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“Sono i fucili ad avere potere nel mio Paese, l’Afghanistan. Noi resistiamo, oltre il silenzio”

È passato molto tempo dall’ultima volta che ho visto Shakiba. Tempo che ha lasciato tracce sul suo volto che, ancora, anche qui, deve nascondere per proteggere la sua vita. Un peso che si intravede dietro le sue parole sicure e appassionate.

La ritrovo, come sempre, coraggiosa, tenace e fragile. Fa parte dell’Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan (Revolutionary association of the women of Afghanistan, Rawa) fondata nel 1977 da Meena Keshwar Kamal, uccisa nel 1987. L’associazione, da sempre clandestina, combatte per i diritti delle donne, la giustizia sociale e la democrazia e continua a portare avanti, anche sotto i Talebani, progetti di istruzione e scuole segrete per ragazze, assistenza medica, formazione professionale, informazione, sostegno alimentare. 

La vita di una militante di Rawa è un impegno totale: continuare il proprio lavoro, proteggere dalla furia talebana se stesse, la propria famiglia, le proprie compagne e le donne coinvolte nei progetti.

Che cosa significa adesso, Shakiba, sotto il regime talebano, essere una militante di Rawa?
Shakiba: È già molto difficile essere donna. Ogni giorno ci sono nuovi divieti, nuove regole per impedirci di vivere. È molto duro, specialmente per le ragazze che hanno perso il loro futuro e la possibilità di imparare. Le donne sono imprigionate nelle case e nella propria mente, non possono andare nemmeno in un parco a respirare un po’ d’aria. Ma per noi attiviste di Rawa la vita è ancora più complicata. Non possiamo stare chiuse tra le mura domestiche, impegnate solo a sopravvivere nel nulla, dobbiamo continuare a portare avanti i nostri progetti. Siamo tornati all’età della pietra e dobbiamo ricominciare da zero. Ma siamo sempre a rischio. 

Come vi proteggete?
Shakiba: Quando usciamo di casa mettiamo l’hijab con la mascherina e anche gli occhiali scuri per non farci riconoscere. Non parliamo con nessuno fuori, nemmeno quando siamo in macchina. Cambiamo casa spesso. Per la città ci muoviamo da sole ma se dobbiamo andare fuori allora ci vuole il mahram (un accompagnatore di sesso maschile, ndr), anche più di uno. Sarebbe impossibile senza. Non facciamo mai la stessa strada né usciamo alla stessa ora. Controlliamo continuamente che nessuno ci segua, devi sempre pensare a quello che potrebbe succedere. 

Una condizione psicologica molto faticosa.
Shakiba: Sì è vero, la paura è sempre con noi ed è così che deve essere, bisogna stare all’erta. Per noi, per le compagne, per la nostra famiglia. 

Come vi spostate quando andate fuori città?
Shakiba: Affittiamo una macchina. Non possiamo usare le nostre, potrebbero seguirci fino a casa. Nei primi tempi c’erano molti posti di blocco, controllavano tutto, i cellulari, le macchine. Entravano anche nelle case, cercavano soprattutto armi. Ora meno, ma quando usciamo non portiamo mai il nostro cellulare, né i documenti.

Non è una novità per Rawa.
Shakiba: Infatti. Continuiamo a cercare modi per poter lavorare segretamente e non farci riconoscere. Sono i sistemi che Rawa ha sempre usato fin dalla sua nascita. Non ci mostriamo mai, nessuno sa chi fa parte di Rawa. Usiamo nomi falsi in modo da non poter essere mai identificate. Il nostro volto non deve mai essere registrato dalle telecamere. 

Dove sono queste telecamere? 
Shakiba: Dappertutto. In tutte le strade e nelle case. Lo hanno ordinato appena arrivati. Ogni immobile deve avere la sua, a spese dei condomini. La guardia, una specie di portiere, deve badare a tenerle sempre accese. Se vogliono sapere qualcosa è obbligato a mostragli i video. Per la strada le installano loro. Per questo dobbiamo essere assolutamente irriconoscibili. C’è di buono che spesso manca l’elettricità.

Quando andate nelle province, a seguire i vostri progetti, come siete accolte?
Shakiba: Nei villaggi i Talebani sono meno pressanti che nelle città. La gente ci accoglie a braccia aperte perché abbiamo progetti di scuola, di salute, di sostegno alimentare. Li conosciamo e ci conoscono. La gente nei villaggi ha un buon cuore. 

I Talebani hanno sostegno nelle province?
Shakiba: Non tutti la pensano allo stesso modo. I Talebani hanno, anche lì, i loro follower. Ma nei tre anni passati si è diffuso molto odio tra la popolazione verso di loro. Le persone hanno sofferto tanto, anche gli uomini. I militari dell’esercito sono stati licenziati e perseguitati, negli uffici pubblici hanno messo la loro gente, moltissimi hanno perso il lavoro.

L’odio per i Talebani potrebbe un giorno diventare una resistenza organizzata per combatterli?
Shakiba: In questo momento la povertà è enorme. Le persone non riescono nemmeno a pensare al futuro, il loro unico problema è quello di nutrire i propri figli, adesso. Ma forse, quando davvero non ne potranno più di questa vita di stenti, qualcosa faranno. 

Quindi è possibile, nel futuro?
Shakiba: Forse, ma ci vorrà molto, molto tempo. Per ora, uscire allo scoperto è molto pericoloso. I Talebani sparano sui manifestanti. Se sono donne, sparano in alto per spaventarle, se sono uomini li abbattono come animali. Quando te li trovi davanti con i fucili spianati e non hai nulla nelle mani è davvero difficile resistere. Sono i fucili ad avere potere nel mio Paese. 

Vedi altri ostacoli che impediscono il formarsi di un’opposizione ai Talebani.
Shakiba: Abbiamo bisogno di istruzione e di consapevolezza politica, di capire che cosa sta succedendo, di farsi delle domande. Oggi non è così. E sarà sempre peggio. Manca una leadership, un partito forte con un progetto potente che sia un punto di riferimento. Le persone istruite, gli intellettuali impegnati, i professori, i politici in gamba hanno tutti lasciato l’Afghanistan e non c’è più nessuna istruzione per le persone che possa formare dei futuri leader.

Infatti l’istruzione è un punto chiave del vostro lavoro.
Shakiba: Sì, per noi l’istruzione e la consapevolezza politica sono fondamentali, dobbiamo dare strumenti alle persone. Dare a qualunque donna, anche se analfabeta, la possibilità di capire che cosa le sta succedendo. Anche agli uomini. Dobbiamo salvare i giovani dall’educazione fondamentalista delle madrase (le scuole islamiche, ndr). Gli fanno il lavaggio del cervello. Non possiamo ritrovarci domani con un Paese fatto solo di Talebani. Sarebbe una catastrofe.

Che tracce ha lasciato il vostro lavoro di tutti questi anni?
Shakiba: Tracce profonde. Abbiamo educato e aiutato centinaia e centinaia di persone nel corso degli anni, dal Pakistan all’Afghanistan. Sono persone che, anche se non fanno politica, e hanno scelto altre vite, sono delle brave persone, affidabili. Sappiamo che vogliono fare qualcosa per il loro Paese, hanno una buona mente e buoni pensieri. Questo li aiuterà in questo tempo selvaggio.

Da dove viene questa ossessione dei Talebani di controllare le donne?
Shakiba: Se tu fai una qualsiasi operazione sulle donne, che sono le radici di tutta la società, lo fai su tutta la famiglia. Le donne trasmettono quello che sanno. Se tu dai istruzione a una donna la dai a tutta la famiglia e se le tieni nell’ignoranza tutta la famiglia sarà ignorante. Una popolazione ignorante, spaventata e senza mezzi per capire, si può controllare meglio. Le donne devono stare fuori dalla società così tutta la società futura sarà sottomessa.

Hanno paura delle donne?
Shakiba: Sì, certo, molta, della loro resistenza, perché sanno di non riuscire a controllarle. Pensano che se le donne fossero istruite toglierebbero loro il potere o parte di esso. Sanno che se le donne decidono di fare qualcosa non si fermano davanti a niente. E possono cambiare tutto. Si sentono minacciati e le schiacciano.

Dei crimini dei Talebani non si riesce a sapere molto.
Shakiba: C’è una fortissima repressione della stampa e controllo sui social. Per questo una delle nostre attività è quella di raccogliere testimonianze sui loro crimini e sulla depressione e la sofferenza delle donne. Abbiamo dei report da ogni provincia afghana, che ci mandano le nostre colleghe. Se un giorno riusciremo a portare i Talebani davanti a un tribunale dovremo avere tutte le prove documentate.

Di quali crimini parliamo?
Shakiba: Assassinii di donne, di gente comune, uccisioni di militari, persone hazara, violenza sessuale nelle prigioni, lapidazioni, fustigazioni pubbliche. O altre cose come tagliare una mano, appendere le persone nelle strade, come nel loro primo governo. Allora le attiviste di Rawa andavano allo stadio, dove venivano punite le donne, con queste piccole telecamere che nascondevano nei vestiti e filmavano quello che succedeva. I video poi sono arrivati ovunque. Ora ci sono i telefoni, la possibilità di fare foto, è più facile sapere. Specialmente nelle province, la gente è disposta a raccontare. Ma, naturalmente, le immagini sono tracce pericolose che devono restare segrete.

Anche una guerra tecnologica con i Talebani?
Shakiba: Anche, sì. Sono diventati bravi, hanno istruttori pakistani. Ma noi siamo più brave di loro e usiamo sistemi forti che ci aiutano a resistere. 

Organizzate ancora manifestazioni?
Shakiba: Al momento abbiamo scelto di non farlo. È troppo pericoloso. Molte donne sono state arrestate, hanno subito torture e alcune sono sparite. Noi siamo preparate al peggio ma abbiamo la responsabilità di tutte le altre, della nostra associazione.

L’inferno afghano è sotto gli occhi di tutti ma nessuna nazione va oltre qualche parola di disapprovazione. Perché li lasciano fare?
Shakiba: Per molto tempo gli americani hanno trattato dietro le quinte e alla fine hanno dato il Paese in mano ai più barbari tra i fondamentalisti. La presa di Kabul dei Talebani è stata una farsa, ai soldati era stato ordinato di lasciarli passare e gli aerei per i membri del governo erano già pronti. Gli Stati Uniti hanno sempre sostenuto i gruppi fondamentalisti e nessuno contrasta il loro progetto. Tutti ne beneficiano. Se avessimo una democrazia stabile, laica e progressista, come è nei nostri sogni, non permetterebbe agli Stati esteri di interferire con gli affari interni del Paese. Con i fondamentalisti invece, per soldi e armi si venderebbero anche la madre. È un contratto facile. Loro faranno qualsiasi cosa per te, per il tuo denaro, ti venderanno le miniere, produrranno oppio per te, ti daranno libertà di movimento sulle loro strade, in modo che tu possa controllare gli altri Paesi come Iran, Pakistan, Russia. E nelle guerre continue, nella precarietà dei popoli, si venderanno sempre più armi e si faranno affari giganteschi. Nessuno quindi ha interesse a toglierli di lì dopo che ce li hanno messi.  

La società civile dell’Occidente che cosa dovrebbe fare?
Shakiba: Dovete agire contro le politiche dei vostri governi, è la sola strada per cambiare qualcosa in Afghanistan. Fate pressione sui leader, perché non seguano le politiche sbagliate degli Usa che avete appoggiato per tanti anni. L’Occidente deve smetterla di sostenere i gruppi fondamentalisti, deve fermare questo gioco che sta distruggendo anche le radici del mio Paese. Senza sostegno i Talebani non sarebbero più in grado di gestire il Paese e crollerebbero. Non ci può essere vittoria finché questa gente verrà sostenuta e finanziata 

Su quale e quanto sostegno economico possono contare i Talebani?
Shakiba: I Talebani dicono apertamente che ricevono dagli americani 40 milioni di dollari ogni settimana, per il mantenimento dell’apparato statale. Se c’è una cosa che non manca loro sono proprio i soldi. Se una Ong vuole fare un progetto deve registrarsi e pagare delle consistenti tasse al governo. I Talebani hanno proprie Ong che sono finanziate dall’Onu. E poi hanno i proventi delle tasse, delle concessioni di miniere e altri sfruttamenti del nostro territorio. Molte nazioni hanno fatto accordi con loro: Cina soprattutto, ma anche Kazakistan, Iran e Pakistan che prende il nostro carbone. Gli accordi per affari promettenti portano a una pericolosa normalizzazione, adesso in atto, che è la base per un futuro riconoscimento del governo talebano. La schiavitù delle donne è un effetto collaterale e trascurabile. 

I Talebani hanno rivali sul territorio?
Shakiba: Ci sono diversi gruppi terroristici ma non sono una minaccia per i Talebani. Hanno il controllo dappertutto ormai. E l’Afghanistan sta diventando un “centro di servizi terroristici”, alimentati dall’Occidente. Si addestrano, raccolgono milizie, si armano. L’idea è questa: fai crescere diversi burattini, per poi poterli usare contro i tuoi rivali. Isis-K, ad esempio, è usata come minaccia contro la Russia. Gli americani si tengono buoni anche i warlords del governo precedente. Quando hanno visto che i warlords non erano più affidabili, si rivolgevano ad altri Stati, russi, pakistani, cinesi e si combattevano tra loro, hanno puntato sui Talebani che sono più stabili ma i warlords sono in attesa. Non si sa mai. 

Qual è il messaggio più forte per la vostra gente?
Shakiba: Noi siamo qui, siamo dietro di voi e non dovete perdere la speranza. Non siete soli e non vogliamo andarcene. Troppa gente è scappata in cerca di un’altra vita, ma noi restiamo al vostro fianco.  

A queste parole Shakiba si commuove e noi con lei.

Non di solo fondamentalismo vivono i Talebani: tra oppressione, corruzione e un fiume di denaro

È risaputo: il governo talebano si sostiene con gli aiuti che i Paesi occidentali donatori, e gli Stati Uniti in particolate, inviano in Afghanistan.

I rapporti dell’Ispettore generale speciale per la ricostruzione dell’Afghanistan (Sigar) l’hanno mostrato più volte. La gran parte degli aiuti che arrivano nel Paese vengono intercettati dai Talebani in vario modo e trattenuti, con le buone o le cattive, per il sostegno diretto dell’apparato statale e per foraggiare il consenso e la fedeltà dei funzionari che amministrano, mantengono e sostengono il regime ai vari livelli e nelle regioni più remote, senza che le organizzazioni preposte alla distribuzione abbiano la capacità o la volontà di controllo o rifiuto.

Ma come hanno fatto i Talebani a mettere in piedi in così breve tempo questo modello di governanceIn realtà, l’apparato era già pronto: l’economia afghana era già abituata a mantenersi grazie ai finanziamenti esterni e alla corruzione. Nei vent’anni di dominio statunitense la Repubblica islamica non aveva sviluppato un’economia indipendente e autosufficiente perché la politica Usa era stata quella di usare i “soldi come arma”, inondare cioè l’Afghanistan con un’enorme quantità di denaro per “tenere buoni” i terroristi e le possibili ribellioni senza dover intervenire direttamente con soldati e armi.

Quando gli Stati Uniti e la coalizione hanno lasciato il Paese, tutti coloro che si erano mantenuti e arricchiti grazie a questo sistema di corruzione sono scappati dall’Afghanistan o si sono nascosti ma nulla è mutato: sono semplicemente cambiati i destinatari, sono stati sostituiti dai Talebani, dai loro miliziani e sostenitori, che si sono infilati ovunque hanno potuto per accaparrarsi le fonti di reddito e di ricchezza. 

Quindi le tasse, le tangenti, i balzelli che sistematicamente e in grande quantità vengono richiesti non solo alle ricche Ong e alle istituzioni internazionali che forniscono gli aiuti ma finanche agli strati più poveri della popolazione affamata e alle più povere fra le donne, quelle senza marito e senza lavoro, vanno ad arricchire non tanto le tasche dello Stato quanto quelle personali dei ministri talebani, il loro patrimonio personale e quello dei loro affiliati, così facendo dell’Afghanistan uno Stato cleptocratico in piena regola. 

In che modo i Talebani producono la loro ricchezza? Innanzitutto attraverso le tasse, “un sistema fiscale tanto rigoroso ed efficiente da aver ricevuto gli elogi delle agenzie internazionali, che è in realtà un sistema di estorsione che mettono in atto con la loro autorità per consolidare il loro potere, sostenere la macchina repressiva, costruire madrase e moschee, promuovere la talebanizzazione della società, senza fornire alcun servizio alla popolazione. Di fatto di un sistema di estorsione rivolto a una delle popolazioni più disgraziate del Pianeta”, spiega Zan times.

Ma raccolgono le loro entrate anche attraverso la distribuzione di varie licenze e servizi per i quali possono addebitare tariffe ufficiali e tangenti non ufficiali, come per i passaporti e le carte d’identità. Nel 2022 per un passaporto venivano chiesti tra gli 800 e i tremila dollari, così raccogliendo in spese di emissione un totale di circa 50 milioni di dollari. Il prezzo delle carte d’identità è arrivato a cinque dollari, un costo significativo per più della metà dei cittadini afghani che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno, e finora i Talebani ne hanno distribuito circa quattro milioni. 

Le tasse vengono riscosse anche in modo informale, attraverso visite porta a porta, con incarcerazioni, minacce e atti di violenza in caso di mancato pagamento dei dazi doganali e fiscali e delle sempre nuove tasse richieste al settore privato, esorbitanti anche per gli imprenditori. 

E poi ci sono le tangenti che vengono richieste alle donne e ai loro famigliari. Grazie alle leggi che tolgono le libertà alle donne, chi ha in mano il potere può lucrare sulle concessioni rilasciate di volta in volta. Le restrizioni per le donne a viaggiare da sole o all’estero, l’imposizione di indossare l’hijab, il divieto di lavorare sono state trasformate in fonti di guadagno per chi gestisce il potere, per quanto piccolo: molte donne hanno testimoniato che sono riuscite a passare la frontiera o a viaggiare solo grazie alle tangenti o alle multe che hanno dovuto pagare. 

Si scopre così che tutte le limitazioni imposte alla popolazione e in particolare alle donne non sono dettate solo dal furore fondamentalista dei religiosi talebani che vogliono diffondere la sharia ma di più dalla ricaduta economica che i funzionari che le applicano possono trarne in termini di tangenti, imposte per qualsiasi servizio indispensabile alla sopravvivenza della popolazione. 

Anche l’assoluta subordinazione cui sono costrette le donne e che le costringe a lavorare in condizioni di schiavitù, mentre le rende lo strato più povero della popolazione -gli aiuti umanitari arrivano per ultimi o mai alle donne e ai bambini- permette ai Talebani di arricchirsi sfruttando il loro lavoro.

Dove non bastano le tasse arriva la corruzione. Alcuni testimoni hanno raccontato a 8AM Media che la corruzione è aumentata enormemente rispetto al primo emirato. “I funzionari sono coinvolti in iniziative commerciali, nell’acquisto di terreni e case, nella costruzione di serbatoi petroliferi e nella conduzione di scambi commerciali. Inoltre si vedono casi di traffico di droga e la maggior parte dei comandanti locali, una volta insediati, prendono la seconda, la terza e la quarta moglie, organizzano nozze sontuose e comprano auto costose. Gli stessi funzionari ammettono che la corruzione, particolarmente dilagante nelle dogane, è incontrollabile, perché ogni comandante o membro talebano ha affiliazioni con il regime ed è intoccabile”. 

Nella struttura di potere talebana, dove le mogli sono considerate uno status symbol, leader, funzionari e combattenti stanno alimentando la pratica di offrire “prezzi per la sposa” superiori a quelli di mercato, sfruttando il desiderio di ingraziarsi i Talebani con un legame di sangue o la paura di ritorsioni in caso di rifiuto. 

Anche l’impiego nel governo è un mezzo con cui premiano combattenti e lealisti e allo stesso tempo puniscono chiunque non sia d’accordo con loro, perciò è stato fin da subito oggetto delle loro “attenzioni” per assicurarsene il controllo attraverso diversi assurdi decreti, come la sostituzione delle dipendenti pubbliche del ministero delle Finanze con i membri maschi della famiglia, indipendentemente dalla qualifica, o l’introduzione di un test religioso, arbitrariamente utilizzato per licenziare i lavoratori negli ospedali pubblici e a tutti i livelli del ministero dell’Istruzione.

A maggior ragione, le posizioni di potere sono state affidate ai parenti: le accuse ai leader talebani di aver nominato i propri figli e altri parenti maschi a posizioni governative sono diventate così gravi che il leader supremo Akhundzada ha emesso un decreto nel marzo 2023 che ordinava ai funzionari di smettere.

Ma se i privilegi dei piccoli funzionari servono ai Talebani per garantirsi la loro indiscussa fedeltà, i leader più potenti hanno fonti di reddito più consistenti e soprattutto si organizzano per mettere al sicuro, all’estero, le ricchezze ottenute, seguendo strade già ben consolidate dal precedente governo, cioè attraverso i viaggi.

Motivi di salute” è la scusa per aggirare le sanzioni internazionali che vietano ai Talebani al governo -tutti accusati di terrorismo internazionale già da molti anni- di viaggiare. Ma in realtà il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti, il Pakistan e la Turchia sono sempre stati disposti a fornire ai singoli leader talebani un rifugio sicuro per i loro beni o per le loro famiglie, per spostare risorse finanziarie personali all’estero.

Pur facendo bilanci pubblici, il governo è riluttante a spiegare come le risorse economiche vengono usate. Per i contratti governativi, le vendite di proprietà, le licenze e le varie concessioni non esistono una contabilità e criteri per l’assegnazione pubblici, nè meccanismi di responsabilità esterna. Secondo il presidente dell’Afghan peace watch, i familiari stretti di almeno due attuali ministri ad interim talebani hanno uffici privati attraverso i quali i firmatari afghani e stranieri possono ottenere contratti governativi e altri favori per una tariffa extra.

Più che preoccuparsi per il riconoscimento internazionale, i Talebani sembrano interessati ad aumentare il loro accesso al denaro contante, e le entrate doganali sono una fonte importante di valuta, dato che la comunità internazionale ha tagliato l’accesso alle riserve di valuta estera. 

Le esportazioni e i dazi doganali legati alle risorse naturali hanno aumentato notevolmente le loro entrate. I leader talebani hanno un’influenza praticamente incontrollata sui diritti, sull’estrazione e sull’esportazione delle ricchezze minerarie dell’Afghanistan. Specialmente il carbone -che si basa sul lavoro dei bambini -, ma un rapporto delle Nazioni Unite ha indicato che contrabbandano anche pietre preziose e metalli semipreziosi verso l’Asia centrale, l’Europa e il Golfo Persico. Allo stesso modo, il disboscamento illegale e le esportazioni di legname sono diventati molto redditizi.

Anche il contrabbando è una fonte di ricchezza. Un’importante via per il commercio illecito, il traffico di droga e altre pratiche corrotte è l’Accordo commerciale di transito tra il Pakistan e l’Afghanistan (Aptta) che vede dirottare nel mercato nero del Pakistan un’immensa quantità di prodotti aggirando tariffe e dazi, secondo alcune stime per miliardi di dollari, senza che vengano imposti controlli: funzionari e agenti di frontiera vengono corrotti o costretti a non intervenire.

Ma i Talebani sono stati identificati anche come direttamente coinvolti nel traffico di armi. Con il loro permesso, i trafficanti di armi hanno fondato bazar nelle regioni di Helmand, Kandahar e Nangarhar, con armi importate da Austria, Cina, Pakistan, Russia e Turchia. 

Anche il traffico degli esseri umani a opera delle reti di trafficanti è fonte di guadagni: mentre gli alti leader talebani ne hanno annunciato il divieto, le singole guardie non disdegnano di accettare tangenti pur di guardare dall’altra parte ai posti di frontiera, secondo quanto riferito. 

E poi c’è il commercio dell’oppio, da sempre la principale fonte di ricchezza per i Talebani. Il governo ne ha proibito la coltivazione, così i prezzi dell’eroina sono aumentati in modo significativo a tutto vantaggio dei più ricchi che possono trarre profitto dalla pasta di oppio accumulata. I leader hanno vietato la coltivazione dell’oppio perché vogliono imporre la loro autorità, decidere se può essere coltivato o meno e dove farlo, cioè quali sono i trafficanti autorizzati a gestire, coltivare e trattare i narcotici. 

Infine ci sono le organizzazioni umanitarie che operano in Afghanistan: sono spesso costrette a pagare tasse, presumibilmente per garantirsi la sicurezza. I Talebani arrivano a pretendere il 15% degli aiuti delle Nazioni Unite. Ma non basta: si sono inseriti con loro affiliati in molte organizzazioni occupando posizioni strategiche così da manovrare l’assistenza indirizzando i fondi verso loro sostenitori, membri della famiglia, soldati disabili, veterani e madrasse, a volte con la mediazione dei mullah che ricoprono il ruolo di leader comunitari in cambio di una tangente. E chi riesce a ottenere gli aiuti viene tassato anche fino al 66% di quanto ricevuto. Inoltre hanno costituito e registrato Ong proprie, che controllano direttamente e attraverso le quali possono ricevere gli aiuti umanitari dalle organizzazioni internazionali e distribuirli nelle località con maggiori affinità politiche, etniche, regionali e religiose.

Ma quanti soldi sono riusciti a ottenere in questo modo? Se guardiamo ad esempio agli aiuti inviati dagli Stati Uniti, che sono di gran lunga il principale donatore, il Sigar rivela che dall’agosto 2021 i partner attuatori statunitensi hanno pagato al governo talebano in tasse, commissioni, servizi almeno 10,9 milioni di dollari. Ma il Sigar ritiene che, poiché i pagamenti delle agenzie Onu che ricevono fondi statunitensi non sono soggetti a controlli, l’importo effettivo potrebbe essere molto più alto, se consideriamo che dall’ottobre 2021 al settembre 2023 le Nazioni unite hanno ricevuto 1,6 miliardi di dollari dagli Stati Uniti, su un totale di aiuti statunitensi di 2,9 miliardi di dollari nel triennio. Tutti soldi che mantengono i Talebani al potere perché pagano i privilegi e la corruzione dei loro fedeli funzionari corrotti e dei loro sostenitori per assicurandosi il loro appoggio.

Che cosa accadrebbe se questi aiuti smettessero di arrivare? 

Buona parte della documentazione a supporto di questo articolo è tratta dal Report del George W. Bush presidential center “Corruption and kleptocracy in Afghanistan under the Taliban”.

Beatrice Biliato è un’attivista di CISDA

L’articolo è uscito il 22 ottobre 2024 su Altreconomia.it

Che peccato, Meryl Streep!

Il discorso di Meryl Streep all’ONU, che ha confrontato le donne afghane con un gatto o a uno scoiattolo, evidenziando come questi abbiano più libertà e considerazione di una donna oggi a Kabul, sicuramente è stato più efficace di mille dettagliate spiegazioni delle leggi talebane contro le donne che le organizzazioni per i diritti delle donne si prodigano di fare ovunque e appena possibile nel tentativo di spiegare alla comunità civile internazionale quanto sia terribilmente insopportabile la segregazione cui i talebani sottopongono le donne e le ragazze afghane. Uno splendido esempio di capacità di comunicazione, un modo semplice ma efficace di diffondere informazione, che colpisce l’immaginario e la sensibilità della gente semplice – e forse anche degli assuefatti addetti ai lavori.

Una capacità di sintesi e incisività che spesso manca a noi attiviste che lavoriamo a stretto contatto con le donne afghane, sopraffatte come siamo dal desiderio di raccontare con più dettagli possibili le torture, fisiche e psicologiche, cui le donne sono quotidianamente costrette a far fronte, cercando di riversare più storie possibili nei pochi stretti spazi di comunicazione che ci vengono concessi dalla grande informazione e dalla politica ufficiale, nel tentativo di dare voce alle dimenticate donne afghane per risarcirle di tutte le loro privazioni.

Discorso sapientemente costruito, quello di Meryl Streep, probabilmente preparato da abili esperti della comunicazione… ma privo del contatto reale con la popolazione e le donne afghane, un discorso scritto e pronunciato lontano dalla realtà e dalla storia politica dell’Afghanistan.

Perché se Meryl Streep e i suoi pr avessero una maggiore conoscenza di cosa pensano e cosa chiedono le donne che, rimaste in Afghanistan o costrette a fuggire via dal Paese, comunque combattono ogni giorno una battaglia di resistenza contro i fondamentalisti e i politici corrotti – battaglia che era già in atto durante la precedente repubblica – saprebbero che le leader citate nel discorso come paladine della libertà e dei diritti delle donne afghane e rappresentanti delle loro battaglie, sono invece considerate traditrici dei loro interessi.

E non erano sentite rappresentative neanche quando stavano in Afghanistan, proprio perché essendo leader nel governo repubblicano, retto da personaggi ex signori della guerra, corrotti e incapaci, godevano dei benefici, personali e famigliari, che derivavano dalle loro posizioni di potere. Per questo sono state contestate nel corso della loro carica politica da gruppi di cittadini e di attivisti che le hanno accusate di corruzione  o collusione con partiti fondamentalisti.

Nemmeno la loro disponibilità a partecipare ai colloqui di Doha del 2020 finalizzati a riportare al potere i talebani viene considerato un merito: non solo sono state semplicemente usate come bandiera di democrazia e uguaglianza senza che avessero nessun peso politico reale, erano semplice tappezzeria. Ma anche recentemente, in occasione della 3° Conferenza di Doha, sono state contestate perché favorevoli a un accordo con i talebani, un accordo che, con un riconoscimento ufficiale o di fatto, le riporti al potere in un impossibile governo inclusivo.

Perciò, che peccato, Meryl Streep… Non ti sei resa conto che, mentre ti spendevi in quello splendido esclusivo palco che è l’Onu con l’intenzione meritevole e sicuramente sentita di dare slancio alla difesa dei diritti delle donne afghane così ignominiosamente calpestati, stavi in realtà appoggiando la politica dei potenti stati che, mettendo in secondo piano i principi democratici e i diritti delle donne, preferiscono rassegnarsi al regime talebano fondamentalista, accettandolo come realtà di fatto, pur di normalizzare al più presto la politica e l’economia internazionale, e intanto si lavano la coscienza di fronte al mondo invitando alle loro parate internazionali donne importanti e famose che possano intercettare la sensibilità e l’attenzione dell’opinione pubblica mentre la politica vera opera altrove.

Se non sai l’inglese vai sulla rotellina delle impostazioni e seleziona i sottotitoli in italiano.

Germania: rimpatrio forzato per afghani che hanno già scontato condanne con pene brevi

Il 30 agosto un gruppo di 28 cittadini afghani è stato espulso dalla Germania e rimpatriato in Afghanistan. La stampa non ha riportato notizie di manifestazioni di protesta contro tale misura e i giornali sono quasi unanimi nella loro approvazione dell’azione del ministero dell’interno tedesco in collaborazione con la maggior parte dei Länder (11), affermando come siano stati espulsi criminali pericolosi già condannati e che avevano già scontata tutta o parte della pena; alcuni sono stati prelavati direttamente dal carcere.

In molti giornali vengono riportati i crimini di cui si erano macchiati (stupri, violenze a sfondo sessuale, assalti armati con coltello, mentre su un solo giornale si legge che alcuni avevano condanne per spaccio di droga). In realtà la maggior parte era stata condannata a pene relativamente brevi (2-5 anni), mentre dai titoli dei maggiori quotidiani si ha l’impressione che si trattasse di veri e propri pericoli pubblici. In particolare, viene dato risalto all’espulsione di un uomo che alcuni anni fa aveva partecipato a uno stupro di gruppo su una quattordicenne; in realtà però costui aveva già scontato la sua pena (aveva avuto soltanto 2 anni di reclusione).

Clima pesante per gli immigrati in una Germania che vira verso l’estrema destra

L’azione, che ha avuto luogo solo due giorni prima delle elezioni politiche nei Länder della Sassonia e della Turingia, sarebbe stata in realtà in preparazione da circa due mesi. La Germania si è avvalsa dell’appoggio del Qatar: l’aereo partito da Lipsia era del Qatar, e a bordo non c’erano forze di sicurezza tedesche ma qatariote. In questo modo la Germania può affermare di non aver trattato direttamente con i talebani e di non aver avuto nessun rapporto diretto con loro.

Il rimpatrio si inserisce in un clima nazionale nel quale l’immigrazione ed i problemi ad essa collegati sono diventati temi attuali e scottanti. In particolare, negli ultimi mesi l’opinione pubblica è stata scossa da due episodi di violenza di cui sono stati protagonisti dei rifugiati.   Alla fine di maggio a Mannheim durante una manifestazione anti-islam un afghano incensurato ha attaccato con un coltello alcune persone, uccidendo un poliziotto; bersaglio dell’attentato era un noto attivista di destra, che si preparava a fare un discorso. In quell’occasione il Cancelliere Scholz aveva parlato dell’intenzione di deportare gli autori di gravi crimini, anche se provenienti da paesi come Afghanistan e Siria.

Il 23 agosto a Solingen durante i festeggiamenti per il 650° anniversario della nascita della città un cittadino siriano armato di coltello ha ucciso tre persone e ne ha ferite altre otto “per vendicare i mussulmani in Palestina e ovunque”. Grandi polemiche ha suscitato il fatto che già nel 2023 l’attentatore avrebbe dovuto essere espulso e rimandato in Bulgaria in base agli accordi del Trattato di Dublino 3, ma che per motivi burocratici l’espulsione non aveva poi avuto luogo.

A seguito degli attentati, e soprattutto di quello del 23 agosto, è aumentata da più parti la pressione sul governo perché metta in atto politiche per limitare l’immigrazione e garantire la sicurezza del paese. Negli ultimi giorni, sempre sull’onda delle reazioni per l’attentato a Solingen, il governo tedesco ha approvato un pacchetto di misure per limitare il diritto d’asilo e da lunedì 16 settembre verranno ripristinati – per sei mesi – i controlli alle frontiere tedesche (scavalcando Schengen).

La Germania intende anche continuare la politica dei rimpatri forzati. In base a voci che la Ministra Federale dell’Interno Nancy Faeser non ha né confermato né smentito, la sua attuale visita in Uzbekistan assieme al Cancelliere Scholz avrebbe anche come obiettivo quello di rendere possibil rimpatri nel confinante Afghanistan evitando rapporti diretti con i talebani.

Nel frattempo, i partiti di opposizione utilizzano il tema dell’immigrazione per profilarsi e attaccare la politica del governo. Alle ultime elezioni europee il partito di estrema destra AfD, che fa dell’opposizione all’immigrazione uno dei temi centrali della propria politica, ha raggiunto il secondo posto in Germania con il 15,9% dei voti. Il crescente consenso per questo partito è stato rispecchiato anche dai risultati delle elezioni politiche del 1° settembre in Turingia ed in Sassonia, due soli giorni dopo il rimpatrio dei cittadini afghani: l’AfD è risultato il primo partito in Turingia e il secondo in Sassonia (per una manciata di voti), mentre ottimi risultati ha avuto anche il nuovo partito populista fortemente anti-immigrazione denominato Alleanza Sahra Wagenknecht.

Il fallimento dello stato di diritto

Mentre dal panorama politico non si sentono voci contrarie alle espulsioni, critiche decise sono arrivate dalle organizzazioni per i diritti umani.

La segretaria di Amnesty International Germania ha criticato l’espulsione verso un Paese che pratica la tortura e non rispetta i diritti umani, affermando che con le deportazioni in Afghanistan la Germania rischia di diventare complice dei talebani. Pro-Asyl, che teme che questi rimpatri passano essere un primo passo verso la normalizzazione dei rapporti con i talebani, ha parlato di “fallimento dello stato di diritto” e ha ricordato che in Afghanistan nel solo mese di giugno più di 60 persone sono state frustate con l’accusa di omosessualità. L’organizzazione umanitaria Medico International ha parlato di un governo che in un clima di populismo di destra va a caccia di voti “sulla pelle dei perseguitati”, ed ha ammonito che non si sa a cosa andranno incontro i deportati dopo il rientro in Afghanistan.

NO alla partecipazione di Fawzia Koofi alla Conferenza di Oslo

Domani, 5 settembre, si terrà a Oslo la conferenza Woman, life freedom alla quale è stata invitata come speaker Fawzia Koofi, membro di una famiglia molto influente ed ex parlamentare afghana. CISDA e le organizzazioni afghane con le quali collaboriamo hanno più volte rilevato come questa signora e la sua famiglia si siano resi responsabili, nel loro paese, di abusi e corruzione. Per questo, nello scorso giugno, CISDA ha inviato una lettera al Norwegian Nobel Institute.

Di seguito il testo della lettera in italiano, mentre qui si può scaricare l’originale in inglese inviato all’Istituto.

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Spettabili signori del Nobel Peace Center,

siamo una organizzazione italiana che dal 1999 lavora al fianco di alcune associazioni di donne afghane; in tutti questi anni abbiamo avuto modo, in molteplici occasioni, di incontrare le donne afghane nel loro paese, di capire quanta forza e determinazione mettevano nel volersi sollevare da una pesante condizione di oppressione attraverso il lavoro, lo studio, la consapevolezza dei propri diritti.

Le donne afghane sanno bene che nessuno dei regimi o governi che si sono susseguiti negli ultimi decenni ha realmente lavorato per garantire loro una vita dignitosa e libera.

Il loro lavoro instancabile prosegue ancora oggi, nonostante le difficoltà e le minacce.

Siete sicuramente a conoscenza delle regole disumane che il regime talebano impone a donne e ragazze. Da oltre 1000 giorni le ragazze non possono proseguire gli studi dopo la scuola primaria e sono costrette a subire quello che possiamo definire apartheid di genere.

L’Afghanistan è il solo paese al mondo che impedisce l’istruzione alle donne.

In Afghanistan le donne sono state private di ogni diritto: non possono viaggiare, lavorare, avere cure mediche adeguate e una vita autonoma.

Abbiamo appreso che il 5 settembre 2024, a Oslo, si terrà la conferenza Woman, life freedom alla quale è stata invitata come speaker Fawzia Koofi, membro di una famiglia molto influente ed ex parlamentare afghana. Ebbene, questa signora e la sua famiglia si sono resi responsabili, nel loro paese, di abusi e corruzione.

La signora Fawzia Koofi e sua sorella Mariam hanno sempre usato il loro potere politico per proteggere i loro fratelli, perseguiti per traffico di droga. Lei stessa ha sempre approfittato della sua posizione per trattenere per sé o dirottare sui propri affari una buona parte dei finanziamenti ricevuti dai governi occidentali al fine di costruire scuole o case per i più bisognosi.

Si veda anche questo post.

Tutto questo è stato denunciato dagli stessi abitanti della regione (Badakhshan) di cui era rappresentante parlamentare e corredato di foto e documenti (See the real face of Fawzia Koofi and her corrupt family! « RAWA News)

Nel suo ruolo di parlamentare e vice presidente dell’Assemblea nazionale afghana Fawzia Koofi è stata responsabile di aver sostenuto un governo corrotto e incapace, costituito da signori della guerra che spesso dovevano il loro potere non alle capacità politiche ma alle efferatezze compiute. E il ruolo puramente marginale e formale delle donne al suo interno non sminuisce la responsabilità di coloro che si sono prestate ad avallarlo per tornaconto personale.

Fawzia Koofi si è anche prestata ad avallare gli accordi tra USA e talebani nel 2020, a Doha, per consentire il loro ritorno al potere, partecipando direttamente alle trattative e fornendo una patina di democraticità a una manovra che è ricaduta sulle spalle del popolo afghano, le donne in particolare, mentre i governanti di allora fuggivano dal paese, come ha fatto lei.

Riportiamo qui le parole di Belquis Roshan, senatrice di opposizione nella Camera alta del Parlamento afghano durante il precedente governo, costretta a lasciare il suo paese e ora rifugiata in Europa, che il 26 agosto 2023, durante un incontro con Richard Bennett, il relatore speciale dell’ONU sulla situazione dei diritti umani in Afghanistan e i delegati alla prima sessione delle NU per discutere dell'”apartheid di genere” in Afghanistan, dichiara: “Le donne che protestano vengono attaccate, quindi le istituzioni internazionali dovrebbero essere la loro voce. Invece di sponsorizzare alcune lobbiste talebane che sono la causa di questa misera situazione, alle donne che combattono coraggiosamente in Afghanistan contro i talebani dovrebbe essere data l’opportunità di far sentire le loro urla pro-democrazia e di essere ascoltate”.

Riteniamo i fatti imputati alla signora Koofi molto gravi e vi chiediamo di considerare e verificare la nostra denuncia.

COMUNICATO – Uno schiaffo al dialogo

Di fronte all’abominevole recente legge dei Talebani emanata dal Ministero per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio contro le donne, la loro libertà e la loro stessa esistenza, la comunità internazionale si è affrettata a esprimere la sua totale condanna e a chiederne l’abrogazione.

In realtà la legge non afferma niente di nuovo rispetto a quanto era già stato deciso e applicato dalla “giustizia” talebana in questi tre anni di suo dominio assoluto. Già le donne non potevano frequentare la scuola dopo i 12 anni, lavorare fuori casa tranne in casi rari, uscire da sole senza l’accompagnamento di un famigliare, farsi vedere senza il jahab, frequentare parchi pubblici, bagni, saloni di bellezza, palestre nemmeno se a loro riservati.

Ora è stato chiaramente sentenziato anche il divieto per le donne a far sentire in pubblico la loro voce, cantare, recitare, leggere ad alta voce, come ultimo segno della volontà di cancellare completamente le donne come esseri umani.

I talebani si sono spinti ad affermare con una legge scritta e con validità nazionale la loro interpretazione della Sharia, che considerano la base del “mandato divino” del loro governo e che intendono propagandare come la giusta interpretazione della religione musulmana.

E’ chiaramente un segno di forza, quello che vogliono mostrare, al mondo prima ancora che ai loro sudditi.

Ma come mai, nonostante tutte le dichiarazioni di condanna della loro politica verso le donne da parte di praticamente tutti gli stati della comunità internazionale e di gran parte del Mondo musulmano i Talebani hanno avuto il coraggio e la faccia tosta di promulgare una legge così forte dando uno schiaffo a tutte le istituzioni internazionali e alle sanzioni promulgate nei loro confronti?

In questi tre anni molti Governi e Stati, non solo quelli vicini nella Regione ma anche i paesi donatori occidentali, hanno praticato aperture sempre maggiori verso il riconoscimento di fatto del governo talebano, fino ad arrivare alla 3° Conferenza di Doha organizzata dall’Onu stessa dichiaratamente per avvicinare i talebani al consesso internazionale, accettando, in nome del loro avvicinamento, di non parlare di donne e diritti umani proprio per dimostrare ai talebani la buona volontà di dialogare con loro, nella speranza  che questi avrebbero poi dato qualcosa in cambio. Basta con il pugno di ferro che ha isolato i talebani e li ha resi più “cattivi” – dicevano –  lasciamo perdere i diritti umani e andiamo avanti con il dialogo su argomenti meno controversi, dimostriamo come siamo “buoni” noi e il nostro sistema democratico, così capiranno…

Ma nel terzo anniversario della loro presa del potere i talebani hanno mostrato con questa legge non solo che non hanno alcuna intenzione di fare aperture sui diritti umani per nessuno, ma addirittura hanno consolidato le loro convinzioni e la presa repressiva sulle donne e tutta la popolazione, mostrando che le norme finora applicate localmente e con arbitrio personale da parte dei vari funzionari talebani e governatorucci locali non rappresentavano semplici abusi o esagerate interpretazioni della sahria ma invece quello che è e continuerà a essere il pensiero ispiratore della loro governance.

Sarà sufficiente questa ulteriore presa di posizione ufficiale per convincere l’Onu, gli Stati e le Istituzioni internazionali che è inutile sperare in un ravvedimento e un cambiamento della loro ideologia ma che invece i Talebani vanno trattati per i delinquenti che sono e costretti alle loro responsabilità, denunciandoli agli organi di Giustizia nazionali e internazionali?

Questo è quanto chiedono le donne afghane che resistono dentro e fuori il Paese e tutte le istituzioni e le organizzazioni che lavorano per i diritti umani.

Questo chiede anche il CISDA.