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Autore: Patrizia Fabbri

2011 – Mozione per il ritiro delle truppe dall’Afghanistan

Considerando che l’intervento militare occidentale in Afghanistan ha fallito completamente gli obiettivi propagandati per giustificarlo (sconfiggere il terrorismo; portare la democrazia; liberare le donne), anzi al contrario:

Il paese è stato consegnato dal 2001 nelle mani dei fondamentalisti dell’Alleanza del Nord, responsabili di crimini contro l’umanità e narcotrafficanti. Essi hanno continuato ad occupare fino ad oggi i posti chiave nel governo, nella magistratura e il 90% dei seggi in parlamento. Le successive elezioni, come anche la comunità internazionale ha dovuto riconoscere, si sono svolte tra brogli e violenze di tale portata da invalidare i risultati ad ogni livello. Non c’è alcuna parvenza di democrazia ne’ uno stato di diritto.

I fondamentalisti talebani che l’intervento militare occidentale voleva annientare, sono ora più forti, controllano l’80% del territorio e sono attivi nel 97%. Tanto che la coalizione guidata dagli USA sta tentando di mediare un accordo tra loro e l’attuale governo, per una spartizione del potere tra le diverse fazioni fondamentaliste, e chiamano questo “pacificazione”.

I diritti umani, i diritti delle donne, la democrazia, le condizioni minime di sopravvivenza della popolazione, vengono sacrificati alle logiche di spartizione del potere interno e internazionale

La totale impunità per chi ha violato i diritti umani negli ultimi 30 anni, è stata sancita con una legge in parlamento nel 2007, in nome della “Riconciliazione Nazionale”, sotto gli occhi delle truppe occupanti, e malgrado la disperata resistenza delle organizzazioni afghane democratiche della società civile.

La legge sciita che legalizza lo stupro domestico e cancella ogni diritto delle donne, oltre i limiti già risibili della stessa costituzione afghana, è stata approvata dal parlamento nel marzo 2009.

Gli eserciti occupanti non solo tollerano le sistematiche violazioni dei diritti umani che i signori locali e i loro uomini esercitano sulla popolazione, in particolare sulle donne, ma rafforzano il potere di questi ultimi, e soprattutto dei più violenti e criminali, pagando loro regolarmente decine di migliaia di dollari perché non compiano attentati contro i militari occidentali stessi.

Del resto le perquisizioni notturne nelle case dei sospetti, il sequestro e la detenzione arbitraria in carceri segrete, l’uso sistematico della tortura, da parte in particolare delle forze USA che guidano la coalizione, non qualificano certo gli occupanti quali paladini dei diritti umani e della democrazia tra la popolazione.

I bombardamenti colpiscono indiscriminatamente i civili. L’aviazione USA dal 2001 ha lanciato già oltre 14.049 tonnellate di bombe. Nel 2009 sono stati uccisi 2412 civili, in prevalenza donne e bambini. Ma il maggior numero di vittime non viene registrato dalle statistiche: ci sono oltre 235.000 sfollati nei campi profughi interni, accampati nel deserto senza acqua, cibo e riparo, muoiono di stenti. Feriti e mutilati non hanno accesso a cure mediche.

Considerando infine che la società civile afghana, in particolare le poche associazioni democratiche ancora attive, tra cui Rawa con la quale la Cgil intrattiene da anni relazioni di solidarietà, chiedono con forza il ritiro immediato di tutte le forze di occupazione, chiediamo che la Cgil si faccia portavoce di questa istanza presso tutte le sedi opportune.

Il grande gioco

Che le sorti del mondo dipendano da ciò che avviene in quella vasta zona che oggi chiamiamo Turkmenistan, Tagikistan o Afghanistan è una percezione antica, oggi confermata quotidianamente da guerre, trame e agguati. Una storia, dunque, quanto mai utile da conoscere.

«… grande affresco storico sul Grande Gioco, come lo chiamò Kipling, che impegnò inglesi e russi, per buona parte dell’Ottocento, in Afghanistan, in Iran e nelle steppe dell’Asia centrale. Mentre il grande impero moscovita scivolava verso i mari caldi inghiottendo ogni giorno, mediamente, 150 chilometri quadrati, la Gran Bretagna cercava di estendere verso nord i suoi possedimenti indiani. Vecchia storia? Acqua passata? Chi darà un’occhiata alla carta geografica constaterà che i grandi attori hanno cambiato volto e nome, ma i territori contesi o discussi sono sempre gli stessi. In queste affascinanti “mille e una notte” della diplomazia imperialista il lettore troverà l’antefatto di molti avvenimenti degli scorsi anni in Afghanistan e in Iran» – Sergio Romano

«Una delle letture più appassionanti … Non bisogna lasciarsi spaventare dal fatto che siano oltre 600 pagine. Non dirò che lo si legge di un fiato, ma lo si centellina per sere e sere come se fosse un grande romanzo d’avventure, popolato di straordinari personaggi storicamente esistiti e di cui non sapevamo nulla» – Umberto Eco

Davanti al palazzo dell’emiro di Buchara, due uomini in cenci sono inginocchiati nella polvere. A poca distanza, due fosse scavate di fresco, e tutt’intorno una folla sgomenta, che assiste in un silenzio irreale. Non è certo insolito che l’emiro faccia pubblico sfoggio di crudeltà, ma è la prima volta che il suo talento sanguinario si esercita su due bianchi, e per di più servitori di Sua Maestà britannica. La scena non è stata scritta da Kipling, anche se di lì a poco la contesa fra russi e inglesi per i luoghi che oggi chiamiamo Turkmenistan, Tagikistan o Afghanistan avrebbe trovato, nelle pagine di Kim, un nome destinato a durare: Grande Gioco. È invece realmente accaduta una mattina di giugno del 1842, dando inizio a una vicenda che in questo celebre libro Peter Hopkirk ricostruisce nella sua fase più avventurosa, allorché gli ufficiali dei servizi segreti zarista e vittoriano valicavano passi fino allora inaccessibili, cartografavano valli inesplorate, raccoglievano informazioni dalle carovane di passaggio sulla Via della Seta, tramavano complesse alleanze con i khan della regione, rischiando a ogni mossa, come i loro epigoni attuali, di ridestare da un sonno millenario quelli che Chatwin chiama «i giganti addormentati dell’Asia centrale». Che le sorti del mondo dipendano da ciò che avviene in quella vasta zona è una percezione antica, oggi confermata quotidianamente da guerre, trame e agguati. Una storia, dunque, quanto mai utile da conoscere. Ma va aggiunto che nella fase raccontata nel Grande Gioco quella storia era anche il romanzesco allo stato puro – e sarà un intensissimo piacere per chi la ascolta. Molte sono le memorie e i documenti che ne compongono il mosaico, ma occorreva un maestro come Peter Hopkirk per farci seguire in tutte le sue ramificazioni questo strepitoso romanzo a puntate

Il grande gioco. I servizi segreti in Asia centrale

di Peter Hopkirk

Adelphi, 2010, pp. 624

Il voto femminile in Afghanistan

L’intervento internazionale in Afghanistan ha poi liberato le donne afghane? La domanda è ovviamente retorica: i media ci mandano in continuazione immagini della guerra in Afghanistan, le notizie sulle perdite subite dalle truppe internazionali nelle varie zone del paese e sulla possibilità di aumentare il contingente militare internazionale. Il silenzio sembra caduto sul mondo delle donne e soprattutto su una reale possibile loro partecipazione alla vita politica e, quindi, sui cambiamenti nella situazione dei diritti.

Il voto femminile in Afghanistan è un attento studio sulla situazione delle donne in Afghanistan con particolare riguardo al voto femminile in questo paese. Il libro, che si apre con una introduzione storica sul ruolo delle donne nell’evoluzione politica e sociale del paese, analizza i diritti e il ruolo politico delle donne oggi nella Repubblica Islamica dell’Afghanistan. L’autrice ha utilizzato varie fonti per la sua ricerca: da interviste a donne ed esperti afghani, a progetti sull’alfabetizzazione, sulle politiche di genere, sui diritti umani, a visite ai campi profughi. Questo ampio e articolato “lavoro sul campo” ha consentito all’autrice di far emergere la necessità del rispetto per i fondamentali diritti umani e delle donne in un contesto dominato da una forte cultura patriarcale e tribale.

Il voto femminile in Afghanistan

di Simona Cataldi
Edup, 2009, pp. 129

Ripensando l’Afghanistan

Il documentario mostra la situazione disastrosa delle vittime civili dei bombardamenti aerei NATO: donne, uomini e bambini mutilati e uccisi, persone costrette a vivere in situazioni tragiche, case distrutte, bambini e anziani che muoiono di fame e di malattie. Una testimonianza cruda ed estremamente veritiera sulle contraddizioni di quella che viene definita una “missione di pace”, o una “guerra giusta” per “portare la democrazia in Afghanistan”.

Scheda tecnica

Regia Robert Greenwald

Produzione: Brave New Foundation.

Paese:Afghanistan, 2009, col., 12’,

Lingua: pashtu, dari, inglese, con sottotitoli italiani.

Afghanistan Como un espacio vacio di Marc Herold

Per più di cinque lunghi anni il popolo afghano ha sofferto sotto l’invasione e l’occupazione statunitense. Migliaia di civili hanno perso la vita, spazzati via dalle armi statunitensi. Marc W. Herold ha mostrato la sua simpatia e il suo sostegno al popolo afghano attraverso il suo progetto più significativo e straordinario, che è quello di raccogliere i dati sulle morti civili e pubblicarli sul web come rivelazione al mondo. Il professor Herold è la sponda splendente della società americana. Mentre il governo degli Stati Uniti esporta bombe, distruzione e terroristi in Afghanistan, dedica tutte le sue energie e sforzi per esporre al mondo la vacuità delle dichiarazioni ufficiali sulla democrazia e la liberazione dell’Afghanistan nelle bocche degli Stati Uniti e dei media. Il professor Herold indica che gli Stati Uniti non hanno alcun interesse né per la democrazia né per i diritti umani in Afghanistan e lo ha dimostrato con il suo progetto senza precedenti, il Víc Memorial.

Afghanistan Como un espacio vacio

di Marc Herold

Foca (in spagnolo), 2007, pp. 320

Boccioli di rabbia

Sahar è una donna di RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan), un “bocciolo di rabbia” che è fiorito, e insieme a tanti altri lavora per portare una rivoluzione in Afghanistan: sconfiggere il fondamentalismo e la cultura maschilista. Il suo ruolo nella RAWA , così come il suo vero nome, è segreto. Il suo volto, sempre parzialmente coperto, o in controluce, si indovina soltanto. Siamo andate con lei da Peshawar a Kabul, dove le donne di RAWA si erano date appuntamento per celebrare insieme l’8 marzo.

Una tappa dopo l’altra, tra villaggi sperduti e periferie, vediamo le scuole all’aperto, le cliniche rudimentali, le le attività che RAWA riesce a mantenere in aree trascurate da tutti. Conosciamo le realtà per le quali Sahar lotta, e le donne e gli uomini che lottano con lei. La vediamo al lavoro, mentre ascolta, denuncia, consola. Scopriamo i suoi ideali e i suoi timori, la sua storia e le motivazioni di una scelta alla quale ha dedicato la vita e per la quale rischia la morte.

In un paese in frantumi, donne e uomini coraggiosi che, senza l’aiuto di nessuno si danno da fare per cambiare le cose e costruire un paese migliore. E che, per lo spazio di un viaggio, fanno pensare che un Afghanistan diverso possa esistere.

Scheda tecnica

Regia ed immagini Michela Guberti

Montaggio Michela Guberti, Enrico Valente

Supervisione al montaggio Pierpaolo Adami

Produzione esecutiva Laura Quagliuolo

Produzione Emme Audiovisivi

Realizzato con il contributo di ICS (Istituto per la cooperazione allo sviluppo), Alessandria;

CISDA onlus, Milano; Provincia di Alessandria; Fondazione CTR (Cassa di Risparmio di Torino)

Anno di produzione: 2007

Durata: 51 m

Paese: Italia

Lingua: Documentario in lingua pashtu, inglese, persiano ed italiano con sottotitoli in italiano.

Premi vinti:

Partecipazioni a festival e rassegne