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Autore: Patrizia Fabbri

2012 – Arrivo in Italia dell’attivista per i diritti umani Selay Ghaffar

Selay Ghaffar, attivista afghana per i diritti umani sarà in Italia dal 28/9 al 14/10/2012

Selay Ghaffar, attivista per i diritti umani e direttrice di una delle organizzazioni non governative afghane più accreditate del paese: Hawca-Humanitarian Assistence for Women and Children of Afghanistan (vedi www.hawca.org), sarà in Italia dal 28 settembre al 14 ottobre per prendere parte a una serie di eventi organizzati sul territorio nazionale da associazioni che operano nell’ambito della cooperazione internazionale sui temi della giustizia sociale e a favore dei diritti delle donne.

L’Associazione afghana Hawca gestisce la ‘casa protetta’ o ‘shelter’ di Kabul e i Centri di Aiuto Legale di Kabul, Herat e Jallalabad fornendo protezione e assistenza alle vittime di violenza. Hawca porta avanti progetti con molte organizzazioni umanitarie internazionali, anche delle Nazioni Unite. Collabora, in Italia, con il MAE (Ministero degli Affari Esteri), Aidos (Associazione Donne per lo Sviluppo), ICS (Istituto per la Cooperazione e lo Sviluppo) di Alessandria, il CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) e altri.

Selay Ghaffar, è anche stata una delle due rappresentanti della società civile selezionate per intervenire alla conferenza di Bonn del dicembre 2011 che ha visto riunita la diplomazia internazionale per parlare di Afghanistan.

Il tour italiano di Selay Ghaffar la vedrà come speaker della sessione conclusiva del Coordinamento Nazionale del CISDA a Milano il giorno 30 settembre a partire dalle ore 14 presso la Fattoria didattica del Parco Trotter in Via Padova 69; a Firenze il 3 di ottobre al Festival Internazionale Costante Cambiamento organizzato dal COSPE così come a Bologna il 12 ottobre alla Terra di tutti i Film Festival. Selay Ghaffar infine incontrerà a Roma l’On. Staffan De Mistura per testimoniare nel pur critico contesto afghano, il costante impegno per lo sviluppo dei centri Legali di assistenza alle donne.

2012 – Sospeso il partito democratico afghano Hambastagi

Il Ministero della Giustizia afghano ha reso nota la sospensione del Partito della Solidarietà Hambastagi e l’avvio da parte dei Servizi Segreti e del Ministero degli Interni di indagini per un’eventuale denuncia legale nei confronti dei suoi esponenti accusati di aver insultato la “Jehad”.

Il 30 aprile scorso, nel ventesimo anniversario della presa del potere di Kabul da parte delle milizie fondamentaliste, il Partito democratico afghano Hambastagi ha organizzato una partecipata manifestazione  per  chiedere  giustizia  per  le  vittime  civili  e  la  deposizione  dei  warlords  che ricoprono incarichi istituzionali.

Successivamente, Hambastagi ha denunciato di aver subito pressioni e minacce da parte di esponenti del parlamento e del senato che hanno condannato il corteo e chiesto l’annullamento del suo status giuridico di partito con l’intenzione di delegittimare il movimento democratico e richiederne l’espulsione.

In Italia, questo episodio è stato oggetto di un’interrogazione parlamentare a risposta scritta da parte dell’on. Di Stanislao che ha espresso ferma condanna e chiesto al Governo afghano di porre fine a un modus operandi che va contro una libertà di opinione e di espressione, indispensabile per costruire uno Stato democratico e autonomo a tutela e sostegno dei cittadini.

Nato nel 2004, Hambastagi è un partito laico e democratico che si oppone ai criminali di guerra al governo del paese e alla presenza della NATO, denunciandone la volontà di stabilire basi permanenti in Afghanistan una volta ultimato con successo il ritiro formale delle truppe.

Hambastagi  vanta  oltre 30.000  iscritti  e  ha  costruito  negli  anni  una  presenza  capillare  nelle province e nelle zone rurali promuovendo l’educazione e il coinvolgimento attivo della cittadinanza alla ricostruzione del paese. Le manifestazioni e i cortei che spesso i suoi militanti organizzano costituiscono fondamentali strumenti di presenza per dimostrare concretamente che la resistenza pacifica non è scomparsa.

La stigmatizzazione delle opposizioni politiche, rappresentata da questo grave episodio, si riflette anche sul rischio di marginalizzazione delle organizzazioni non governative locali che non sono perfettamente allineate con il governo afghano e la presenza delle truppe nel paese. Non a caso, gli USA hanno spostato la gestione diretta dei fondi per lo sviluppo dal Ministero degli Esteri, a quello della Difesa e poi ai PRT (Provincial Riconstruction Team).

Il Cisda denuncia quanto accaduto come il segno evidente di una politica che lede i diritti, la libertà e la sovranità dei cittadini afghani e invita le associazioni e le istituzioni italiane a richiedere l’integrazione del partito d’opposizione afghano Hambastagi e a richiamare e condannare tale politica che arreca anche il rischio di indurre alla clandestinità e di estremizzare le opposizioni che, al contrario, dovrebbero convivere pacificamente all’interno di una democrazia reale.

2012 – Protesta contro l’arrivo in Italia del criminale afgano Mohammed Mohaqiq

I prossimi 16 e 17 marzo sono annunciate a Roma due vergognose iniziative che vedono protagonista il tristemente noto signore della guerra e criminale afgano Mohammed Mohaqiq, leader del movimento fondamentalista di Hezb-e-Wahdat.

Il 16 marzo questo criminale di guerra sarà addirittura il principale oratore ad un convegno organizzato al Campidoglio, alla presenza del sindaco Alemanno, di Gilberto Casciani (Presidente Commissione Affari Internazionali), di Nino Sergi (Intersos), di Emanuele Giordana e Lisa Clark (rete Afgana), dell’on.le Gianni Vernetti (Commissione Affari Esteri e Assemblea Parlamentare NATO, dell’ on.le Jean Léonard Touadì (Commissione Affari Esteri e Assemblea Parlamentare NATO).

È vergognoso e lascia senza parole il fatto che la Rete Afgana legittimi e avalli la presenza e di un criminale di guerra di questo calibro: così pensiamo di voler parlare di pace in Afghanistan?

Inoltre, il 17 marzo a Roma, in via San Gallicano con il pretesto dei festeggiamenti per il capodanno afghano, Mohaqiq parteciperà alla commemorazione annuale della morte di Mazari, sanguinario signore della guerra riconosciuto responsabile di eccidi efferati ai danni della popolazione civile afghana negli anni 1992-1996.

Secondo la circostanziata ricostruzione di Human Rights Watch nel report Blood Stained Hands (http://www.hrw.org/sites/default/files/reports/afghanistan0605.pdf) Mohammed Mohaqiq fu uno dei più sanguinari comandanti delle milizie di Hezb-e-Wahdat durante la guerra civile tra il 1992 e il 1996, insieme a Abdul Ali Mazari e Muhammad Karim Khalili. Dopo la caduta dei Talebani nel 2001, Mohaqiq fu nominato vice presidente del governo ad interim e ministro per la Pianificazione Urbanistica. Durante la Loya Jirga del 2002, il suo partito fu tra i più violenti nell’usare minacce e intimidazioni contro gli altri delegati, contribuendo a vanificare quel processo che molti speravano potesse finalmente togliere potere ai signori della guerra e mettere il destino dell’Afghanistan nelle mani della società civile. Invece, furono ancora i signori della guerra a essere confermati al potere e rafforzati.

Nel 2002, erano ancora agli ordini di Mohaqiq le milizie di Hezb-e-Wahdat che saccheggiarono e depredarono la provincia di Balkh e i dintorni di Mazar-e Sharif, attaccando deliberatamente la popolazione civile delle campagne e facendone oggetto di ripetuti pestaggi, assassinii e stupri.

Nel 2007, Mohaqiq fu uno dei principali artefici della famigerata legge sull’amnistia, subito condannata dall’ONU, varata dal governo Karzai in difesa dei signori della guerra che si erano macchiati di crimini contro l’umanità durante la guerra civile 1992-1996.

Inoltre è fra i fautori di una retriva legge contro le donne, che autorizza legalmente lo stupro e la violenza all’interno del matrimonio.

Tuttora, gli uomini di Mohaqiq sono noti e temuti soprattutto per i rapimenti di ragazze, spesso studentesse aggredite mentre si recano a scuola, che vengono stuprate e poi rese alle loro famiglie dietro il pagamento di un riscatto.

Il CISDA, Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane, si unisce a tutte le forze e i movimenti che lavorano per la giustizia e i diritti umani in Italia, in Afghanistan e nel mondo per condannare fermamente la sua presenza in Italia e ogni tipo di accoglienza istituzionale a Roma del criminale contro l’umanità Mohammed Mohaqiq.

Finché avrò voce

Malalai Joya è una donna afgana che non ha mai conosciuto la pace. È nata infatti sotto l’occupazione russa.
Dopo la caduta dei Talebani è stata eletta parlamentare.
Malalai ha dedicato la vita ad alzare la voce contro l’oppressione delle donne afgane e contro i signori della guerra. Per questo è stata espulsa illecitamente dal Parlamento.
È oggetto di continue minacce di morte e vive una vita blindata. Per tutto questo è costretta a indossare quel burka contro cui ha da sempre lottato.

Malalai era ancora tra le braccia della mamma quando i russi hanno invaso l’Afghanistan. E aveva solo quattro anni quando la sua famiglia si è rifugiata in Pakistan. Poi sono venuti la guerra civile negli anni Novanta, la presa del potere dei talebani, la “guerra al terrore” degli americani. Quando, dopo il crollo del regime talebano, Malalai ha la possibilità di entrare a far parte dei delegati della Loya Jirga, il gran consiglio afgano che dovrebbe governare il nuovo corso, si ritrova in realtà seduta a fianco degli aguzzini di sempre. Lo sgomento non dura che un attimo. Si alza. Chiede la parola. E proprio lei, una donna, dice le verità che nessuno aveva mai detto. “La legittimità e la legalità di questa assemblea” esordisce risoluta “vengono messe in dubbio dalla presenza dei criminali che hanno ridotto il nostro Paese in questo stato. Sono le persone più contrarie alle donne. Dovrebbero essere condotti davanti a tribunali nazionali e internazionali. Se anche potrà perdonarli il nostro popolo afgano dai piedi scalzi, la nostra storia non li perdonerà mai”. In aula scoppia il putiferio. Dal giorno del suo intervento, Malalai è oggetto di continue minacce di morte e di continui tentativi di attentati. È stata infine espulsa illecitamente dal parlamento dove è stata eletta. Ormai vive una vita blindata, cambia casa ogni giorno, è costretta a girare con il burqa, proprio lei che lo combatte da sempre. La sua storia e quella tormentata del suo Paese si intrecciano.

Finché avrò voce. La mia lotta contro i signori della guerra e l’oppressione delle donne afghane

di Malalai Joya

Piemme Edizioni, 2011, pp. 2011

2011 – Incursione armata nell’orfanotrofio di Afceco a Kabul

Martedì 20 settembre alcuni parlamentari afghani accompagnati da diverse guardie del corpo armate hanno organizzato un’incursione nei locali dell’orfanotrofio Mehan di AFCECO (www.afceco.org), a Kabul, uno dei pochi luoghi in cui i bambini ospitati vivono dignitosamente, in un  ambiente  pulito  e  accogliente,  andando  a  scuola,  studiando  musica  e  danza,  imparando inglese, organizzando addirittura una squadra di calcio femminile.

Queste persone hanno minacciato e interrogato armi in pugno i bambini sino a farli piangere, terrorizzando il personale femminile presente in quel momento.

Le ridicole accuse, mosse con violenza in primo luogo dalla parlamentare Razia Sadat Mangal, ma anche dai parlamentari Najia Orgonwal e Kamal Nasir Osuli, muovevano il sospetto che il centro fosse “un bordello frequentato da occidentali”, “una missione attiva nella conversione dei bambini al cristianesimo”. Venivano anche poste domande sulle ragioni per cui viene insegnata musica e sulla cifra “molto alta” spesa per i bambini.

“Purtroppo”, denuncia AFCECO, “l’attacco è arrivato non dai talebani ma direttamente dalle istituzioni afghane”. “Perché”, prosegue il comunicato di AFCECO, “con tutti i problemi che ha il paese si spendono soldi ed energie per dare battaglia a degli orfani il cui solo crimine è il fatto di poter vivere in un luogo sicuro dove ricevono, cure, istruzione e affetto?”.

AFCECO, che gestisce diversi altri orfanotrofi sia a Kabul che in altre città afghane è una ong sostenuta anche da diverse organizzazioni e istituzioni italiane (Liberi Pensieri di San Giuliano Milanese, CISDA, Insieme si Può di Belluno, la Provincia di Trento ecc.) e statunitensi (USAID, Asia Foundation, Afghan Women’s Misson ecc.), conosciuta e apprezzata anche dai responsabili della cooperazione italiana in Afghanistan.

2011 – Il governo di Kabul impone il suo controllo sulle case rifugio!

ALLARME DONNE AFGHANE: IL GOVERNO DI KABUL IMPONE IL SUO CONTROLLO SULLE CASE RIFUGIO!!

Il Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane (CISDA) denuncia la legge promossa dal Consiglio dei Ministri dell’Afghanistan nel gennaio 2011 secondo la quale entro 45 giorni dalla sua entrata in vigore le case rifugio per donne maltrattate passeranno dalla gestione delle ONG afghane al controllo del Ministero degli Affari Femminili afghano (MoWA).

Il Decreto accoglie così una precedente decisione della Corte Suprema Afghana – l’organismo legislativo più oscurantista del paese – che ha dichiarato REATO l’allontanamento delle donne da casa per rifugiarsi nei centri di accoglienza per donne maltrattate gestiti dalle Ong. La decisione della Corte Suprema Afghana già limitava la possibilità delle donne vittime di violenza di appellarsi agli organismi giudiziari.

La legge prevede inoltre la chiusura di alcuni rifugi, l’accompagnamento delle donne da parte di un mahram (parente maschio o marito), l’insegnamento della religione islamica e l’obbligo per le donne accolte di sottoporsi a costanti “esami medici” per il monitoraggio della loro attività sessuale. Il governo afferma che la gestione da parte del MoWA garantirà una migliore gestione dei fondi e una migliore scelta dello staff interno. Riteniamo che questa misura sia stata presa solo per compiacere i fondamentalisti e i Taliban, con cui si sono avviate delle trattative; così, i rifugi sono stati accusati di essere case di prostituzione e si è scelto di tenerli sotto controllo.

Questo avrà conseguenze disastrose per le donne vittime di violenza:

  • * Nessun parente di sesso maschile, men che meno il marito, accompagnerà mai una donna maltrattata in un rifugio: nella maggior parte dei casi sono essi stessi gli artefici delle violenze dalle quali le donne vorrebbero fuggire.
  • * Lo stupro in Afghanistan è motivo di vergogna e ripudio per la donna. Se l’esame medico provasse che la donna è stata violentata, una volta sotto il controllo governativo la vittima sarebbe condannata invece che accolta.
  • * Se la donna fugge da un matrimonio forzato, una volta arrivata al rifugio sarebbe denunciata dal governo stesso, poiché allontanarsi da casa è considerato reato.
  • * Le ragazze rimandate a casa vivrebbero nella vergogna e nell’emarginazione, se non direttamente giustiziate, come dimostrano i vari casi di lapidazione avvenuti in diverse parti del paese negli ultimi mesi.
  • * Nel caso la famiglia chiedesse il ritorno a casa della donna per qualsivoglia motivo, compreso un matrimonio forzato, lo staff del rifugio non potrebbe rifiutarsi. Come se non bastasse, molte delle donne provenienti da case rifugio, verranno accusate di adulterio all’interno della loro comunità.
  • * L’Afghanistan è uno dei paesi più corrotti al mondo: non ci sarà più alcuna garanzia sul controllo dei fondi eventualmente stanziati dalle agenzie internazionali a favore delle donne vittime di violenza.

Il governo Karzai, voluto e sostenuto attivamente dall’occupazione militare USA-NATO, non si distingue certo per il rispetto dei diritti umani:

  • * nel marzo 2009 il governo Karzai ha firmato una legge intesa a colpire soprattutto le donne della comunità shiita: secondo questa legge, le donne non possono rifiutarsi di avere rapporti sessuali con il marito e non possono recarsi a lavoro, dal medico o a scuola senza il suo permesso.
  • * Nel marzo 2007, il governo Karzai aveva provveduto a garantire l’amnistia per tutti i crimini contro l’umanità commessi in Afghanistan negli ultimi vent’anni.
  • * Nel gennaio 2007 il giornalista Parwez Kambashkh era stato condannato a morte da un tribunale di Balkh, dopo esser stato accusato di blasfemia a causa delle sue idee sulla parità dei diritti delle donne. Benché Parwez, a seguito delle pressioni internazionali, venne graziato, altre decine di giornalisti versano nelle medesime condizioni.
  • * Nel luglio 2006, il governo Karzai ha reintrodotto il “Ministero per il Vizio e Virtù”, tristemente noto già sotto il regime Taleban.
  • * Le organizzazioni afghane che si battono per i Diritti Umani denunciano inoltre le continue pressioni da parte del governo per legalizzare il sistema di “giustizia informale” (tribale) all’interno del quale è prevista la lapidazione delle donne.

E l’Italia? Tra il 2001 e il 2011 il governo italiano ha investito centinaia di milioni di euro nel progetto di ricostruzione della giustizia afghana. Chiediamo al governo italiano e alle forze politiche che hanno sostenuto e ancora sostengono l’intervento militare in Afghanistan di spiegare in che modo sono stati investiti i fondi per la ricostruzione del sistema giudiziario afghano, giacché negli ultimi anni sono state varate leggi che penalizzano pesantemente, anziché favorire, i diritti umani e i diritti delle donne afghane