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Autore: Patrizia Fabbri

2011 – Il governo di Kabul impone il suo controllo sulle case rifugio!

ALLARME DONNE AFGHANE: IL GOVERNO DI KABUL IMPONE IL SUO CONTROLLO SULLE CASE RIFUGIO!!

Il Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane (CISDA) denuncia la legge promossa dal Consiglio dei Ministri dell’Afghanistan nel gennaio 2011 secondo la quale entro 45 giorni dalla sua entrata in vigore le case rifugio per donne maltrattate passeranno dalla gestione delle ONG afghane al controllo del Ministero degli Affari Femminili afghano (MoWA).

Il Decreto accoglie così una precedente decisione della Corte Suprema Afghana – l’organismo legislativo più oscurantista del paese – che ha dichiarato REATO l’allontanamento delle donne da casa per rifugiarsi nei centri di accoglienza per donne maltrattate gestiti dalle Ong. La decisione della Corte Suprema Afghana già limitava la possibilità delle donne vittime di violenza di appellarsi agli organismi giudiziari.

La legge prevede inoltre la chiusura di alcuni rifugi, l’accompagnamento delle donne da parte di un mahram (parente maschio o marito), l’insegnamento della religione islamica e l’obbligo per le donne accolte di sottoporsi a costanti “esami medici” per il monitoraggio della loro attività sessuale. Il governo afferma che la gestione da parte del MoWA garantirà una migliore gestione dei fondi e una migliore scelta dello staff interno. Riteniamo che questa misura sia stata presa solo per compiacere i fondamentalisti e i Taliban, con cui si sono avviate delle trattative; così, i rifugi sono stati accusati di essere case di prostituzione e si è scelto di tenerli sotto controllo.

Questo avrà conseguenze disastrose per le donne vittime di violenza:

  • * Nessun parente di sesso maschile, men che meno il marito, accompagnerà mai una donna maltrattata in un rifugio: nella maggior parte dei casi sono essi stessi gli artefici delle violenze dalle quali le donne vorrebbero fuggire.
  • * Lo stupro in Afghanistan è motivo di vergogna e ripudio per la donna. Se l’esame medico provasse che la donna è stata violentata, una volta sotto il controllo governativo la vittima sarebbe condannata invece che accolta.
  • * Se la donna fugge da un matrimonio forzato, una volta arrivata al rifugio sarebbe denunciata dal governo stesso, poiché allontanarsi da casa è considerato reato.
  • * Le ragazze rimandate a casa vivrebbero nella vergogna e nell’emarginazione, se non direttamente giustiziate, come dimostrano i vari casi di lapidazione avvenuti in diverse parti del paese negli ultimi mesi.
  • * Nel caso la famiglia chiedesse il ritorno a casa della donna per qualsivoglia motivo, compreso un matrimonio forzato, lo staff del rifugio non potrebbe rifiutarsi. Come se non bastasse, molte delle donne provenienti da case rifugio, verranno accusate di adulterio all’interno della loro comunità.
  • * L’Afghanistan è uno dei paesi più corrotti al mondo: non ci sarà più alcuna garanzia sul controllo dei fondi eventualmente stanziati dalle agenzie internazionali a favore delle donne vittime di violenza.

Il governo Karzai, voluto e sostenuto attivamente dall’occupazione militare USA-NATO, non si distingue certo per il rispetto dei diritti umani:

  • * nel marzo 2009 il governo Karzai ha firmato una legge intesa a colpire soprattutto le donne della comunità shiita: secondo questa legge, le donne non possono rifiutarsi di avere rapporti sessuali con il marito e non possono recarsi a lavoro, dal medico o a scuola senza il suo permesso.
  • * Nel marzo 2007, il governo Karzai aveva provveduto a garantire l’amnistia per tutti i crimini contro l’umanità commessi in Afghanistan negli ultimi vent’anni.
  • * Nel gennaio 2007 il giornalista Parwez Kambashkh era stato condannato a morte da un tribunale di Balkh, dopo esser stato accusato di blasfemia a causa delle sue idee sulla parità dei diritti delle donne. Benché Parwez, a seguito delle pressioni internazionali, venne graziato, altre decine di giornalisti versano nelle medesime condizioni.
  • * Nel luglio 2006, il governo Karzai ha reintrodotto il “Ministero per il Vizio e Virtù”, tristemente noto già sotto il regime Taleban.
  • * Le organizzazioni afghane che si battono per i Diritti Umani denunciano inoltre le continue pressioni da parte del governo per legalizzare il sistema di “giustizia informale” (tribale) all’interno del quale è prevista la lapidazione delle donne.

E l’Italia? Tra il 2001 e il 2011 il governo italiano ha investito centinaia di milioni di euro nel progetto di ricostruzione della giustizia afghana. Chiediamo al governo italiano e alle forze politiche che hanno sostenuto e ancora sostengono l’intervento militare in Afghanistan di spiegare in che modo sono stati investiti i fondi per la ricostruzione del sistema giudiziario afghano, giacché negli ultimi anni sono state varate leggi che penalizzano pesantemente, anziché favorire, i diritti umani e i diritti delle donne afghane

2011 – Decennale occupazione

8 ottobre 2001 – 8 ottobre 2011

DIECI ANNI DI BOMBARDAMENTI,  OCCUPAZIONE E MISERIA IN AFGHANISTAN

Nel decimo anniversario dei bombardamenti USA/NATO sull’Afghanistan, il Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane (CISDA) denuncia il bilancio fallimentare della missione internazionale in Afghanistan.

L’8 ottobre  2001,  a seguito del tragico evento dell’11 settembre, gli USA  e i loro alleati iniziano l’occupazione dell’Afghanistan con pesanti bombardamenti con il pretesto di “sconfiggere il terrorismo”,  abbattere  il regime  dei talebani  responsabili  di aver  sostenuto  Bin Laden,  riportare  la democrazia, liberare le donne, ricostruire un paese già devastato da 20 anni di guerra.

Gli USA scelgono di sfruttare sul terreno le milizie dell’Alleanza del Nord, gruppi di fondamentalisti islamici  responsabili  della  guerra  civile  del  1992-1996   che  ha  devastato  l’Afghanistan,  facendo perdere  la  vita  a  70.000  persone  nella  sola  Kabul;  gli stessi  criminali  di guerra  già sostenuti,  con grossi  finanziamenti  e  forniture  di armi,  per  cacciare  le  armate  sovietiche  che  avevano  occupato  il paese nel 1979.

Quando cade il regime talebano, la comunità internazionale consente  a questi criminali di guerra (tra i quali Sayyaf, Fahim, Rabbani – appena ucciso  in un attentato dei talebani, con i quali stava avviando trattative  “di  pace”  – Qanuni,  Abdullah,  Ismail  Khan,  Khalili, Mohaqiq)  di occupare  governo  e Parlamento afgani e di riprendere il controllo del paese, negando  invece sostegno  e appoggio alle forze democratiche e laiche.

 

Nel marzo  2007  il governo  Karzai  vara  una legge  che  garantisce  l’amnistia  per  tutti i crimini di guerra commessi in Afghanistan negli ultimi vent’anni.

Inoltre,  il via  libera  dato  ai signori  della  guerra  ha fatto  sì che dal  2001,  in tutto il paese,  si  siano formati e abbiano spadroneggiato nelle aree sotto  il loro controllo centinaia di nuove milizie e gruppi para-militari.  In Just  don’t call  it a  milita,  un recente rapporto  di Human Rights  Watch uscito nel settembre  2011,  si  dice  che  “gruppi  militari di vari  tipo hanno  partecipato   a  rappresaglie  tribali, omicidi, traffici illeciti ed estorsioni. Stupri di donne, ragazze e ragazzi sono frequenti. Le milizie sono solitamente controllate da capi locali o signori della guerra”.

La situazione  delle  donne  afgane  rimane  drammatica.  Nel 2009, cercando  di garantirsi  sostegno elettorale dalla comunità shiita, il governo Karzai  vara una legge che prevede  l’impossibilità per le donne shiite di rifiutare rapporti sessuali con il marito, di recarsi liberamente dal medico, a scuola o al lavoro senza il permesso del coniuge, pena il ritiro di qualsiasi sostegno finanziario. Tutt’ora ci sono donne  che  si  suicidano  dandosi  fuoco,  donne  costrette   a  matrimoni  forzati,  donne  ripudiate  dalla famiglia se vittime di stupro perché motivo di vergogna.

Nel gennaio 2011 il Consiglio dei Ministri afghano approva una legge secondo la quale entro 45 giorni dalla sua entrata  in vigore le case rifugio per donne maltrattate  passano dalla gestione delle  ONG al Ministero  degli  Affari  Femminili.  La legge  accoglie  una  decisione  della  corte  suprema  afghana, secondo cui le donne che scappano di casa per maltrattamenti commettono  reato. Le donne dovrebbero essere  accompagnate   al rifugio  da  un parente  maschio  (di solito  l’artefice  dei maltrattamenti)  e sottoposte  a umilianti visite per verificare la loro attività sessuale.

Dalla fine del 2001 al 31 dicembre 2010 sono stati deliberati dal nostro governo circa 516 milioni di Euro per  la  cooperazione  civile  (che  costituiscono  però  solo  circa  il  2% del  totale  delle  spese sostenute per le truppe)  ma l’importo totale stanziato alla fine del 2010 è di circa 208,4 milioni di euro.  Di  questi,  circa  81 milioni di euro  sono  stati  impiegati  per  la  riforma  della  giustizia  in Afghanistan.

In Afghanistan  mancano  case, scuole,  ospedali  e  lavoro;  la produzione di oppio  è arrivata a circa  il 96% del totale mondiale.

Sono questi i risultati dell’intervento internazionale in Afghanistan?

In dieci anni di intervento militare i soli USA  hanno speso più di 487 miliardi di dollari.

La guerra in Afghanistan ha provocato  la morte di 44 soldati italiani, circa 1.400 soldati alleati, 6 mila soldati e poliziotti afgani, circa 25 mila guerriglieri talebani e quasi 11 mila civili afgani (di cui oltre 3 mila vittime degli  attacchi talebani e almeno  7 mila uccisi dalle truppe alleate – più di 3 mila civili morirono  nei  soli  bombardamenti  aerei  del 2001-2002). In totale,  quindi,  otto anni  di guerra  hanno stroncato circa 43 mila vite umane (fonte “Peace Reporter”).

Mentre il governo italiano approva la nuova manovra finanziaria per strozzare ancora di più il nostro paese,  lo stesso  governo   rifinanzia  la  missione  italiana  in Afghanistan  (con  il  solo  voto contrario dell’IDV) che nel primo semestre 2011  ha previsto una spesa di 410 milioni di euro  e una presenza di 4.350 truppe. (fonte: Peace Reporter).

Il CISDA, raccogliendo la voce delle forze democratiche dell’Afghanistan quali RAWA (Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afgane), Hambastagi (Partito della Solidarietà), Malalai Joya, Saajs (Associazione Familiari delle Vittime) chiede il ritiro delle truppe italiane e straniere dall’Afghanistan, il congelamento delle spese militari, il sostegno delle vere forze democratiche del paese e la costituzione di un tribunale internazionale che smascheri i criminali di guerra seduti nel parlamento Afghano.

Per il calendario delle iniziative in Italia consultare: http://www.osservatorioafghanistan.org http://www.facebook.com/#!/pages/Cisda/120648274682738

2011 – Mozione per il ritiro delle truppe dall’Afghanistan

Considerando che l’intervento militare occidentale in Afghanistan ha fallito completamente gli obiettivi propagandati per giustificarlo (sconfiggere il terrorismo; portare la democrazia; liberare le donne), anzi al contrario:

Il paese è stato consegnato dal 2001 nelle mani dei fondamentalisti dell’Alleanza del Nord, responsabili di crimini contro l’umanità e narcotrafficanti. Essi hanno continuato ad occupare fino ad oggi i posti chiave nel governo, nella magistratura e il 90% dei seggi in parlamento. Le successive elezioni, come anche la comunità internazionale ha dovuto riconoscere, si sono svolte tra brogli e violenze di tale portata da invalidare i risultati ad ogni livello. Non c’è alcuna parvenza di democrazia ne’ uno stato di diritto.

I fondamentalisti talebani che l’intervento militare occidentale voleva annientare, sono ora più forti, controllano l’80% del territorio e sono attivi nel 97%. Tanto che la coalizione guidata dagli USA sta tentando di mediare un accordo tra loro e l’attuale governo, per una spartizione del potere tra le diverse fazioni fondamentaliste, e chiamano questo “pacificazione”.

I diritti umani, i diritti delle donne, la democrazia, le condizioni minime di sopravvivenza della popolazione, vengono sacrificati alle logiche di spartizione del potere interno e internazionale

La totale impunità per chi ha violato i diritti umani negli ultimi 30 anni, è stata sancita con una legge in parlamento nel 2007, in nome della “Riconciliazione Nazionale”, sotto gli occhi delle truppe occupanti, e malgrado la disperata resistenza delle organizzazioni afghane democratiche della società civile.

La legge sciita che legalizza lo stupro domestico e cancella ogni diritto delle donne, oltre i limiti già risibili della stessa costituzione afghana, è stata approvata dal parlamento nel marzo 2009.

Gli eserciti occupanti non solo tollerano le sistematiche violazioni dei diritti umani che i signori locali e i loro uomini esercitano sulla popolazione, in particolare sulle donne, ma rafforzano il potere di questi ultimi, e soprattutto dei più violenti e criminali, pagando loro regolarmente decine di migliaia di dollari perché non compiano attentati contro i militari occidentali stessi.

Del resto le perquisizioni notturne nelle case dei sospetti, il sequestro e la detenzione arbitraria in carceri segrete, l’uso sistematico della tortura, da parte in particolare delle forze USA che guidano la coalizione, non qualificano certo gli occupanti quali paladini dei diritti umani e della democrazia tra la popolazione.

I bombardamenti colpiscono indiscriminatamente i civili. L’aviazione USA dal 2001 ha lanciato già oltre 14.049 tonnellate di bombe. Nel 2009 sono stati uccisi 2412 civili, in prevalenza donne e bambini. Ma il maggior numero di vittime non viene registrato dalle statistiche: ci sono oltre 235.000 sfollati nei campi profughi interni, accampati nel deserto senza acqua, cibo e riparo, muoiono di stenti. Feriti e mutilati non hanno accesso a cure mediche.

Considerando infine che la società civile afghana, in particolare le poche associazioni democratiche ancora attive, tra cui Rawa con la quale la Cgil intrattiene da anni relazioni di solidarietà, chiedono con forza il ritiro immediato di tutte le forze di occupazione, chiediamo che la Cgil si faccia portavoce di questa istanza presso tutte le sedi opportune.

Il grande gioco

Che le sorti del mondo dipendano da ciò che avviene in quella vasta zona che oggi chiamiamo Turkmenistan, Tagikistan o Afghanistan è una percezione antica, oggi confermata quotidianamente da guerre, trame e agguati. Una storia, dunque, quanto mai utile da conoscere.

«… grande affresco storico sul Grande Gioco, come lo chiamò Kipling, che impegnò inglesi e russi, per buona parte dell’Ottocento, in Afghanistan, in Iran e nelle steppe dell’Asia centrale. Mentre il grande impero moscovita scivolava verso i mari caldi inghiottendo ogni giorno, mediamente, 150 chilometri quadrati, la Gran Bretagna cercava di estendere verso nord i suoi possedimenti indiani. Vecchia storia? Acqua passata? Chi darà un’occhiata alla carta geografica constaterà che i grandi attori hanno cambiato volto e nome, ma i territori contesi o discussi sono sempre gli stessi. In queste affascinanti “mille e una notte” della diplomazia imperialista il lettore troverà l’antefatto di molti avvenimenti degli scorsi anni in Afghanistan e in Iran» – Sergio Romano

«Una delle letture più appassionanti … Non bisogna lasciarsi spaventare dal fatto che siano oltre 600 pagine. Non dirò che lo si legge di un fiato, ma lo si centellina per sere e sere come se fosse un grande romanzo d’avventure, popolato di straordinari personaggi storicamente esistiti e di cui non sapevamo nulla» – Umberto Eco

Davanti al palazzo dell’emiro di Buchara, due uomini in cenci sono inginocchiati nella polvere. A poca distanza, due fosse scavate di fresco, e tutt’intorno una folla sgomenta, che assiste in un silenzio irreale. Non è certo insolito che l’emiro faccia pubblico sfoggio di crudeltà, ma è la prima volta che il suo talento sanguinario si esercita su due bianchi, e per di più servitori di Sua Maestà britannica. La scena non è stata scritta da Kipling, anche se di lì a poco la contesa fra russi e inglesi per i luoghi che oggi chiamiamo Turkmenistan, Tagikistan o Afghanistan avrebbe trovato, nelle pagine di Kim, un nome destinato a durare: Grande Gioco. È invece realmente accaduta una mattina di giugno del 1842, dando inizio a una vicenda che in questo celebre libro Peter Hopkirk ricostruisce nella sua fase più avventurosa, allorché gli ufficiali dei servizi segreti zarista e vittoriano valicavano passi fino allora inaccessibili, cartografavano valli inesplorate, raccoglievano informazioni dalle carovane di passaggio sulla Via della Seta, tramavano complesse alleanze con i khan della regione, rischiando a ogni mossa, come i loro epigoni attuali, di ridestare da un sonno millenario quelli che Chatwin chiama «i giganti addormentati dell’Asia centrale». Che le sorti del mondo dipendano da ciò che avviene in quella vasta zona è una percezione antica, oggi confermata quotidianamente da guerre, trame e agguati. Una storia, dunque, quanto mai utile da conoscere. Ma va aggiunto che nella fase raccontata nel Grande Gioco quella storia era anche il romanzesco allo stato puro – e sarà un intensissimo piacere per chi la ascolta. Molte sono le memorie e i documenti che ne compongono il mosaico, ma occorreva un maestro come Peter Hopkirk per farci seguire in tutte le sue ramificazioni questo strepitoso romanzo a puntate

Il grande gioco. I servizi segreti in Asia centrale

di Peter Hopkirk

Adelphi, 2010, pp. 624

Il voto femminile in Afghanistan

L’intervento internazionale in Afghanistan ha poi liberato le donne afghane? La domanda è ovviamente retorica: i media ci mandano in continuazione immagini della guerra in Afghanistan, le notizie sulle perdite subite dalle truppe internazionali nelle varie zone del paese e sulla possibilità di aumentare il contingente militare internazionale. Il silenzio sembra caduto sul mondo delle donne e soprattutto su una reale possibile loro partecipazione alla vita politica e, quindi, sui cambiamenti nella situazione dei diritti.

Il voto femminile in Afghanistan è un attento studio sulla situazione delle donne in Afghanistan con particolare riguardo al voto femminile in questo paese. Il libro, che si apre con una introduzione storica sul ruolo delle donne nell’evoluzione politica e sociale del paese, analizza i diritti e il ruolo politico delle donne oggi nella Repubblica Islamica dell’Afghanistan. L’autrice ha utilizzato varie fonti per la sua ricerca: da interviste a donne ed esperti afghani, a progetti sull’alfabetizzazione, sulle politiche di genere, sui diritti umani, a visite ai campi profughi. Questo ampio e articolato “lavoro sul campo” ha consentito all’autrice di far emergere la necessità del rispetto per i fondamentali diritti umani e delle donne in un contesto dominato da una forte cultura patriarcale e tribale.

Il voto femminile in Afghanistan

di Simona Cataldi
Edup, 2009, pp. 129