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Autore: Patrizia Fabbri

HAMBASTAGI – Solidarity Party of Afghanistan

 

Hambastagi – Partito della Solidarietà è ad oggi l’unico partito laico, democratico, interetnico e indipendente esistente in Afghanistan. Conta 30.000 iscritti provenienti dalle diverse etnie presenti nel paese di cui 10.000 sono donne. Il partito è inoltre rappresentato da comitati provinciali in 22 province su 34, ognuno con tre dirigenti, una donna e due uomini. Hambastagi è dotato di sedi nelle principali città, ma in alcuni luoghi i suoi membri, impossibilitati ad avere un ufficio, si riuniscono nelle case.

Il partito non riceve fondi pubblici, ma si auto-finanzia attraverso gli iscritti e i sostenitori. I paesi da cui riceve sostegno politico sono l’Italia, la Germania con Die Linke e la Svezia con il Partito della Sinistra.

Esiste inoltre un “Comitato per Hambastagi” la cui base si trova in Germania, fondato da persone afghane che risiedono nel paese.

Come e quando nasce l’organizzazione

Il partito, di ispirazione laica e democratica, nasce nel 2003 in vista delle elezioni presidenziali (2004).

Tuttavia, i suoi fondatori vengono da lontano e precisamente dalla lotta contro l’invasione sovietica, combattuta in gran parte all’interno di una coalizione formata dall’area religiosa degli islamici moderati e dall’area laica dei mujaheddin, entrambe unite contro il nemico comune. L’area laica era formata sia dauomini che da diverse donne che si riconoscevano negli ideali democratici e di sinistra (“mujaheddin del popolo”: partigiani laici della resistenza che non avevano nulla a che vedere con i jihadi, fondamentalisti islamici che combattevano in nome di Allah).

Il lavoro del partito

I membri di Hambastagi si battono contro ogni forma di fondamentalismo islamico, contro l’occupazione straniera e per una democrazia laica che garantisca diritti a tutti, specialmente alle donne. Lottano per un Afghanistan indipendente, democratico e indivisibile in cui poter vivere senza alcuna discriminazione etnica, razziale, religiosa, linguistica, di appartenenza a clan o a zone specifiche e dove si possa vivere in unità e sicurezza.

Essi credono in maniera estremamente profonda nella democrazia, sono laici, non vogliono assolutamente che i dettami islamici influenzino il discorso politico, si battono per la conquista dei diritti delle donne e promuovono i diritti umani. Tutto questo lavoro viene fatto organizzando incontri con la popolazione nelle città e nei villaggi, corsi di alfabetizzazione e manifestazioni

Il partito sta cercando di costruire una forte solidarietà internazionale e ha partecipato ad una Conferenza a Lahore con i partiti della sinistra pakistana. Attualmente è in contatto anche con i partiti della sinistra indiana.

Uno dei suoi principali obiettivi è quello di dar vita ad un’unica forza democratica, capace di intercettare e di integrare le diverse espressioni di dissenso, un partito dell’alternativa con una forte base sociale e in grado di incidere sulla politica afghana.

CISDA e HAMBASTAGI

Il principale sostegno che CISDA offre al partito è quello politico

  • Nel febbraio del 2011 ha organizzato incontri di attivisti di Hambastagi con partiti italiani, enti locali e associazioni.
  • Nell’ottobre del 2011 si è tenuta una riunione presso la Camera dei Deputati con il presidente dei parlamentari PD in commissione esteri On. Tempestini e con l’On. Delia Murer, organizzatrice dell’incontro.
  • Nel giugno del 2012 ha emesso un comunicato per denunciare la sospensione dal parlamento di Hambastagi.
  • Nel 2013 ha diffuso un ulteriore comunicato denunciando gli attacchi delle forze di sicurezza afghane durante una manifestazione del partito a Kabul.
  • Nel maggio del 2014 nella provincia del Badakshan una frana di dimensioni enormi ha ucciso almeno 350 persone con oltre 2 mila dispersi. In questa situazione disperata Hambastagi si è da subito attivata portando sul luogo team medici che sono stati in grado di raggiungere questa zona tra le più remote del Paese, nel nord-est, tra l’Hindu Kush e le montagne del Pamir che non ha visto l’aiuto di nessuno. CISDA ha sostenuto finanziariamente questa operazione di sostegno alla popolazione.

SAAJS – Social Association of Afghan Justice Seekers

SAAJS -Associazione Sociale per la Giustizia in Afghanistan è un’associazione costituita dai parenti delle vittime dei massacri compiuti in Afghanistan durante la guerra civile degli anni 1992-1996. Dopo la caduta del presidente afghano Najibullah nei primi mesi del 1992, tutte le fazioni dei mujahiddeen che avevano combattuto contro le forze di occupazione sovietiche negli anni dell’invasione (1978-1987) e poi contro il regime filosovietico iniziarono una violenta guerra per il controllo della capitale e delle province. Tra il 1992 e il 1996 Kabul fu teatro di combattimenti sanguinosi, che causarono la morte di migliaia di civili e la distruzione di gran parte della città. La maggior parte dei comandanti in capo durante questa guerra fazionale sono responsabili di crimini contro l’umanità. Nonostante le numerose testimonianze e le prove evidenti di questa realtà, molti dei leader delle fazioni armate hanno poi ricoperto cariche politiche e istituzionali nei governi che si sono succeduti dalla caduta del regime talebano (2001) a oggi.

Il SAAJS combatte affinché vengano portati nei tribunali di giustizia i criminali e venga costituito un memoriale in ricordo delle vittime.

Obiettivi

Gli obiettivi principali di SAAJS sono:

  • La costituzione di un tribunale internazionale per i crimini perpetrati nel Paese
  • La rimozione di tutti i criminali dalle loro cariche governative
  • La ricerca di tutte le “fosse comuni” non ancora scoperte e dei relativi colpevoli
  • La costruzione di un memoriale in ricordo di tutte le vittime.

Come e quando nasce l’organizzazione

L’organizzazione nasce nel 2007 all’interno della società civile, a seguito della scoperta di fosse comuni. Il suo principale scopo è ricercare la verità sui crimini di guerra e contro l’umanità commessi negli ultimi
quarant’anni.
La prima manifestazione di SAAJS si svolge davanti alla sede dell’UNAMA a Kabul per fare pressione sulle Nazioni Unite e su altre istituzioni: si richiede la costituzione di un tribunale competente a giudicare i responsabili dei massacri avvenuti.

I progetti di SAAJS

Progetto di giustizia transizionale “verità e giustizia”: il progetto è stato attivato nel 2008 in collaborazione con l’Associazione ICS e il CISDA e un finanziamento Europeo. La seconda fase del progetto è stata rifinanziata da un bando Europeo. L’Associazione SAAJS ne è divenuta capofila e la prosecuzione delle attività viene svolta in completa autonomia.

L’obiettivo del progetto è la raccolta di testimonianze sui crimini contro l’umanità che sono stati perpetrati dal 1992 al 1996 per portare all’attenzione della comunità internazionale una verità tanto spaventosa quanto costantemente e volutamente ignorata dai governi occidentali: la classe politica attualmente al governo in Afghanistan è direttamente coinvolta in crimini contro l’umanità di cui nessuno chiede di rendere conto.

CISDA e SAAJS

Nel 2008 il Cisda è partner con il Consorzio ICS di Alessandria del progetto a sostegno di Saajs di giustizia transizionale “Verità e Giustizia” finanziato dall’Unione Europea.

Sta attualmente collaborando alla costruzione del memoriale in ricordo di tutte le vittime.

OPAWC – Organization Promoting Afghan Women’s Capabilities

 

OPAWC – Organizzazione per la promozione delle abilità delle donne afghane è un’associazione costituita dai parenti delle vittime dei massacri compiuti in Afghanistan durante la guerra civile degli anni 1992-1996. Dopo la caduta del presidente afghano Najibullah nei primi mesi del 1992, tutte le fazioni dei mujahiddeen che avevano combattuto contro le forze di occupazione sovietiche negli anni dell’invasione (1978-1987) e poi contro il regime filosovietico iniziarono una violenta guerra per il controllo della capitale e delle province. Tra il 1992 e il 1996 Kabul fu teatro di combattimenti sanguinosi, che causarono la morte di migliaia di civili e la distruzione di gran parte della città. La maggior parte dei comandanti in capo durante questa guerra fazionale sono responsabili di crimini contro l’umanità. Nonostante le numerose testimonianze e le prove evidenti di questa realtà, molti dei leader delle fazioni armate hanno poi ricoperto cariche politiche e istituzionali nei governi che si sono succeduti dalla caduta del regime talebano (2001) a oggi.

Lo scopo di OPAWC è far sì che le donne prendano coscienza dei loro diritti e del loro ruolo all’interno della società. L’organizzazione fornisce alla popolazione servizi interamente gratuiti nell’ottica della promozione dei diritti, della democrazia e del sostegno alla società civile senza distinzione di appartenenze etniche. I tre settori principali in cui OPAWC opera sono: salute, educazione e progetti che generano reddito

Obiettivi

OPAWC continua a cercare modi creativi e diversi affinché le donne afghane possano costruirsi un futuro attraverso il triplice approccio di istruzione, opportunità economiche e salute.

Le finalità dell’organizzazione sono: riportare la pace e l’armonia in Afghanistan, migliorare il livello culturale, sociale ed economico delle donne offrendo corsi di alfabetizzazione e di artigianato, che permettono di acquisire consapevolezza dei propri diritti e sviluppare potenzialità e capacità lavorative.

Come e quando nasce l’organizzazione

Nel 2003 un gruppo di donne volontarie inizia a lavorare per creare opportunità sostenibili per le donne afghane: l’obiettivo è aiutarle ad uscire dal circolo vizioso della dipendenza e della vittimizzazione.
Vengono così organizzati corsi di alfabetizzazione nell’intero paese, che si svolgono nei retrobottega o in aule scolastiche. Qui le donne possono far emergere, al riparo da forze che potrebbero ostacolarle, la loro ricerca della conoscenza.

CISDA e OPAWC

Il Cisda collabora da sempre con Opawc ricercando finanziamenti per contribuire alla continuità dei loro progetti:

Dal 2010 è partner del progetto dell’Hamoon Health Center di Farah finanziato dall’Opera San Francesco (OSF).

Sempre dal 2010 è partner con l’Associazione Insieme Si Può di Belluno del progetto che prevede la distribuzione di capre a vedove e famiglie bisognose.

Dal 2007 è partner con le Associazioni Cospe e No-Mad del progetto per il Vocational Training Center di Kabul finanziato per tre anni dalla Regione Toscana.

Ha contribuito all’acquisto di un’ambulanza per l’Hamoon Health Center di Farah.

Afghanistan – Von CISDA unterstützte Projekte

Vivere in Afghanistan è ogni giorno più difficile e rischioso per donne e uomini che non si sono mai arresi alla brutale violenza del regime talebano.

CISDA continua ad essere in contatto con donne di Associazioni  rimaste  nel Paese per portare sollievo alla popolazione e tentare di ricostruire una coscienza civica.

Queste donne hanno continuato  a realizzare piccoli ma significativi progetti  riorganizzati

in clandestinità.

Nell’ultimo periodo il regime talebano ha inflitto ulteriori restrizioni che hanno colpito soprattutto le donne con il chiaro obiettivo di relegarle ancora di più nelle case e che prevedono pene molto severe in caso di trasgressione.

CISDA continuerà a portare  la voce di queste donne in Italia e a sostenerne  i progetti.

Dalla sua nascita Cisda ha sostenuto decine di progetti, alcuni continuano oggi e ne riportiamo un sintetico elenco. Per avere maggiori informazioni sui singoli progetti scrivere a cisdaets@cisda.it

Scuole segrete

Centro culturale polivalente

Nell’Aprile 2022 i Talebani  hanno vietato l’accesso ai corsi della scuola secondaria alle

ragazze nella quasi totalità dei distretti. Queste restrizioni escludono milioni di ragazze

dall’istruzione secondaria.

Le nostre associazioni organizzano piccoli nucleidi studentesse che si ritrovano  con una insegnante in case private. I corsi sono tenuti in clandestinità.

Il progetto è destinato alle ragazze dalla 6° alla 12° classe (dai 13 ai 18 anni).

La raccolta fondi è destinata a retribuire le insegnanti e all’acquisto  del materiale d’utilizzo.

Case famiglia per sostenere lo studio

Shelter in Kabul

Per sfuggire al divieto per le ragazze di accedere alle scuole pubbliche è nato un nuovo progetto di formazione clandestina. Piccole case-scuola nelle quali le ragazze vivono insieme tutto il giorno fingendo di essere una vera famiglia per trarre in inganno i talebani e i vicini di casa. Le prime  esperienze  si sono dimostrate molto positive e stimolanti e le nostre Associazioni vorrebbero  estenderne il numero. Le ragazze studiano in una stanza grande e fanno anche attività sportive. Le insegnanti tengono i corsi la mattina e nel pomeriggio le ragazze si occupano da sole della casa e della cucina. Le insegnanti tengono corsi di inglese, computer,  scienze, matematica ecc.

Sartoria per l’indipendenza economica

Sartoria

Le donne sono confinate a casa; non possono lavorare né nei servizi pubblici (ad eccezione dei ruoli che non possono essere ricoperti da uomini in campo sanitario ed educativo) né in quelli privati (a seconda della regione, settore e tipologia di lavoro). Nel gennaio 2022, la totalità delle famiglie con capofamiglia donna ha dovuto far fronte a una grave situazione economica e di disagio.

Il progetto Sartoria è stato organizzato per rendere le donne autonome lavorando da casa.

Oltre a fornire un corso per apprendere il mestiere, è stata data loro la possibilità di conoscere i temi della salute e del diritto delle donne al lavoro.

Il corso è iniziato nella città di Kabul ed è stato esteso ad altre 4 province.

Il progetto prevede l’acquisto di 80 macchine da cucire e relativo materiale che al termine del corso verranno lasciate alle donne e serviranno al sostentamento delle famiglie.

Sostegno per l’emergenza umanitaria

Due terzi della popolazione afghana ha bisogno  di assistenza umanitaria  urgente  per sopravvivere. Le scorte di cibo continuano a diminuire anno dopo anno e solo nel 2021, a causa dei combattimenti, migliaia di agricoltori e coltivatori non sono stati in grado di piantare i raccolti annuali. La metà di quelli coltivati è andato perso e il prezzo del grano è aumentato del 25%.

Oltre alla crisi economica le calamità naturali si abbattono sulla popolazione stremata. Le nostre associazioni raccolgono fondi per poter fornire pacchi con generi alimentari di prima necessità alle persone in condizione di disagio estremo. Donazione libera per sostegno emergenza

Giallo fiducia

Giallo fiducia

Nelle aree rurali è ancora possibile per le donne operare nel settore  agricolo e così portare sostentamento alle famiglie. È possibile acquistare da CISDA confezioni da 1 gr. di zafferano in pistilli con una donazione a partire da 13 €

Il progetto, avviato nel 2017, è stato finanziato da Costa Family Foundation e Cisda nella zona di Herat ed è gestito interamente da 12 donne con l’obiettivo di garantire una fonte di guadagno per la famiglia ed evitare la coltivazione dell’oppio.

I risultati ottenuti a oggi sono eccezionali: le donne coinvolte integrano lo stipendio del marito, stanno acquisendo indipendenza di vita, oltre che economica e questo permette  loro di acquisire sicurezza e dignità.

Il progetto si completa con un corso di alfabetizzazione.

Shelter per donne vittime di violenza

Afghanistan

In Afghanistan nove donne su dieci hanno subito una qualche forma violenza in famiglia o dal proprio partner. Questi dati che risalgono al 2009 sono sicuramente confermati anche ora che il paese è sotto il dominio dei Talebani e non sono più vietati i matrimoni forzati. Le bambine vengono date in sposa ai miliziani per consentire alle famiglie di sopravvivere e avere una bocca in meno da sfamare.

Dall’agosto 2021 gli “Shelter”  – Case rifugio per donne vittime di violenza – sono stati costretti alla chiusura. Le nostre Associazioni hanno deciso di aprire una sola casa protetta  (in clandestinità) che accoglierà 4 casi particolarmente gravi fornendo protezione, supporto psicologico ed economico alle donne e ai relativi bimbi piccoli.  È previsto anche l’acquisto di macchine da cucire per rendere le donne attive e, in futuro, indipendenti economicamente.

Vite preziose

Vite preziose

Avviato nel 2011 dopo la pubblicazione sul quotidiano I’Unità delle storie di alcune donne che la giornalista Cristiana  Cella aveva incontrato  a Kabul nelle ‘case protette’ e nei Centri di Aiuto Legale gestiti dalle nostre Associazioni.

Le donne che sosteniamo sono madri di famiglia e ragazze che ci aprono la porta su una quotidianità devastata, per noi inimmaginabile: la violenza feroce, la povertà estrema, il pregiudizio,  l’abbandono,  l’ingiustizia. La totale esclusione da ogni elementare diritto umano.

Alcune di loro hanno combattuto e vinto. Hanno percorso  tutta la strada verso la libertà e l’autonomia, stanno bene e cedono, volontariamente, il posto a chi sta peggio di loro. Altre continuano a lottare in una realtà sempre più drammatica. Attualmente sono 29 le donne sostenute.

Staffetta femminista

Chi è impegnato nell’aiuto umanitario lungo le rotte e chi opera nei centri antiviolenza europei si confronta con una violenza di genere resa ancora più feroce dalle condizioni in cui donne e persone vulnerabili sono costrette  a viaggiare.

Da questa premessa si è sviluppata una Staffetta che – partendo dal progetto Vite Preziose – prevede più squadre di sostenitori distribuite su più tappe dall’Italia all’Afghanistan, oltre a tappe all’interno del paese stesso, a sostegno del progetto di autonomia di donne e ragazze, con particolare attenzione  a coloro che sono vittime di violenza sessuale e familiare. Le tappe finora realizzate sono 10 ma altre si stanno aggiungendo

Hamoon Mobile Health Unit

Il servizio sanitario afghano è gravemente compromesso, in particolare nelle aree rurali. A causa delle restrizioni  imposte alle donne dai Talebani, le operatrici  sono pochissime. In alcuni distretti non ci sono infermiere nell’86% dei presidi sanitari e non ci sono medici donne nel 71% dei casi.

Il Centro  sanitario a Farah, città dell’Afghanistan occidentale, è stato avviato nel 2010 e operava grazie al finanziamento di Opera San Francesco di Milano.

L’ospedale forniva cure gratuite e medicine a 120 persone al giorno.

Attualmente  l’ospedale  è  chiuso.

A causa di minacce da parte dei talebani e della impossibilità delle donne a raggiungere l’ospedale per le nuove regole sulla mobilità imposte si è quindi costituita una unità mobile con medici, infermiere e personale tecnico che raggiunge le donne nei villaggi periferici  e remoti dove ci sono le pazienti impossibilitate a raggiungere la città.

Distribuzione di capre a vedove e famiglie bisognose

Distribuzione capre

Il progetto creato dall’associazione Insieme si può nel 2010 ora sostenuto da Costa Family Fundation e CISDA si rivolge alle donne e alle famiglie più povere di varie province dell’Afghanistan.

La stragrande maggioranza della popolazione afghana vive in povertà, soprattutto le vedove e le famiglie particolarmente  colpite dal conflitto devono lottare ogni giorno per guadagnarsi da vivere. Le capre permettono  a queste donne, in particolare  vedove, in condizioni di estrema povertà, emarginazione di avere un sostentamento  per la famiglia.

Ad ognuna di loro viene affidata una capra da latte. Questo  consente di avviare delle micro attività generatrici di reddito. Ogni donna beneficiaria si impegna a donare, a sua volta, una delle caprette che nasceranno dalla propria ad un’altra donna bisognosa della comunità/villaggio.

Mission und Vision

Le donne del CISDA sono attive nella promozione di progetti di solidarietà a favore delle donne afghane sin dal 1999. Il primo incontro con le donne di RAWA e di HAWCA è avvenuto all’ARCI Isolotto di Firenze e, in seguito, all’ONU dei Popoli di Perugia a cui vennero invitate dalle “Donne in Nero”.

Da allora, questo nucleo di donne ha continuato la sua attività, collaborando anche con altre associazioni e attiviste afghane.

Dal 2014, su sollecitazione delle compagne e dei compagni afghani, l’attività di sostegno e informazione del CISDA si è rivolta anche alla resistenza curda.

Le finalità del CISDA si collocano nell’ambito della solidarietà sociale, della formazione, della promozione della cultura, della tutela dei diritti civili e dei diritti delle donne in Italia e all’estero.

L’Associazione ha come fondamento la condivisione dei valori umani di ogni persona quali ne siano religione, origine, cultura e nazionalità; lo scopo prioritario è la promozione di iniziative di carattere politico-sociale sia a livello nazionale che internazionale, sulla condizione delle donne che si trovano in situazioni svantaggiate dal punto di vista familiare, economico, sociale e politico, con particolare riferimento alle donne afghane.

All’interno del tessuto sociale CISDA intende, promuovendo la diffusione di una cultura e di una prassi di solidarietà:

  • contribuire al superamento di atteggiamenti emarginanti, con l’apertura all’accoglienza e alla condivisione e per l’educazione a una convivenza sociale multirazziale, in spirito di fraternità e di non violenza;
  • favorire l’eliminazione dei fattori che ostacolano il pieno e libero sviluppo umano, sociale ed economico
  • realizzare una crescita e uno sviluppo, sia a livello locale che internazionale, nella ricerca di una maggiore giustizia tra i popoli, nel rispetto del razionale sfruttamento delle risorse e dei limiti ambientali del pianeta

Doha 3: the “first time” of the Taliban

Pretending it’s a normal thing: that’s how you accept and make others accept what once seemed abominable. Just don’t talk about it, don’t mention it, talk about something else.

Talking about banks, drugs, aid… “normal”, everyday things of life, thus making people forget the daily horror experienced by women in Afghanistan under the fanatic regime of the Taliban and their ideology, so extreme and aberrant that even other extremist regimes suggest a limit. Afghanistan has disappeared from the news and international politics; no one talks about it anymore, unlike after the Taliban took power when “donor” countries lamented the tragic situation of the starving people and enslaved women, giving away money and scandalized words, as they did during the twenty years of occupation when they supported governments so incapable and corrupt that they lacked credibility even for themselves.

The distracted moral condemnation and fake economic sanctions imposed on the Taliban government – every month the UN sends $40 million to Afghanistan – have not softened the cruel laws against women, and the UN today declares concern for the crimes against women and their resistance only to then push forward the urgent need to help the population and fight drug trafficking. Efforts are being made to get the Taliban to engage in dialogue with the so-called international community and ensure that Western interests in Afghanistan continue to be protected.

The Taliban ask and the UN consents

In this context, the III Doha Conference took place in recent days, an international meeting that marked a turning point in Western policies towards that country: organized by the UN to normalize relations with the de facto government of Afghanistan and officially reopen economic and political relations with Western economies, which in reality had never been interrupted for some countries like China, India, Central Asia, Russia, Iran.

The novelty was the direct participation of the Taliban, who had not agreed to participate in the two previous Doha Conferences, thanks to the acceptance of their conditions, previously always excluded, which imposed inviting only them as representatives of the Afghan people and not addressing the issue of the oppression and systematic exclusion of women from education and society.

Humiliating conditions, not only for Afghan women but also for the entire democratic international community, but accepted by the UN and all participating states (albeit with Canada’s dissent). Acceptance highly criticized by various Afghan women’s associations, human rights organizations like Amnesty, and even Richard Bennett, the UN Special Rapporteur on human rights in Afghanistan (who did not attend the meeting), costing the UN significant credibility regarding its role as a defender of human rights. Even the United Nations Committee on the Elimination of Discrimination against Women (CEDAW) expressed deep concern over the exclusion of women and girls from the Doha meeting.

The “first time” for the Taliban… a step towards recognition

Apparently, this conference did not produce significant results. There were no enthusiastic official comments at the conclusion of the meeting, no triumphal tones. Rosemary DiCarlo, UN Under-Secretary-General for Political and Peace Affairs, who chaired the meeting on behalf of the UN, held her press conference in a subdued tone, almost quietly.

She highlighted that there was no official recognition of the de facto government, that sanctions were not lifted, and thus the Taliban did not get what they asked for. She also stated that she had supported women’s rights in every way, both directly in talks with the Taliban and through meetings, held after the meeting concluded, with women who agreed to speak with her (some refused in protest), but without any results.

One might say the meeting ended with nothing achieved, as neither did the Taliban obtain international recognition of their government and the lifting of international sanctions, nor did the UN achieve the easing of decrees against women’s rights.

But instead, an important result was achieved: it is precisely what DiCarlo called, satisfied and proud, “the first time” for the Taliban, their first official contact with the UN, promising it will be just the beginning…

The real success, however, is all the Taliban’s, consisting precisely in being admitted to a meeting with the UN for the first time and on their terms, which the UN accepted just to have them in Doha, overlooking the apartheid suffered by women and so stigmatized by the UN itself. This “first time”, so opposed by women and human rights activists, represented a success even before the conference took place, for the very fact of being desired and sought by the UN.

While the UN sells out their rights, women in Afghanistan are even more oppressed

Bennett had well expressed the sentiment of all opponents of the de facto government of Afghanistan and women’s organizations, declaring that renouncing their rights was too high a price to pay in exchange for normalizing relations with the Taliban and entering the so-called international community.

Another important reflection of this international visibility that the Taliban have gained by sitting at the UN table on their terms is all internal. Women who resist and continue to protest at the risk of their lives will now be even more harshly repressed thanks to a de facto legitimacy that the international community has given to those who devastate the rights of women and their people.

But how does the UN justify this sale of women’s rights?

DiCarlo explained that unfortunately, the Taliban do not want to sit at the negotiating table if women are present, so the UN was forced to leave them out the door.

This phrase, which makes this choice seem like an act of realism, actually takes for granted the international community’s defeat in defending Afghan women, showing that they have already surrendered to the Taliban’s will, seeing no alternatives.

The real message emerging from Doha3 is to take for granted that the Taliban control the country and to recognize, in fact, their government, even if officially denied.

The UN justifies this with the need to promote Afghanistan’s economic development to help the starving population, as if merely dialoguing with the Taliban could convince them to start a “normal” governance process based on the people’s needs rather than sharia’s.

But the facts are not taken into account: all the aid sent to Afghanistan so far has been intercepted and extorted by the Taliban for the benefit of the state apparatus and their loyal officials while little or nothing has reached the intended recipients, demonstrating how little the Taliban government cares about the well-being of its people. It was evident, for example, how they behaved during earthquakes and floods that destroyed entire territories and took everything from the already exhausted population: as numerous sources reported, aid was null or delayed because the Taliban logic is to consider catastrophes as natural phenomena sent by God and therefore to be accepted as fate.

Can opening a dialogue with the Taliban really be enough to influence them to change their fundamentalist and theocratic vision and adopt a secular governance?

The frozen money by the US and European countries belongs to the Afghans, NOT the Taliban

The money of the Afghan Central Bank frozen by the US and European countries (about $9 billion), which the UN and various organizations (including Italian ones) are asking to be unfrozen, could certainly serve to give oxygen to a population exhausted by wars and misery, but handing these funds over to the Taliban would mean giving them to despots who only care about maintaining their apparatus and loyal supporters and who extort the population with levies, taxes, and blackmail (as well demonstrated by the report “Corruption And Kleptocracy In Afghanistan Under The Taliban”).

More direct forms of support to the population must be found, and the Taliban government must be hit for its responsibility in imposing a system of oppression on the entire population and gender apartheid on women.