Sorelle senza confini – Mama Mercy
30 Ottobre 2024
Sibghatullah Mujaddedi è nato a Kabul il 21 aprile 1925 ed è morto il 12 febbraio 2019.
Dopo la caduta dei talebani nel 2001, Mojaddedi è tornato in Afghanistan dal Pakistan ed è diventato presidente della loya jirga del 2003, l’assemblea che ha approvato la nuova costituzione dell’Afghanistan. Ha causato polemiche definendo pubblicamente Malalai Joya “comunista” e “infedele” dopo il suo discorso, per il quale in seguito si è scusato. Amnesty International ha affermato che Mojaddedi e la leadership della jirga hanno ridotto la libertà di parola all’assemblea, incluso il rifiuto di lanciare un voto sul cambiamento della “Repubblica islamica dell’Afghanistan” in “Repubblica dell’Afghanistan” nonostante abbiano ottenuto abbastanza firme, chiamando pubblicamente i delegati che lo hanno firmato “miscredenti” e “apostati “. (fonte Wikipedia)
“Il nostro popolo sa bene che nel 1992 il Primo Ministro pachistano, Nawaz Sharif, concesse 10 milioni di dollari per mettere in piedi il governo dei Mujahaddin e che Mojadidi distribuì questo denaro ai propri parenti”. (fonte RAWA)
Sibghatullah Mojaddidi è il Pir (titolo onorifico attribuito al leader di una confraternita) della confraternita sufi naqsbandi e una figura della resistenza antisovietica, alla quale ha partecipato alla guida del partito Jahba-e Melli-e Nihat Afghanistan. È nato a Kabul nel 1925 da un’importante famiglia di sceicchi sufi legata alla monarchia ma critica riguardo all’eccessiva occidentalizzazione delle leggi e dei costumi. Dopo aver completato le scuole superiori a Kabul, ha studiato alla facoltà di legge dell’Università al-Azhar del Cairo, dove si è legato ai Fratelli musulmani e si è laureato nel 1953. Tornato in Afghanistan, ha insegnato sino al 1959 in tutti i principali istituti di istruzione della capitale.
I dati biografici di Mohaqqeq sono piuttosto incerti: sarebbe nato intorno al 1955 nei pressi di Mazar-e Sharif (provincia di Balkh). Titolo onorifico attribuito al leader di una confraternita.
È stato tra i primi a protestare per l’avvicinamento del Primo Ministro pro-tempore Daoud ai sovietici e nel 1964 è stato incarcerato per aver progettato un attentato contro Kruscev e Bulganin in visita in Afghanistan. Trascorsi tre anni in prigione, dopo la scarcerazione si è recato in esilio negli USA dove è rimasto dal 1968 al 1970. Nel 1971 ha fondato lo Jamat-e Islami-e ulema-ye mohammdi. Di nuovo in esilio dal 1974, dopo il colpo di stato di Daoud dell’anno precedente, si è rifugiato in Danimarca e in Svezia.
Nel 1978 ha costituito a Peshawar lo Jahba-e Melli-e Nihat Afghanistan, filo-monarchico. Il suo partito era il più piccolo tra quelli che operavano a Peshawar e ciò lo ha posto al riparo da odi e vendette.
Nel mese di aprile 1992 è stato eletto Presidente ad interim dell’Afghanistan e ha ceduto l’incarico nel giugno successivo a Burhanuddin Rabbani. Durante la guerra civile si è alleato con Abdul Rashid Dostum, Gulbuddin Hekmatyar e Abdul Ali Mazari contro l’“usurpazione” del potere da parte di Rabbani. Nel 1995 è stato designato capo del Consiglio supremo di concordia.
Durante il regime taliban ha mantenuto una posizione di basso profilo.
Nel dicembre 2003 ha presieduto la Loya Jirga costituzionale chiamata a redigere e approvare la nuova Carta fondamentale del Paese e nel marzo 2005 è stato posto da Karzai alla guida del Program Takhim-e Solh (PTS – Programma di riconciliazione nazionale), diretto a favorire il reinserimento nella vita politica e sociale del Paese degli esponenti legati ai gruppi eversivi che decidono di rinunciare alla lotta armata. Nel dicembre 2005 è stato nominato membro della Meshrano Jirga di cui è diventato poco dopo Presidente. Nel marzo 2006 è sfuggito a un attentato.
Sibghatullah Mojaddidi era una personalità molto rispettata e dal carattere forte e indipendente. Ha preso più volte posizioni che hanno messo in imbarazzo il Governo, in particolare con le sue richieste di sostituzione dei funzionari corrotti e con le sue accuse all’intelligence pakistana (ISI) di appoggiare i taliban e ad ISAF di non fare quanto possibile per evitare la morte di civili nelle operazioni militari. (fonte Argoriente)
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