Sorelle senza confini – Mama Mercy
30 Ottobre 2024
L’Afghanistan è il peggior paese al mondo per nascere donna. Lo dicono le innumerevoli statistiche e rapporti dell’ONU, che in una recente dichiarazione definisce il trattamento dei talebani nei confronti delle donne “un crimine contro l’umanità”, di Human Rights Watch, di Amnesty International, solo per citare le fonti più quotate, che comunque possono riferire solo dati parziali, dal momento che le donne in Afghanistan raramente denunciano le violenze nei loro confronti, tanto meno dall’agosto 2021, momento in cui i talebani hanno ripreso il potere e imposto un’interpretazione estremamente restrittiva della sharia (nel lessico islamico “la legge sacra, imposta da Dio”).
La violenza inumana nei confronti delle donne afghane non è solo fisica ma anche psicologica; oggi in Afghanistan le donne sono escluse dalla vita. Non hanno accesso all’istruzione secondaria, non possono lavorare (e per i milioni di vedove questo significa non avere nulla con cui sostenere se stesse e le proprie famiglie), non possono frequentare parchi e palestre, non possono lavorare presso ONG, non possono uscire di casa senza un parente maschio ed è loro imposto di coprirsi da capo a piedi con un velo nero o con un burqa. Gli uomini sono ritenuti responsabili del comportamento delle donne di famiglia e quindi sono loro a subire condanne e sanzioni nel caso in cui le donne non si comportino come prescritto; questa “regola” costituisce un pesantissimo ricatto nei confronti della società tutta.
E dove divieti e tradizione non sono abbastanza, è la paura che costringe le donne a non uscire: “Si dice che i talebani prendano le ragazze per darle ai loro soldati e quindi le famiglie impediscono loro di uscire in strada anche per comprare il pane. E sono sempre di più le ragazze che, chiuse in casa, senza poter andare a scuola manifestano disordini del sonno e disturbi psichici”, raccontano da Kabul.
Le attiviste, coloro che resistono, che sono state e continuano a essere in prima linea nelle proteste pacifiche per affermare i diritti delle donne, vengono arrestate, incarcerate, torturate; spesso non si sa nulla del loro destino.
Ma le donne afghane non sono oggetto di violenza solo dall’agosto 2021: la violenza nei loro confronti è endemica, e l’occupazione ventennale USA e NATO, portata avanti anche con il pretesto di voler liberare le donne, non è certo servita a risolvere il problema.
Una relazione del 2015 pubblicata dallo Special Rapporteur per i diritti umani dell’ONU descrive la situazione in quel momento: oltre l’87,2% delle donne subivano violenze in famiglia a vari livelli (fisica, psicologica, sessuale, attraverso matrimoni forzati e precoci); nella maggior parte dei casi i responsabili di questi crimini non sono stati condannati se le corti accertavano che la violenza era stata perpetrata a causa di una disobbedienza della donna.
I matrimoni forzati e precoci sono diffusissimi: per la legge, l’età minima per contrarre matrimonio è di 18 anni per i maschi e 16 per le donne ma, nonostante questo, si tratta di una pratica prevalente.
Una ricerca condotta dall’Afghanistan Multi Indicator Cluster Survey (MICS) ha certificato che il 15,2 per cento delle donne intervistate si erano sposate prima dell’età di 15 anni e il 46,4 prima dei 18. Un fenomeno che è alla radice della maggior parte delle violenze domestiche e che spesso porta le vittime a infliggersi gravi ferite o a cercare la morte per autoimmolazione. Le ragazze che rifiutano il matrimonio forzato e fuggono rischiano di essere uccise dalla propria famiglia: tra il 2011 e il 2012 l’Afghan Independent Human Rights Commission ha registrato 280 casi.
Prima del ritorno al potere dei talebani, le donne che avevano avuto il coraggio di scappare da situazioni estreme potevano far ricorso agli shelter per donne maltrattate che, sebbene insufficienti e spesso male organizzati, offrivano una via di fuga. Oggi i talebani hanno imposto la chiusura di tutti gli shelter, rimandando le vittime a casa, dai loro aguzzini.
In pericolo sono anche le stesse operatrici degli shelter, persone facilmente rintracciabili e oggetto di ritorsione da parte dei talebani, che cercano coloro che considerano “nemici” casa per casa con retate e perquisizioni a tappeto.
Nella comunità la situazione non migliora: in un paese in guerra da oltre 40 anni le donne sono le prime vittime di rapimenti e stupri, e nella società afghana conservatrice e patriarcale è la vittima a dover portare il peso della vergogna. Le donne sono considerate le custodi dell’“onore familiare” e in caso di stupro sono viste come coloro che disonorano la famiglia.
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