Sono tanti i modi in cui puoi sostenere le attività di CISDA: dall’organizzare eventi, all’erogazione di contributi, con il 5×1000 o diventando un’attivista.
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Organizza un evento, la presentazione di un libro o di un film
È molto importante per noi poter organizzare eventi in cui poter raccontare la nostra storia, il nostro impegno e informare riguardo quanto accade in Afghanistan, dando voce alle organizzazioni che sosteniamo.
Durante gli eventi possono essere presentati libri o film particolarmente significativi.
Organizza un incontro nelle scuole
Portiamo la nostra esperienza all’interno di scuole primarie e secondarie, avendo costruito dei contenuti adatti ad ogni età.
Aderisci alle campagne della Coalizione euro-afghana
La Coalizione promuove campagne fondate su appelli specifici che partono dai punti della piattaforma come strumento per arrivare ai decisori politici in un mutuo sostegno alla promozione di campagne e mobilitazioni.
Aderisci a Staffetta femminista
Staffetta femminista Italia-Afghanistan nasce per sostenere Vite preziose di CISDA, un progetto di adozione a distanza rivolto a donne afghane che escono da situazioni violenza e che supporteremo nei loro progetti di vita, nel quadro più complessivo del supporto all’autodeterminazione personale e politica delle donne afghane.
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COORDINAMENTO ITALIANO SOSTEGNO DONNE AFGHANE ETS (C.I.S.D.A)
Fare finta che sia una cosa normale: è così che si accetta e si fa accettare quello che prima sembrava abominevole. Basta non parlarne, non nominarlo, parlare d’altro.
Parlare di banche, droga, aiuti… cose “normali”, quotidiane, di vita e così far dimenticare l’orrore che subiscono quotidianamente le donne in Afghanistan, sottoposte al regime fanatico dei talebani e della loro ideologia, così estrema e aberrante che persino altri regimi estremisti ne suggeriscono un limite. L’Afghanistan è scomparso nei telegiornali e dalla politica internazionale; nessuno ne parla più, come invece è accaduto dopo la presa di potere dei talebani, quando i paesi “donatori” piangevano la tragica situazione del popolo affamato e delle donne schiavizzate e regalavano soldi e parole scandalizzate, come avevano fatto nei venti anni di occupazione in cui avevano sostenuto governi così incapaci e corrotti da non avere credibilità nemmeno per loro.
La distratta condanna morale e le finte sanzioni economiche comminate al governo talebano – ogni mese l’Onu invia in Afghanistan 40 milioni di dollari – non sono state in grado di ammorbidire le leggi crudeli contro le donne e l’Onu oggi dichiara di nutrire preoccupazioni per i crimini nei confronti delle donne e della loro resistenza per poi tirare dritto sulla necessità impellente di aiutare la popolazione e contrastare il traffico di droga. Si sta cercando di ottenere la disponibilità dei talebani a dialogare con la cosiddetta comunità internazionale e far sì che gli interessi dell’Occidente in Afghanistan continuino a essere tutelati.
I talebani chiedono e l’Onu acconsente
In questo contesto, nei giorni scorsi ha avuto luogo la III Conferenza di Doha, un incontro internazionale che ha segnato una svolta nelle politiche occidentali verso quel paese: organizzata dall’Onu per normalizzare i rapporti con il governo de facto dell’Afghanistan e riaprire ufficialmente le relazioni economiche e politiche con le economie occidentali, che in realtà non si erano mai interrotte per alcuni paesi come Cina, India, Asia centrale, Russia, Iran.
La novità è stata la partecipazione diretta dei talebani, che nelle due precedenti Conferenze di Doha non avevano accettato di partecipare, grazie all’accoglimento delle loro condizioni, finora sempre escluse, che hanno imposto di invitare solo loro come rappresentanti del popolo afghano e di non affrontare il problema dell’oppressione e dell’esclusione sistematica delle donne dall’istruzione e dalla società.
Condizioni umilianti, non solo per le donne afghane ma anche per tutta la comunità democratica internazionale, ma accettate dall’Onu e da tutti gli stati partecipanti (seppure con il dissenso del Canada). Accettazione molto criticata da varie associazioni afghanedi donne, da organizzazioni per i diritti umani come Amnesty e addirittura da Richard Bennett, “relatore speciale Onu sui diritti umani in Afghanistan, (che non ha partecipato all’incontro) e che sono costate all’Onu una grossa perdita di credibilità circa il suo ruolo di difensore dei diritti umani. Persino il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione contro le donne (CEDAW) ha espresso profonda preoccupazione per l’esclusione di donne e ragazze dall’incontro di Doha.
La “prima volta” dei talebani… un passo verso il riconoscimento
Apparentemente questa conferenza non ha sortito risultati importanti. Non ci sono stati commenti ufficiali entusiasti alla conclusione dell’incontro, niente toni trionfalistici. Rosemary DiCarlo, sottosegretaria generale dell’Onu per gli affari politici e di pace, che ha presieduto il meeting a nome dell’Onu, ha fatto la sua conferenza stampa in tono minore, quasi in sordina.
Ha messo in evidenza che non c’è stato alcun riconoscimento ufficiale del governo de facto, che non sono state tolte le sanzioni, e che quindi i talebani non hanno ottenuto quanto avevano chiesto. Inoltre ha dichiarato di aver sostenuto in tutti i modi i diritti delle donne, sia direttamente nei colloqui con i talebani, sia attraverso gli incontri, avvenuti a meeting concluso, con le donne che hanno accettato di parlare con lei (alcune si sono rifiutate per protesta), ma senza alcun risultato.
Si potrebbe dire che l’incontro sia finito con un nulla di fatto, dato che né i talebani hanno ottenuto il riconoscimento internazionale del loro governo e la revoca delle sanzioni internazionali, né l’Onu ha ottenuto il mitigamento dei decreti contro i diritti delle donne.
Ma invece un risultato importante c’è stato: è proprio ciò che DiCarlo ha chiamato, soddisfatta e orgogliosa, “la prima volta” dei talebani, il loro primo contatto ufficiale con l’Onu, promettendo che sarà solo l’inizio…
Il vero successo è invece tutto dei talebani ed è costituito proprio dall’essere stati ammessi a un incontro con l’Onu per la prima volta e alle loro condizioni, che l’Onu ha accettato pur di averli a Doha, soprassedendo all’apartheid subito dalle donne e tanto stigmatizzato dall’Onu stesso. Questa “prima volta”, tanto contrastata dalle donne e dagli attivisti per i diritti umani, rappresentava un successo già prima che la conferenza avesse luogo, per il fatto stesso di essere auspicata e cercata dall’Onu.
Mentre l’Onu svende i loro diritti, le donne in Afghanistan sono ancor più represse
Bennett aveva ben espresso il sentire di tutti gli oppositori al governo de facto dell’Afghanistan e delle organizzazioni di donne, dichiarando che la rinuncia ai loro diritti era un prezzo troppo alto da pagare per avere in cambio la normalizzazione dei rapporti con i talebani e l’ingresso nella cosiddetta comunità internazionale.
Un altro importante riflesso di questa visibilità internazionale che i talebani hanno ottenuto nel sedersi al tavolo dell’Onu alle loro condizioni è tutto interno. Le donne che resistono e continuano a protestare a rischio della vita ora saranno ancor più duramente represse grazie a una legittimazione di fatto che la comunità interazione ha regalato a chi devasta diritti delle donne e del proprio popolo.
Ma come giustifica l’Onu questa svendita dei diritti delle donne?
DiCarlo ha spiegato che purtroppo i talebani non si vogliono sedere al tavolo delle trattative se ci sono le donne, quindi, l’Onu è stato costretto a lasciarle fuori dalla porta.
Questa frase, che fa passare questa scelta come un atto di realismo, in realtà dà per scontata la sconfitta della comunità internazionale nella difesa delle donne afghane, dimostra che ci si è già arresi al volere dei talebani, che non si vedono alternative.
Il vero messaggio che emerge da Doha3 sta nel dare per scontato che i talebani abbiano il controllo del paese, e nel riconoscere, di fatto, il loro governo, anche se lo si nega ufficialmente.
L’Onu si giustifica con la necessità di favorire lo sviluppo economico dell’Afghanistan al fine di aiutare il popolo affamato, come se bastasse dialogare con i talebani per convincerli ad avviare un “normale” processo di governo basato sui bisogni del popolo e non su quelli della sharia.
Ma non si vuole tener conto dei fatti: tutti gli aiuti finora inviati all’Afghanistan sono stati intercettati e taglieggiati dai talebani a beneficio dell’apparato statale e dei loro fedeli funzionari mentre poco o niente è arrivato nelle mani delle persone a cui erano destinati, a dimostrazione di quanto poco importi al governo talebano il benessere del suo popolo. Si è visto, per esempio, come si sono comportati in occasione dei terremoti e delle alluvioni che hanno distrutto interi territori e tolto tutto alla popolazione già stremata: come numerose fonti hanno riferito, il soccorso è stato nullo o tardivo perché la logica talebana è quella di considerare le catastrofi come fenomeni naturali mandati da dio e quindi da accettare come una fatalità.
Può quindi davvero bastare l’apertura di un dialogo con i talebani per condizionarli a cambiare la loro visione fondamentalista e teocratica e adottare una governance laica?
I soldi congelati da USA e paesi europei sono degli afghani NON dei talebani
I soldi della Banca centrale afghana congelati da USA e paesi europei (circa 9 miliardi di dollari), che l’Onu e diverse organizzazioni (anche italiane) chiedono di scongelare potrebbero certamente servire a dare ossigeno a una popolazione stremata da guerre e miseria, ma consegnare questi fondi ai talebani significherebbe darli a despoti che hanno a cuore solo il mantenimento del proprio apparato e dei propri sostenitori e che taglieggiano la popolazione con balzelli, tasse, ricatti (come ha ben dimostrato il report (Corruption And Kleptocracy In Afghanistan Under The Taliban)
Bisogna trovare forme più dirette di sostegno alla popolazione, e bisogna colpire il governo talebano per la sua responsabilità nell’imporre un sistema di oppressione di tutto il popolo e di apartheid di genere alle donne.
Le donne vittime di stupri di gruppo da parte di questi figuri non sono “disgrazie di famiglia”, come vengono definite dalla disgustosa cultura patriarcale, ma donne resilienti e coraggiose.
Il 3 luglio 2024, il giornale britannico “The Guardian” ha riportato uno scioccante caso di violenza sessuale dei talebani nei confronti di una detenuta. I talebani hanno girato un filmato dello stupro di gruppo di una prigioniera e in seguito l’hanno mandato a lei, minacciandola di diffonderlo se non fosse rimasta in silenzio. Questa donna coraggiosa ha inviato la clip a diversi media, tra cui “Rukhshana”.
Il 25 giugno 2024, “The Guardian” ha anche diffuso casi di stupro e molestie sessuali nei confronti di ragazze che sono state aggredite e arrestate da brutali membri della polizia morale per il “crimine” di non obbedire alla regola dell’“hijab islamico” [N.d.R. un velo nero che copre l’intera figura, compreso il volto].
La violenza, le molestie e le aggressioni sessuali contro le donne sono strumenti utilizzati dai gruppi religiosi fascisti, che non solo rivelano la loro depravazione e brutalità, ma servono anche come mezzi per terrorizzare e di repressione delle proteste e della resistenza.
Questo non è il primo esempio di depravazione dei talebani e di altri gruppi fondamentalisti; ci sono numerosi esempi in Afghanistan e in tutto il mondo in cui i fascisti religiosi hanno violentato e torturato le donne. Durante gli anni sanguinosi e violenti del dominio jihadista [N.d.R. 1992-1996], molte donne a Kabul sono state aggredite sessualmente, e questi criminali non hanno esitato a stuprare bambini di 7 anni o madri di 70 anni.
Il Partito dell’Unità trasformò il Cinema Barikot e il Politecnico in centri in cui le donne venivano stuprate; a Kabul le gang di Ahmad Shah Massoud e Sayyaf stuprarono le donne nella zona di Afshar; Gulbuddin Hekmatyar a Karte Naw e Chilsatoon, e Dostum a Shah Shahid e Shar-e-Kuhna. Ogni giorno trapelano dai media orrendi casi di violenza sessuale su giovani ragazze e ragazzi nelle moschee e nelle scuole in Afghanistan, in Pakistan e in altri paesi islamici.
I criminali del regime teocratico dell’Iran violentano le ragazze la notte prima della loro esecuzione per essere certi che, in quanto non più vergini, non andranno in paradiso; i militanti sanguinari dell’ISIS hanno schiavizzato tantissime donne Yazide in Iraq; in Egitto, i Fratelli musulmani hanno violentato le donne durante le proteste contro Mohamed Morsi; nel 1971 l’esercito pakistano, con l’aiuto del Jamaat islamico del Bangladesh, ha stuprato centinaia di donne; I militanti di Boko Haram in Nigeria hanno ripetutamente rapito gruppi di studentesse e le hanno aggrediti sessualmente per mesi; gli esempi sono innumerevoli.
Non ci si dovrebbe aspettare di più dagli ignoranti talebani che per anni hanno subito abusi e maltrattamenti nelle scuole religiose (Madrassa), cosa che ha sviluppato in loro gravi sentimenti di odio. Sono persone che non esitano a indossare cinture da kamikaze e versare il sangue di persone innocenti per realizzare il sogno di possedere 72 “vergini del paradiso”. I talebani considerano le donne come strumenti per soddisfare i loro desideri, le bollano come infedeli e atee, le considerano un loro bottino di guerra e giustificano ogni tipo di brutalità nei loro confronti. In una parte del filmato un aggressore talebano grida: “Per anni, gli americani ti hanno fottuta, ora è il nostro turno”.
La vergogna di questa orribile situazione ricade sulle Nazioni Unite, in particolare sullo statunitense Roza Otunbayeva (capo dell’UNAMA), su Rosemary DiCarlo (vice segretaria generale delle Nazioni Unite), su Rina Amiri e sulla cosiddetta “comunità internazionale” che a Doha si sono inginocchiati davanti ai sanguinari talebani, sfidando tutte le convenzioni, la Carta delle Nazioni Unite e le leggi sui diritti umani, e sacrificando le donne e il popolo oppresso dell’Afghanistan, e cercato di purificare e rafforzare l’inquisitoria, fascista, e aggressiva amministrazione dell’“Emirato Islamico”.
La vergogna di tale violenza contro le nostre donne ricade sui leader dei talebani, dal Mullah Hibatullah al Mullah Zabihullah Mujahid, al Mullah Baradar, alla famiglia Haqqani e altri che cercano di coprire e negare questi crimini e barbarie.
La vergogna ricade su traditrici come Fawzia Koofi, Habiba Sarabi, Nahid Farid, Shahrzad Akbar, Moqadasa Yourish, Asila Wardak, Zarifa Ghafari, Fatima Gailani, Jamila Afghani, Mary Akrami, Ghatool Momand, Sharifa Zarbati, Laila Jafari e altre, che hanno trattato con i talebani per anni, spianando la strada per il loro ritorno al potere.
La vergogna ricade anche su donne come Mahbouba Seraj, Madina Mahboobi, Zahra Saba, Zahra Bahman, Farida Mazhab, Tayeba Hashemi e altre, che si sono trasformate in lobbiste talebane vili e prive di coscienza e che, accogliendo le richieste dell’Occidente, stanno cercando di mascherare i crimini e facilitare il riconoscimento di questi esseri medievali e mercenari dell’imperialismo.
La Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (RAWA) porta rispetto per la donna dignitosa e coraggiosa che ha fatto circolare ai media il video dello stupro di gruppo dei talebani.
Le donne vittime di stupri di gruppo da parte di questi figuri non sono “disgrazie di famiglia”, come vengono definite dalla disgustosa cultura patriarcale, ma donne resilienti e coraggiose che dovrebbero essere sostenute dal nostro popolo e da chi cerca giustizia. In una società dove impera l’ignoranza le vittime di violenza sessuale fanno una vita tormentata e dolorosa, sono sottoposte a scherno, e coloro che hanno un minimo di coscienza e onore dovrebbero considerare che le vittime di stupro, soprattutto coloro che si oppongono a questi tabù e smascherano il nemico, sono eroine e guerriere che dovrebbero poter continuare la lotta contro i talebani a testa alta e con impegno nella lotta.
Sorelle afgane sofferenti, una sfida cruciale e forte contro i fondamentalisti jihadisti e talebani e la creazione di una società basata sulla democrazia e sulla giustizia sociale non è possibile senza una dura lotta, e la vittoria in questa battaglia richiede sacrificio e fermezza!
Restiamo unite e con una sola voce!
Associazione Rivoluzionaria delle Donne dell’Afghanistan (RAWA)
L’associazione CISDA ETS organizza gratuitamente laboratori di educazione ai diritti umani nelle scuole.
I laboratori possono essere agevolmente inseriti nelle programmazioni di Educazione Civica.
A partire dall’anno scolastico 2005, il CISDA ha svolto attività di questo tipo in numerose scuole di Milano e provincia, e su tutto il territorio nazionale dove la presenza di volontarie lo consenta. In alternativa, sono stati realizzati collegamenti on line. Le operatrici CISDA concordano con i docenti orari e modalità di lavoro.
L’obiettivo prioritario degli interventi formativi è quello di favorire un processo di approfondimento critico che possa avere delle ricadute sul percorso di acquisizione delle competenze attive di cittadinanza.
In caso di richiesta e compatibilmente con le necessità organizzative è possibile proporre alle scuole la testimonianza diretta di alcune attiviste afghane delle associazioni che il CISDA sostiene. Questi incontri generalmente sono molto partecipati e lasciano un segno indelebile nell’esperienza di crescita dei ragazzi coinvolti.
Anche per il prossimo anno scolastico si attiveranno numerosi laboratori nelle scuole del territorio nazionale pubblicati nel calendario eventi.
Se siete interessati a invitare una volontaria CISDA a tenere uno o più laboratori di educazione ai diritti e all’informazione critica nella vostra scuola scrivete XXXX mail Gruppo Colonia
The women victims of gang rape by these zombies, contrary to the rotten patriarchal culture and ethics that consider them a “family disgrace”, are resilient and brave women
On July 3, 2024, The Guardian reported a shocking case of Taliban’s sexual assault on a female prisoner. Taliban insurgents filmed a gang rape of a female prisoner and sent it to her later, threatening her that if she did not remain silent it would be released. This woman courageously sent the clip to several media outlets, including “Rukhshana.” On June 25, 2024, The Guardian also covered cases of rape and sexual harassment of girls who were detained and assaulted by brutal enforcers of the moral policing for the “crime” of not obeying “Islamic hijab”.
Violence, harassment, and sexual assault against women are tools used by fascist religious groups, not only revealing their depravity and brutality but also serving as means of terrorization, suppression, and breaking down protest and resistance. This is not the first example of the Taliban’s and other fundamentalist groups’ depravity; we have numerous examples both in Afghanistan and around the world where religious fascists have raped and tortured women. During the years of bloodshed and violence under Jihadists’ rule, many women in Kabul were sexually assaulted, and these criminals did not hesitate to rape a 7-year-old child and 70-year-old mothers. The Unity Party turned Cinema Barikot and Polytechnic University into centers for assaults on women, and similarly, Ahmad Shah Massoud and Sayyaf gunmen raped women in Afshar area of Kabul; Gulbuddin in Karte Naw and Chilsatoon, and Dostum’s in Shah Shahid and the Shar-e-Kuhna. Every day, painful cases of sexual assault on young girls and boys in mosques and schools in Afghanistan, Pakistan, and other Islamic countries are leaked to the media. The criminals of the theocratic regime of Iran raped girls the night before their execution to ensure as virgins they wouldn’t go to heaven; bloodthirsty ISIS militants enslaved countless Yazidi women in Iraq; the Muslim Brotherhood in Egypt raped women during protests against Mohamed Morsi; the Pakistani military, with the help of Bangladesh’s Islamic Jamaat, raped hundreds of women in 1971; Boko Haram militants in Nigeria repeatedly kidnapped groups of schoolgirls and sexually assaulted them for months; and other examples.
One should not expect more from the ignorant group of the Taliban, who themselves faced abuse and mistreatment in the religious schools (Madrassa) for years, and this have developed severe hatreds in them. They do not hesitate from wearing suicide belts and spilling the blood of innocent people to achieve their dream of reaching 72 heavenly virgins. The Taliban consider women as tools to satisfy their lusts, branding them as infidels and atheist, they count women as their war booty and justify all kinds of brutality against them. In part of the clip, a Taliban attacker shouts: “For years, the Americans f***ed you; now it’s our turn.”
The shame and disgrace of this horrific report fall upon the United Nations, especially the US clown called Roza Otunbayeva (Head of UNAMA), Rosemary DiCarlo (Deputy Secretary-General of the United Nations), Rina Amiri, and the so-called “international community”, who have knelt before the bloodthirsty Taliban leaders in Doha, cunningly and treacherously defying all conventions, the United Nations Charter, and human rights laws, and by sacrificing the women and oppressed people of Afghanistan, seek to cleanse and strengthen the inquisitorial, fascist, and aggressive administration of the “Islamic Emirate.”
The shame and filth of such an assault and violence against our women falls upon the Taliban leaders, from Mullah Hibatullah to Mullah Zabihullah Mujahid, Mullah Baradar, the Haqqani family, and others who, with bastardy try to cover up and deny such crimes and savagery. Its dirt falls upon the female traitors such as Fawzia Koofi, Habiba Sarabi, Nahid Farid, Shahrzad Akbar, Moqadasa Yourish, Asila Wardak, Zarifa Ghafari, Fatima Gailani, Jamila Afghani, Mary Akrami, Ghatool Momand, Sharifa Zarbati, Laila Jafari, and others who have been dealing with the Taliban for years and paved the way for their return to power. The filth falls on women like Mahbouba Seraj, Madina Mahboobi, Zahra Saba, Zahra Bahman, Farida Mazhab, Tayeba Hashemi, and others who have turned into Taliban lobbyists with strange baseness and dead consciences and, as pro-West figures are seeking to whitewash the crimes and facilitate the recognition of these medieval beings and mercenaries of imperialism.
The “Revolutionary Association of the Women of Afghanistan” (RAWA) bows its head in respect to that dignified and brave woman who provided the video of the Taliban gang rape to the media. The women victims of gang rape by these zombies, contrary to the rotten patriarchal culture and ethics that consider them a “family disgrace,” are resilient and brave women who should be supported and comforted by our people and justice seekers. Although in a society immersed in ignorance and darkness, sexual assault victims suffer a tortured and painful life due to taunts and “shame” but those who have the slightest conscience and honor, should consider that the victims of rape, especially those who stand against these taboos and expose and unmask the dirty enemy, are heroines and warriors who should continue the fight against the Taliban with their heads held high and with a commitment to the struggle.
Suffering Afghan sisters,
A crucial and sustained struggle against jihadist and Taliban fundamentalists and the creation of a society based on democracy and social justice is not possible without a fight, and victory in this battle requires sacrifice and steadfastness! Let us stand together and with one voice!
The CISDA ETS association organizes free human rights education workshops in schools.
The workshops can easily be included in Civic Education programs.
Starting from the 2005 school year, CISDA has carried out activities of this type in numerous schools in Milan and the province, and throughout the national territory where the presence of volunteers allows it. Alternatively, online connections have been created. The CISDA operators agree on working hours and methods with the teachers.
The primary objective of the training interventions is to encourage a process of critical in-depth analysis that can have repercussions on the process of acquiring active citizenship skills.
If requested and compatibly with organizational needs, it is possible to offer schools the direct testimony of some Afghan activists from the associations that CISDA supports. These meetings are generally well attended and leave an indelible mark on the growth experience of the children involved.
For more information on this activity write to cisdaets@cisda.it