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Autore: Patrizia Fabbri

Sotto un cielo di Stoffa. Avvocate a Kabul.

Una pubblicazione a cui l’autrice ha lavorato nel corso di alcuni anni fatti di viaggi, incontri e interviste. Quello che viene fuori è una raccolta di storie e di voci di donne forti che ci portano dentro la loro vita quotidiana, facendoci partecipare alle loro sfide, al loro coraggio, tenace, generoso e leggero.
Racconta, in particolare, la guerra quotidiana delle avvocate. Il filo conduttore della prima parte, infatti, è il difficile cammino di un’avvocata che lavora al Centro Donne dell’Associazione Hawca e della sua cliente, tra mille ostacoli, per salvare la sua vita. In questa storia se ne inseriscono tante altre, storie di tragedie e di riscatti, di dolore e di libertà. La seconda parte del libro racconta l’Afghanistan di oggi, la vita dei suoi abitanti, sempre più fragile e minacciata, la situazione politica disastrosa, la guerra in corso, attraverso interviste, documenti e incontri.

Cristiana Cella – Giornalista, scrittrice, sceneggiatrice. Dal 2009 è membro del Cisda.
Si occupa di progetti umanitari nel Paese, ha collaborato con L’UnitàIl Sole 24 ore e altre testate on line.

Sotto un cielo di Stoffa. Avvocate a Kabul.

di Cristiana Cella
Città del sole Edizioni, 2017

Indagine sui crimini di guerra in Afghanistan da parte della Corte penale internazionale (ICC)

Il 3 novembre 2017 la Corte Penale Internazionale (ICC) ha rilasciato una dichiarazione per esprimere la sua posizione sulle indagini sui crimini di guerra in Afghanistan. Questo è il primo passo da quando l’Afghanistan è diventato Stato membro della Corte Penale Internazionale nel 2003.

Anche se questa può sembrare una buona notizia per le famiglie delle vittime e può avere piccoli effetti sui sogni dei criminali, la Corte può focalizzarsi solo sui crimini commessi nel paese dopo il 2003. Ancora una volta i violatori dei diritti umani e i criminali degli ultimi quattro decenni, che sono al potere, non saranno perseguiti per i loro crimini.

Senza dubbio, la serie di crimini degli ultimi quattro decenni in Afghanistan non hanno solo connessioni tra loro, ma tutti gli autori sono dalla stessa parte contro il nostro popolo e continuano le loro atrocità . I lacché russi Khalqi e Parchami hanno assassinato migliaia di compatrioti nei loro mattatoi, come confermato dalla recente pubblicazione di una “Dead List” con i nomi di 5000 vittime che testimonia i loro crimini. Le fazioni jihadiste hanno distrutto tutti i nostri beni materiali e spirituali. Hanno ucciso più di 65000 persone solo nella capitale Kabul. Eppure gli abitanti di Kabul e tutto il paese non hanno dimenticato i giorni neri del governo di queste fazioni e le loro brutalità. E infine, il selvaggio regime dei talebani, ha raccolto questa eredità  e possiamo ancora vedere la loro inarrestabile barbarie nell’uccidere la nostra gente.

Tenendo conto di questi fatti, se la Corte Penale Internazionale non vuole o non è in grado di considerare questi fatti, allora la maggior parte dei crimini di guerra in Afghanistan degli ultimi tre periodi sarà  dimenticata e i loro perpetratori che sono al potere in questo momento, non saranno perseguiti e potranno continuare facilmente a commettere altri crimini. In questo caso, la giustizia sarà  sacrificata per gli affari politici e la burocrazia delle organizzazioni richiedenti giustizia. Nonostante ciò, possiamo ancora trarre vantaggio da questa posizione della Corte Penale Internazionale nel perseguire i trasgressori dei diritti umani e i criminali dal 2003, perché gli autori di reati durante questo periodo sono gli stessi governanti dei periodi precedenti o che hanno profondi legami con loro. Il bombardamento e il massacro della nostra gente da parte degli Stati Uniti-NATO, le esplosioni causate dai talebani e dall’ISIS e gli attacchi suicidi possono costituire la maggior parte dei crimini di questo periodo. Inoltre, i crimini commessi da Gulbuddin Hekmatyar e da altri gangster di fazioni che ora operano sotto il nome di “Arbaki” o “Polizia locale” possono essere considerati parte di questo periodo.

L’Associazione SAAJS ritiene che; solo con la continua pressione delle famiglie delle vittime, delle istituzioni che si schierano per una reale ricerca della giustizia e degli individui che amano la libertà, potremo perseguire i criminali e i loro sostenitori. Nessuna istituzione potrà ottenere risultati se non sotto la pressione dalle legittime richieste della gente.

Associazione SAAJS (Associazione sociale per la ricerca della giustizia in Afghanistan).

Comunicato stampa di Malalai Joya

dalla pagina facebook di Malalai Joya

Il nostro popolo è stanco di sentire parole di “condoglianza”, “dolore” e “condanna”, specialmente perché queste parole arrivano proprio dai principali sospetti dell’attuale situazione di miseria del paese. Invece di esprimere parole di condoglianza, dobbiamo unire le nostre forze e lottare per uscire da questo orrore, non abbiamo altro modo per uscire da questa situazione disastrosa!

Con l’annuncio della “Nuova Strategia Americana per l’Afghanistan”, il cui messaggio principale è solo una escalation della guerra e del crimine nel nostro paese, siamo stati testimoni di uno spargimento di sangue senza precedenti in Afghanistan, le cui vittime sono solo poveri e miserabili civili.

Non un solo soldato dell’occupante USA, nessuno dei loro burattini e nessuno dei loro parenti è stato ucciso. Il sangue di centinaia di nostri connazionali innocenti non ha turbato le coscienze dei funzionari governativi, degli intellettuali che dormono, di tutti coloro che accolgono e accettano questa strategia. I sanguinari attentati degli ultimi giorni a Ghazni, Paktia, Kandahar, Kabul, Ghor e altre province, hanno dimostrato mille volte che i sanguinari talebani, questi burattini in mano a forze straniere, faranno di tutto per realizzare i piani dei loro padroni e non ci risparmieranno orrore e oppressione.
Chiamarli “fratelli”, dividerli tra “moderati” ed “estremisti”, invitarli a “colloqui di pace” porterà peggiori conseguenze, quelle che si possono aspettare da elementi disonesti, sporchi e impopolari.

Gli attacchi brutali alle moschee sciite sono il frutto delle politiche diaboliche del Pakistan, dell’Arabia Saudita, degli Stati Uniti, per alimentare le divisioni religiose nel nostro paese e spingerlo ulteriormente verso l’instabilità. Con la solidarietà tra le religioni e tutti i gruppi etnici possiamo colpire i nostri nemici nazionali e fare fallire le loro politiche diaboliche. E fortunatamente la solidarietà del nostro popolo con le vittime di questi tragici eventi, dimostrano la consapevolezza dei nostri compatrioti.

Jinwar – Free Women’s Village Rojava

Jinwar – Free Womens Village Rojava è il cortometraggio che documenta la vita e la sopravvivenza autonoma dell’eco-villaggio costruito nella Siria del nord, in Rojava. Questa piccola oasi è aperta a chiunque desideri approdarvi per conoscere e comprendere l’esperimento di una comunità fondata dalle donne, autosufficiente, ecologica, che protegge e afferma i diritti dell’uguaglianza e della convivenza pacifica senza alcuna differenza di genere o nazionalità.

A Jinwar, in Rojava, Siria del nord, un pugnale di luce dirada l’oscurità di un’abitazione spoglia, i suoi tappeti tradizionali, e il cibo disposto in tavola. La quotidianità catturata dalla videocamera incornicia le ore dedite al lavoro, il gioco dei bambini, e alcuni volti dai tratti europei, la musica di una chitarra, e racconta la messa in opera di una comunità libera e autogestita dalle donne. Jinwar, che in lingua locale significa terra delle donne, nasce dal bisogno di concretizzare il cambiamento che le sue fondatrici immaginavano fin dal 2016, a cui sono seguiti due anni di gestazione e progettazione prima dell’ufficiale inaugurazione il 25 Novembre 2018, nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

Non è l’unica prova a testimonianza del coraggio e della determinazione delle donne curde, vittime nel loro paese, tra le mura domestiche, dove il patriarcato ne depreda con violenza diritti e libertà. Quando fuggono alla ricerca di una vita diversa, lo ricordiamo, scelgono di difendere la loro patria dall’Isis arruolandosi nell’esercito femminile delle YPJ, Unità di Protezione delle Donne. Scelgono, ancora, di ricostruire, accogliere le donne rimaste vedove e senza futuro, erigere nuovi ponti interpersonali laddove la sicurezza è stata smantellata dai continui soprusi di una vita domestica oppressiva e maschilista.

In Difesa Di, fare rete per i diritti. Incontro con Malalai Joya

Nel 2016, sono stati uccisi 282 difensori e difensore dei irriti umani in 22 Paesi nel mondo. E gli omicidi sono solo la punta dell’iceberg.

Per portare al centro del dibattito questo tema si è di recente costituita la rete “In Difesa Di – Per i diritti umani e chi li difende”, alla quale aderiscono oltre 30 organizzazioni, tra cui Radicali Italiani.

Tra gli obiettivi dell’iniziativa quello di fare pressione sulla Farnesina affinché si doti di strumenti di protezione degli attivisti e delle attiviste minacciate, sulla scia di quanto fatto da altri paesi dell’Unione Europea, dando così seguito agli orientamenti della stessa Ue in materia.  L’idea è anche quella di mettere a punto diverse modalità di concessione di visti temporanei per gli attivisti che sentono la necessità di lasciare momentaneamente il proprio paese. La rete italiana, inoltre, sta lavorando per coinvolgere gli Enti locali nella creazione di “città rifugio”, che possano dare protezione e accoglienza temporanea ad attiviste e attivisti.

A questo proposito “In Difesa Di” ha invitato in Italia Michel Forst, relatore speciale Onu sui difensori e le difensore dei diritti umani, per una visita accademica dal 7 al 9 maggio e per una serie di incontri con la società civile, il settore privato, il ministero degli Affari esteri e il Parlamento.

L’8 maggio il relatore speciale è stato a Roma, per un incontro pubblico nella sede della Federazione nazionale della stampa italiana. Durante l’evento, Michel Forst ha parlato del suo mandato, della situazione dei difensori e delle difensore dei diritti umani, dei rischi che corrono e di quali sono gli strumenti per proteggerli e proteggerle.

All’iniziativa hanno partecipato, tra gli altri, la difensora dei diritti umani afgana Malalai Joya, il presidente del Tribunale permanente dei popoli Franco Ippolito e il portavoce della rete “In Difesa Di” Francesco Martone. Con loro anche il presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti.

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