Può risultare traumatica per chi ha a cuore il futuro dell’Afghanistan, e soprattutto i diritti e la libertà delle donne afghane, la esplicita affermazione di Putin della necessità di riconoscere che il potere in Afghanistan è in mano ai talebani, asserzione che porta dritto dritto al riconoscimento del governo talebano senza condizioni, dimenticando che quel regime oppressivo e fondamentalista ha cancellato tutti i diritti umani e sta portando solo fame alla popolazione e apartheid di genere alle donne.
Ma questa spregiudicata politica non è nella sostanza diversa da quella che stanno portando avanti, in modo più velato, tutti gli Stati che sono interessati a entrare nel futuro dell’Afghanistan e della Regione, siano i paesi vicini, siano le grandi e medie potenze mondiali e regionali, nonché i paesi del Medio Oriente.
Infatti in questi ultimi mesi tutti hanno avuto contatti con i talebani, o a Kabul o in Paesi loro sostenitori, in preparazione della 3° Conferenza di Doha organizzata dall’Onu (30 giugno/1 luglio 2024) per fare avanzare la decisione, presa già a dicembre 2023, di far rientrare l’Afghanistan in un circuito di rapporti normalizzati con il resto del mondo per il suo reinserimento nel consesso internazionale.
Contatti finalizzati a convincere i talebani ad accettare l’invito a partecipare direttamente questa volta, considerando la loro presenza indispensabile alla buona riuscita dell’evento, come
Guterrez aveva dichiarato già alla fine della 2° conferenza di Doha, quando nelle sue conclusioni, che prendevano atto del fallimento del convegno dovuto alla mancata partecipazione dei talebani, aveva assicurato che nel futuro avrebbe fatto di tutto per garantire la loro presenza nei futuri incontri internazionale. Mesi ricchi di incontri con i talebani per raccogliere le loro richieste e spianare la strada alla loro partecipazione, e cercare di evitare un’altra occasione mancata.
Le vere intenzioni di tutti
Già a marzo l’India aveva avuto un incontro ufficiale tra suoi alti funzionari e talebani, mentre la Turchia affermava essere giunto il momento di dare il riconoscimento al governo talebano e assicurava il suo sostegno nella battaglia.
Poi Turkmenistan e Kazakistan si incontravano a Kabul con i talebani mettendo al centro dei colloqui “il rafforzamento e l’espansione delle relazioni bilaterali” (nella foto una delegazione di talebani in Kazakhistan nell’agosto 2023).
A maggio si sono intensificati gli incontri dichiaratamente dedicati. La Francia mandava a Doha un suo incaricato d’affari per incontrare un rappresentante talebano, così come facevano Uzbekistan e Canada.
Intanto l’inviato speciale degli Stati Uniti per l’Afghanistan incontrava i rappresentanti degli Emirati arabi uniti per valutare “i punti di vista comuni” sull’incontro di Doha, così come faceva l’Ue mandando il suo rappresentante prima a un incontro con il Qatar, che intanto chiedeva ufficialmente ai talebani di partecipare alla Conferenza, poi direttamente con i talebani.
Ancora più esplicitamente, l’Onu mandava una delegazione a Kabul per sentire le esigenze dei talebani per poter “evidenziare le priorità dell’Afghanistan all’Assemblea generale delle Nazioni Unite”; l’Unama si incontrava con l’Iran per definire un comune impegno con il governo talebano in vista della Conferenza; un rappresentante delle Nazioni Unite discuteva con il ministro degli Esteri talebano l’odg e la composizione dell’incontro di Doha; infine il vicesegretario delle NU si recava a Kabul per discutere della nomina del rappresentante speciale delle NU per l’Afghanistan, obiettivo principale dell’Onu sempre avversato dai talebani. E altri ancora si avvicenderanno…
Tutti gli attori in campo testimoniano la ragionevolezza del dialogo con i talebani padroni di Kabul e stanno concordando direttamente con loro l’Odg della Conferenza di Doha
Del resto anche il Portavoce del Segretario generale delle NU Dujarric, forse credendo di dare una banale convincente spiegazione, ha affermato: “Continuiamo il nostro attuale impegno con gli attuali governanti dell’Afghanistan perché sono loro i governanti dell’Afghanistan”…quindi perché scandalizzarsi delle dichiarazioni russe che non fanno altro che rendere esplicite le intenzioni di tutti?
Che cosa viene offerto ai talebani in cambio della loro partecipazione?
I talebani chiedono il rispetto di sei condizioni per la loro partecipazione: un seggio alle Nazioni Unite; che l’ONU ritiri la nomina di un rappresentante speciale per l’Afghanistan; che l’ordine del giorno e la composizione del terzo incontro di Doha siano discussi con loro; che questioni come l’istruzione e l’occupazione femminile e la formazione di un governo inclusivo non siano all’ordine del giorno. Vogliono che ci si concentri solo sullo sradicamento della droga e la lotta contro i gruppi armati, in particolare l’Isis.
Quindi non si parla più di donne e diritti umani, né come punto dell’ordine del giorno, né come partecipazione di rappresentanti di donne e movimenti all’incontro, con la protesta, almeno per ora, solo di HRW e donne attiviste che invitano a boicottare l’incontro.
Del resto, e in sovrappiù, non sono stati invitati neppure rappresentanti della società civile né di altre possibili forze alternative, a smentire lo sbandierato invito ai talebani di fare un governo inclusivo di tutte le etnie e forze politiche.
I talebani, invitati stavolta con tutti gli onori dei capi di stato, hanno affermato che pensano di essere presenti, visto che l’ordine del giorno mostra cambiamenti positivi, concentrato su questioni finanziarie e bancarie, controllo della droga, mezzi di sussistenza alternativi per gli agricoltori, sviluppo del settore privato e cambiamento climatico
Le contraddizioni dell’Onu
È evidente l’ansia di Stati Uniti e Unione europea di ripristinare anche ufficialmente, e non solo attraverso gli aiuti umanitari, i buoni rapporti politici con l’Afghanistan che aprano la strada agli appetitosi rapporti economici che le ricchezze del paese promettono e da cui temono di essere tagliati fuori a favore di Cina, Russia e piccole e grandi potenze locali che non hanno la preoccupazione di salvarsi la faccia come paesi che difendono la democrazia e i diritti umani.
A fare da battistrada c’è l’Onu, che da un lato sbandiera la sua vocazione a difendere i diritti dei popoli e delle donne oppresse con bellissimi Rapporti e dichiarazioni dei suoi Organismi deputati alla difesa dei diritti umani e al controllo del loro rispetto da parte degli Stati, accusando il regime afghano di apartheid di genere, dall’altro organizza questa grande platea di Doha per dare rispettabilità al governo talebano, finora definito de facto ma con la fretta di farlo diventate di diritto attraverso una “ normalizzazione” dei rapporti che possa funzionare come un riconoscimento anche senza una dichiarazione ufficiale.
Beatrice Biliato è un’attivista di CISDA.