica e le avvocate che le difendevano, in alcuni casi, sono state anche incarcerate. Consapevoli che la protezione nei confronti delle donne che subiscono violenza sia un atto necessario, le compagne afgane hanno pensato di organizzare delle case – rifugio che possano accogliere un numero esiguo di donne e dei loro bambini, avendo così meno visibilità di uno shelter. Dopo la proibizione per le ragazze di frequentare la scuola oltre la stessa classe, hanno deciso di istituire dei corsi per numeri ridotti di studentesse dai 13 ai 18 anni e per contrastare l’isolamento, che stanno subendo le donne e che ha un impatto particolarmente violento sulle ragazze, delle case-famiglia dove le ragazze, non solo possono frequentare corsi scolastici, ma possono trovare anche degli spazi di relazione. Lo stesso avviene per i progetti in ambito lavorativo, i quali, oltre ad avere lo scopo di fornire una professione e un’entrata economica per famiglie in una situazione di grave disagio sociale, servono a contrastare l’isolamento mettendo le donne nella condizione di incontrarsi. Questo avviene con il progetto “Giallo fiducia” che, avviato nel 2017, riguarda la coltivazione di zafferano nella provincia di Herat e i corsi di sartoria, istituiti nell’anno in corso. Invece, nell’ambito sanitario, il centro aperto a Farah nel 2010 negli ultimi mesi è stato trasformato in una clinica mobile sia perché più facilmente si riesce a fuggire dalla repressione del governo sia perché in questo modo è possibile raggiungere diverse zone del paese, anche i villaggi più sperduti. Infine, si provvede alla distribuzione di pacchi alimentari, anche in questo caso cercando di muoversi nel paese il più possibile, per portare approvvigionamenti a famiglie che altrimenti non avrebbero cibo.
Il Cisda, in collaborazione con le compagne afgane, sostiene i progetti descritti ai quali si aggiungono “Vite Preziose” e “Staffetta femminista”, finalizzati alla sponsorizzazione di singole situazioni di donne uscite dal circuito della violenza domestica. Anche per il Coordinamento, come è per RAWA, il sostegno ai progetti è importante non soltanto per il valore sociale che essi rivestono ma in quanto occasione di divulgazione del pensiero politico per il quale le compagne di RAWA si battono e sul quale ci siamo incontrate. È per questo che agli inizi del 2022, a seguito di un confronto con RAWA e Hambastagi, abbiamo aperto una petizione (che si chiuderà in occasione del 25 novembre prossimo) per chiedere, al governo italiano e a quelli europei, di non riconoscere il governo dei Talebani, di supportare le organizzazioni laiche e progressiste, di promuovere l’autodeterminazione del popolo afgano e di monitorare il rispetto dei diritti umani. Di recente abbiamo pubblicato un Dossier con lo scopo di descrivere, toccando diversi temi, la situazione attuale dell’Afghanistan in modo approfondito e documentato.
Nonostante tutto quello che si fa e che è stato descritto, soprattutto in questi ultimi due anni, è capitato di sentirsi impotenti rispetto a una situazione di estrema emergenza, in continua involuzione e all’interno della quale le compagne sono costrette a vivere nel timore di persecuzioni nei loro confronti e delle loro famiglie. In passato il Cisda, ogni anno, si recava in Afghanistan con una delegazione che era anche un’occasione per manifestare il sostegno attraverso la propria presenza; questo oggi non è possibile. E quindi, ogni volta che ne abbiamo avuto occasione, in questi due anni abbiamo domandato alle nostre compagne che cosa possiamo fare. La risposta è stata sempre la stessa: “Dite che esistiamo e che continueremo a resistere fino a raggiungere l’obiettivo di vivere come donne libere in un paese libero.”