Solidarietà con donne che resistono in paesi illiberali
29 Agosto 2024
L’Afghanistan del 2023 continua a rappresentare la più grande crisi umanitaria al mondo, con un PIL diminuito del 35% negli ultimi diciotto mesi, il costo del paniere alimentare aumentato del 30% e una disoccupazione che arriva al 40% della popolazione attiva, mentre solo per il cibo viene speso il 75% del reddito (UN News). Negli ultimi quarant’anni, di guerre e occupazione, mai gli afghani avevano dovuto affrontare una crisi economica così pesante come quella innestata dal ritorno dei talebani al potere.
Nel 2022 oltre il 90% della popolazione ha sofferto di insicurezza alimentare: sono decine di milioni le persone che hanno sofferto la fame e sono aumentati i decessi nei bambini per la persistente malnutrizione (Human Rights Watch, Report 2023). La povertà ha costretto a “misure drastiche” per procurarsi un sostentamento minimo, dalla vendita di oggetti domestici vitali all’avvio al lavoro dei bambini, al matrimonio di giovani ragazze e di bambine spose per la dote, fino alla vendita dei propri organi per i trapianti (PAM).
Ma se tutti soffrono, chi sta pagando la crisi economica e sociale in misura enormemente sproporzionata sono le donne, che in conseguenza delle regole sempre più costrittive dei loro diritti di movimento, di lavoro, umani e sociali hanno visto drasticamente ridotte le possibilità di lavorare fuori casa e di procurarsi il cibo per sé e per i figli, ricevere assistenza sanitaria o trovare risorse finanziarie. Il divieto di spostarsi senza un parente maschio che le accompagni, anche quando sono rimaste vedove o sono le uniche in famiglia a poter lavorare, le ha rese ancora più povere e ha trascinato i loro figli nel lavoro minorile più duro: nel 2022 il 29% delle famiglie con capofamiglia donna aveva almeno un figlio occupato nelle fabbriche di mattoni, nei cantieri, nelle case, nella raccolta rifiuti o nell’accattonaggio per le strade (Save the Children).
Nel 2022 I livelli di occupazione sono crollati per tutti, quasi 450.000 posti di lavoro sono scomparsi. Ma se l’occupazione maschile è diminuita del 7%, l’occupazione femminile è stata inferiore del 25%, così come quella dei giovani. Il lavoro da casa è diventato la forma predominante di partecipazione delle donne al mercato del lavoro, rendendole invisibili e sempre più vulnerabili (ILO Brief, 2023).
Anche le donne che erano riuscite a studiare e godevano di posizioni professionali hanno visto chiudersi tutti gli spazi. Le leggi restrittive dei talebani hanno spazzato via quasi completamente quei lavori che nei vent’anni precedenti erano stati una faticosa conquista di una parte della popolazione femminile, quella che era riuscita a realizzare, o almeno sognare, un riscatto dalla posizione di subalternità e segregazione. Magistrate, giornaliste, mediche, infermiere, insegnanti… sono ora perseguitate e rinchiuse, e, con gli ultimi decreti, addirittura alle operatrici delle ONG e dell’ONU è stato vietato il lavoro, rendendo così ancora più difficile il sostegno umanitario e l’accesso delle donne all’assistenza sanitaria.
Come segnala il report dell’Human Rights Council dell’ONU del giugno 2023, le imprese femminili sono state duramente colpite dalle politiche restrittive introdotte: i redditi delle imprenditrici sono crollati, impedendo loro spesso di pagare i propri dipendenti; alcune imprenditrici hanno riferito che alcuni fornitori si rifiutano di vendere loro materiali sulla base del fatto che una donna non dovrebbe essere a capo di un’impresa e che, come minimo, dovrebbero essere accompagnate da un maharam.
Come dice la nostra compagna Maryam Rawi di RAWA, “Oggi in Afghanistan è una grandissima sfida anche essere semplicemente un essere umano”.
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