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Autore: Patrizia Fabbri

Lettera aperta a Mimmo Lucano

Le ultime vicende giudiziarie che hanno coinvolto Mimmo Lucano ci hanno sorpreso, amareggiato, avvilito e ci hanno spinto a scrivergli una lettera personale di vicinanza e solidarietà. Riflettendo sulla gravità ed importanza di questi fatti abbiamo pensato di trasformare questa lettera personale in una lettera aperta e di pubblicarla sui nostri blog ed anche su Change.org perché tutti coloro che la condividono possano firmarla e farla propria.

Link per sottoscrivere la lettera: http://chng.it/Twvr5cZgmd

SOLIDARIETÀ PER MIMMO LUCANO

Lettera aperta all’ex Sindaco di Riace

Caro Mimmo,
ho sperato scioccamente che tu continuassi a fare il Sindaco, in barba a provvedimenti di cui non vedevo la ragione.
Osservavo da lontano la tua consueta generosità, la tua capacità di resistere al malanimo dei tanti cinici che crescono come funghi in questi tempi sciagurati, ad ogni attacco, non solo della criminalità organizzata, dei fomentatori di paure e di rancore, ma anche di coloro che avrebbero dovuto difenderti e assisterti: mi riferisco agli organi dello Stato.

L’ho sperato d’istinto, senza riflettere, perché credevo alla lezione che ci stavi dando da quel paesetto sperduto della Calabria: una preziosa esperienza di integrazione e fratellanza tra persone di diversa estrazione: disperati in fuga dalle guerre, dalle carestie, dalla fame, e gli ultimi del nostro Sud. Un’esperienza di rigenerazione delle trame relazionali in un territorio del Sud, che si era andato col tempo spopolando a causa della nostra emigrazione, la nostra piaga fino a qualche decennio fa, prima che passassimo il testimone ad altre genti.

Eri diventato un punto di riferimento in tutto il mondo: il tuo esperimento funzionava. Non come un orologio svizzero, lo sai anche tu, ma funzionava.
Il mondo se n’era accorto prima di me.

Qui da noi le cose vanno sempre in questo modo. Se c’è qualcosa di positivo che ci riguarda, che possa essere d’esempio, rimane nascosto a lungo, a meno che non intervenga la magistratura a interromperlo, o qualche esimio burocrate: gente che di solito non si distingue, salvo lodevoli eccezioni, a volte anche eroiche, per un’interpretazione sensata della propria funzione.

Ricordo l’esperimento di Don Milani, a Barbiana, circa cinquant’anni fa. Era stato esiliato tra i boschi, sull’appennino toscano, da gerarchie cattoliche sorde e cieche, tra persone abituate da secoli solo a faticare per sopravvivere, e ne aveva fatto l’occasione per il rinnovamento della Scuola nazionale. In più, con la lettera aperta ai cappellani militari, scritta con i suoi alunni, “l’obbedienza non è più una virtù”, diede inizio alla lotta per il “servizio civile”.

Anche lui subì molte ingiurie ed un processo, mentre un tumore se lo stava già portando via. Ed anche lì c’era di mezzo uno Stato retrogrado, custode delle peggiori tradizioni e dei vecchi equilibri sociali, con la complicità di un’opinione pubblica distratta, quando non apertamente ostile.
Ha vinto lui, alla fine. E vincerai anche tu, cioè le tue civilissime idee e la tua passione nel realizzarle.

Ho cominciato la lettera con il verbo sperare, ed era un’apertura autocritica la mia. Si, perché imprese come la tua dividono, sollevano vespai polemici, ed hanno bisogno sempre di essere difese in ogni luogo, non di semplici speranze. Ora che sei ancora sotto scacco, che sei inquisito e stai andando sotto processo, ora che sei stato sospeso (da diversi mesi in realtà) dalla carica di Sindaco e sei costretto a vagare fuori dal tuo Comune, come se fossi un delinquente della mafia (ma c’è ora una disposizione della Cassazione tendente a far revocare quel provvedimento) ora, dicevo, in qualche modo cerco di compromettermi, e chiedo anche ad altri tranquilli cittadini di farlo.

Non si può stare sempre a guardare, magari auspicando il meglio per tutti: non basta. Soprattutto quando, come ci spiega una meravigliosa ragazzina svedese di nome Greta riferendosi ad altri problemi che ha l’umanità tutta insieme, “la nostra casa è in fiamme”.
È una questione di civiltà, di concreto lavoro per crescere come cittadini, perché l’umanità cammini favorendo l’integrazione tra persone diverse, culture diverse, difendendo la pace in Europa e nel mondo. Forse anche Stoccolma, dove si decide un premio annuale per la Pace, dovrebbe venirne a conoscenza, e fare una urgente riflessione, senza attendere delle burocratiche segnalazioni.

Ma, caro Lucano, vorrei che finalmente tu confessassi i tuoi crimini.

Non importa se la Cassazione ti ha già prosciolto dai primi capi d’imputazione, dopo che lo stesso GIP aveva già in parte demolito il castelletto di accuse della Procura di Locri (Locri, attenzione, il luogo più ‘ndranghetista d’Italia – è lì che si indaga e si processa un Sindaco che ha impedito fino allo spasimo, rischiando di persona, che la ‘ndrangheta prevalesse nel suo Comune – perché?), Stranamente la stessa Procura ora decide, con una procedura che non riesco a comprendere (qualcuno, per favore, mi illumini) di ricorrere a nuove imputazioni, e di portarti a processo nel mese di giugno (dopo le europee vero?).

Tutto molto oscuro: i latini parlavano di fronte a casi come questi di “fumus persecutionis”, e si chiedevano sempre dove volesse andare a parare chi perseguitava altri da una posizione di potere, ma io certo non mi azzardo a usare questa espressione, non me la sento proprio di fare della dietrologia, anche se la mia pazienza ormai si è sciolta.

Mi chiedo, e chiedo anche a te, ma vorrei chiederlo anche a questi magistrati, come vorrei chiederlo a chi in qualche modo li governa: se per ipotesi capitasse, come penso, che tu, insieme ai tuoi collaboratori, venissi definitivamente assolto dopo tanto accanimento, chi ti risarcirebbe del dolore, delle notti insonni, della distruzione della tua reputazione, chi risarcirebbe quel laboratorio sociale e culturale che impegnava tanti disperati rinfrancati da una vita finalmente dignitosa che tu gli offrivi?
Non è una domanda da poco: altre vite in passato, ed anche recentemente, sono state distrutte per errore. Si dice che nel nostro ordinamento c’è l’obbligatorietà dell’azione penale, e va bene.
Ma mi piacerebbe sapere come si sceglie, con che logica, quale fascicolo aprire di fronte alla miriade di “notitiae criminis” che in buona parte rimangono inevase per mancanza di tempo e di personale. E mi piacerebbe sapere chi paga, e come, per dei possibili errori giudiziari, per eventuali inaccettabili forzature, già a partire dalla scelta dell’incriminazione.
In questa nostra società ognuno deve avere l’obbligo di essere responsabile di quello che fa, non possono esserci zone franche. Ed i singoli magistrati? E gli alti burocrati che si nascondono dietro le alte scrivanie, che obbediscono forse a disposizioni forzate? Ti basterebbe, Mimmo, dopo il “crucifige”, un “ci scusi per il disturbo”?

E le vite distrutte, e il dolore di tanta gente, e la vergogna che si trasmette anche ai familiari? Chi paga, e come si fanno i conti dei danni, quando c’è di mezzo la dignità? Non ti sembra civile chiederselo, visto che da qualche tempo non abitiamo nelle caverne?

Dai Lucano, confessa i tuoi crimini.

Dillo finalmente che tu eri convinto di essere in un Paese civile, ricco di umanità, non in un mondo di questurini, di legulei, di paurosi e rancorosi oltre i limiti psichiatrici, manipolabili dal primo bulletto che si presenta alle elezioni, forza un poco la tua natura pacifica, gridalo come quel quadro di Munch, l’Urlo, che tutti conosciamo, facciamo insieme un coro rumoroso che si senta anche nelle spelonche dei ladri di vita altrui, e nelle sfere celesti.
Buona fede, difesa delle dignità umana, fratenità e ingenuità, questi sono i tuoi crimini, Lucano. Vorrei tanto che diventassero quelli di tutti, a partire da un’intera generazione, la mia, che voleva cambiare il mondo ed ha solo cambiato vestito.

Un abbraccio.

Lanfranco Scalvenzi e Maurizio Colace

Rompiamo l’isolamento: è il silenzio che uccide

11-12 maggio con i 7000 in sciopero della fame. Il CISDA aderisce.

In questo momento è in corso uno sciopero della fame di massa: nelle carceri della Turchia e non solo circa 7000 persone si trovano in sciopero della fame a tempo indeterminato, 8 persone hanno già posto fine alla loro vita per protesta, 7 delle quali in carcere. La richiesta è la fine dell’isolamento di Abdullah Öcalan: sequestrato in Kenia a seguito di un complotto internazionale nel febbraio del 1999, dall’aprile 2015 si trova in isolamento totale nell’isola prigione di Imrali. Questo isolamento è una tortura, una violazione dei diritti umani e delle leggi internazionali e nazionali.

La prima a iniziare lo sciopero della fame per rompere l’isolamento è stata una donna: Leyla Guven, deputata dell’HDP, in sciopero dal 7 novembre 2018; a lei dal mese di dicembre 2018 in avanti si sono unit* 14 attivist* curd* a Strasburgo, militanti in Iraq, Regno Unito, Canada, Germania, Francia. A partire dal 21 marzo, giorno del Newroz (capodanno curdo), Erol Aydemir, un giovane rifugiato curdo, ha iniziato lo stesso sciopero della fame a tempo indeterminato a Cagliari e prosegue la sua resistenza nel Centro Socio-Culturale Curdo Ararat a Roma.

All’interno del conflitto in Mesopotamia, Öcalan è una voce coerente che chiede la pace; Leyla Guven, la donna che diede inizio a questa protesta, dichiarò: “le politiche di Isolamento verso Öcalan sono imposte su un popolo intero attraverso la sua persona”.

Isolare Öcalan significa isolare colui che ha dato origine e forza al movimento di liberazione curdo, e quindi si tratta di un attacco al movimento di liberazione tutto. Isolare Öcalan significa isolare colui che ha ideato il confederalismo democratico, e quindi significa allontanare queste idee da chi in tutto il mondo le vuole mettere in pratica. Significa anche un attacco diretto alla rivoluzione del Rojava, sotto la costante minaccia delle potenze regionali e globali. Portare solidarietà a questa protesta significa combattere il fascismo di Erdoğan, significa porre le basi per costruire assieme un’alternativa sociale e globale al fascismo.
Öcalan considera essenziale la liberazione della donna per la liberazione della società, essere solidali con questa lotta significa anche schierarsi attivamente per la liberazione delle donne e dei generi oppressi.

Ricordiamo che questo movimento di protesta e resistenza è iniziato da una donna!

Per questo, lo sciopero della fame iniziato da Leyla Guven ci riguarda tutte e tutti: invitiamo tutte e tutti a una giornata di azione nazionale l’11-12 maggio. Invitiamo ciascun collettivo, gruppo, associazione, struttura, persona ecc… a prendere parola con i mezzi e modi che più considera adatti. I coinvolgimenti anche sul nostro territorio non mancano: la Turchia di Erdogan riceve fondi dall’Unione Europea per tenere lontani i migranti siriani; la Turchia si addestra nelle nostre stesse basi e acquista armi della Finmeccanica/Leonardo. I nostri media sono in silenzio – ma come si può rimanere in silenzio di fronte a 7000 persone in sciopero della fame a oltranza? Il CPT (Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura) non interviene concretamente, né lo fanno le istituzioni nazionali ed europee. Addirittura Amnesty International, che si proclama così indipendente e in difesa dei diritti umani, resta in silenzio.

L’Italia inoltre sta mettendo sotto accusa coloro che hanno sostenuto attivamente la rivoluzione; tra Torino e Nuoro sei persone rischiano la misura di sorveglianza speciale (che comporta una grave limitazione delle libertà personali, prima tra tutte quella di movimento e di riunione) in quanto soggetti socialmente pericolosi, non perché hanno commesso crimini ma perché hanno pubblicamente dichiarato la loro partecipazione e sostegno alla rivoluzione siriana. Questo però non è solo il paese che vende elicotteri da guerra alla Turchia e mette sotto processo la solidarietà internazionale, è anche il Paese d’origine di Lorenzo Orsetti, partigiano d’oggi che per la rivoluzione confederale in Siria ha combattuto fino al 18 marzo, giorno in cui è caduto insieme ai suoi compagni in una delle ultime battaglie contro l’ISIS.
Ascoltare e diffondere la voce di chi è in sciopero oggi è uno dei tanti modi con cui vogliamo prenderci la responsabilità della sua memoria e dell’importante compito per cui ha vissuto e che oggi ci ha lasciato; sentire che ogni popolo che lotta per la libertà è il nostro popolo, scegliere da che parte stare ovunque ci troviamo.

La forma con cui aderire alla giornata dipenderà dalla fantasia di chi vive le realtà locali e da cosa ciascun gruppo considererà più efficace. Dibattiti, striscioni, foto… chi più ne ha più ne metta!

Inoltre vorremmo che l’11 maggio non fosse una data isolata ma chiediamo che si arrivi a quel giorno con un crescendo di iniziative e di prese di posizione. Tra queste, alcune iniziative sono già iniziate, tra cui per esempio lo sciopero della fame a staffetta, a cui partecipano donne e uomini in tutta Italia e nell’ambito della quale è nata un’importante iniziativa collettiva a Firenze il 23 e 24 aprile; e la campagna #7000ControLisolamento, che invita ad appendere striscioni o cartelli visibili in solidarietà con lo sciopero della fame. Vi invitiamo a partecipare ad entrambe o comunque a darne visibilità, ad andare a visitare Erol in sciopero della fame a Roma; a continuare fino all’11 e oltre, a fare pressione sulle istituzioni perché si prenda posizione; ad informare, a evidenziare contraddizioni, ad essere visibili in ogni modo.

La lotta di Leyla Guven è la nostra lotta:
ROMPIAMO L’ISOLAMENTO!
Rete jin
Uiki Onlus
Retekurdistan Italia
ex-combattenti YPG/YPJ

Per adesioni scrivere a entrambi gli indirizzi:
solidarietadonnekurde@gmail.com – jin.mediaitalia@gmail.com

Arrivederci Padre Maurizio

La luminosa vita di Padre Maurizio si è spenta ieri. Ma la sua presenza resterà accanto a chi lo ha conosciuto, come noi, nelle parole, nell’ironia, nei gesti di affetto, nell’accoglienza, nelle infinite opere che con il suo aiuto hanno reso migliore la vita di tanti afghani.

Un uomo che non doveva abbattere muri perché non ne aveva mai costruiti. Il suo discrimine non era la religione ma l’umanità. La sua legge l’amore e la generosità. Le divisioni confessionali e i pregiudizi non lo sfioravano nemmeno.

Una volta ci disse, sorridendo: “Ci sono anche persone che sono cristiane a loro insaputa.”

Andarlo a trovare, insieme alle nostre e sue amiche afghane, era sempre molto emozionante. Si faceva raccontare con gioia i progressi, le speranze, le vittorie che i progetti da lui sostenuti facevano fiorire, in mezzo alla guerra, nelle quotidiane battaglie per la vita degli afghani.

Ne condivideva gli enormi problemi, con la sua partecipazione attenta e amorevole, e sosteneva la lotta di donne, come Rawa, che combattono per i diritti umani contro la guerra e l’oscurità del fondamentalismo, permettendo la nascita di ospedali, la cura per le persone, l’istruzione.

Sempre pronto a tendere la mano, anche oltre le richieste, alle piccole e grandi esigenze di chi ha bisogno di aiuto. La sua disponibilità, che non perdeva mai, nemmeno nella malattia, la leggerezza dell’ironia, ci ha accompagnato per dieci anni.

È stato per noi un onore avere la sua amicizia e siamo fiere e felici di averlo conosciuto e di aver fatto tanta strada insieme a una persona così straordinaria.

Con affetto, CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane).

Per Leyla Güven, una di noi

Comunicato del CISDA, (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) a sostegno di Leyla Guven, 12 aprile 2019

Leyla, deputata curda dell’HDP, è in sciopero della fame a tempo indeterminato dall’8 novembre 2018, per chiedere la fine dell’isolamento nel carcere di Imrali e i diritti legali per Abdullah Öcalan, leader riconosciuto e amato dal popolo curdo.
Se la richiesta di Leyla avesse una risposta, significherebbe anche la fine dell’isolamento di tutto il popolo curdo. E questo è ciò che il dittatore fascista Erdogan non vuole.

Dopo Leyla, migliaia di prigionieri curdi detenuti nelle carceri turche hanno iniziato uno sciopero della fame a tempo indeterminato. E con loro molti curdi in diverse città europee stanno compiendo lo stesso gesto estremo.

L’Unione Europea ha voltato la testa dall’altra parte. In questi ultimi giorni i prigionieri e le loro famiglie hanno fatto appelli e inviato lettere al Presidente e al Ministro della giustizia turchi, al Comitato europeo per la prevenzione della tortura, al Consiglio europeo, a diversi membri del Parlamento Europeo. Sono stati scritti migliaia di appelli e messaggi di solidarietà a Leyla e a chi ha deciso di fare il suo stesso passo da parte di associazioni e persone singole.

Nel frattempo, 8 prigionieri hanno perso la vita per chiedere giustizia. Le condizioni di chi è in sciopero della fame in carcere sono inumane: sono tenuti in isolamento, non possono comunicare con l’esterno, non possono ricevere né visite né telefonate dai loro parenti, non ricevono quantità sufficienti di sale, zucchero, limone e succo di frutta.

Chiediamo che venga posta finalmente l’attenzione dovuta alla situazione e a coloro che stanno mettendo a repentaglio la loro vita per chiedere semplicemente giustizia. Chiediamo che la Turchia, un paese membro della Nato e che l’Europa ha pagato profumatamente per fermare i profughi siriani al di là dei suoi confini, rispetti i diritti umani e smetta di praticare forme di tortura all’interno delle sue carceri.

Ci stringiamo in solidarietà con Leyla, con tutti i compagni e le compagne in sciopero della fame.

LA RESISTENZA È VITA!

Il sogno del guerriero – A Riace riparte la speranza

“Il sogno del guerriero” è il nuovo murales dipinto dall’artista peruviano Carlos Atoche sul muro della scuola primaria Istituto Comprensivo Riace Monasterace di questo piccolo borgo della Locride, noto per essere stato un modello esemplare di accoglienza e di integrazione per i rifugiati che scappavano dalle guerre. Quest’opera straordinaria di 60 metri quadrati, visibile anche dalla piazza centrale del borgo, è stata sostenuta dal Comitato Riace Premio Nobel per la Pace e portata a termine grazie all’accoglienza di Riace e ai piccoli contributi donati attraverso l’appello pubblicato sulla pagina Facebook della Campagna.

Il murales raffigura un guerriero mitologico che esprime con la forza dei suoi tratti l’idea dell’accoglienza e del rispetto per lo straniero ed il viandante propria della mitologia greca, trapiantatasi nella Magna Grecia. Un guerriero forte che ama la sua gente ed il suo paese e che si batte per non farlo cadere nell’abbandono e per non farlo morire accogliendo chi scappa dall’inferno e sogna una nuova vita.

Quel guerriero dipinto con grande forza da Carlos con le sembianze e la possanza di uno dei bronzi, riemersi a distanza di secoli dal mare di Riace come per volere e disegno del “fato”, in realtà non è mai andato via. Come l’idea di accoglienza e di ospitalità che è rimasta viva attraverso i secoli nelle popolazioni dell’ex Magna Grecia e dell’intera Calabria nonostante le sue stridenti contraddizioni.

Il dipinto è un omaggio a Mimmo Lucano che è stato capace di tradurre il sogno in realtà trasformando il comune di Riace in un’esperienza unica di accoglienza e di rispetto per gli altri. Quel sogno che un pensiero politico di segno opposto, fondato sull’egoismo, la paura e la criminalizzazione della solidarietà sta tentando di soffocare, strozzando insieme le speranze di chi fugge dall’orrore e quelle di un intero paese che ha dato vita ad un percorso di speranza e di rinascita nel nome di una nuova Umanità.

Mimmo, senza processo, è confinato in esilio, come lo sono sempre stati nella storia i combattenti della libertà, ma le sue idee non sono andate via e l’arte di Carlos ce lo ricorda. Mimmo tornerà anche materialmente alla sua Riace diventata grazie a lui di tutti quelli e quelle che a Riace e nel mondo hanno lavorato e continuano a lavorare con lui, un’esemplare costruzione collettiva, di una migliore Umanità e di un’idea di sviluppo locale rispettosa di tutti gli esseri viventi e della madre Terra.

Il paese ha accolto con grande entusiasmo il nuovo murales, in molti sono venuti a complimentarsi con Carlos per il suo dipinto e hanno lasciato un messaggio di solidarietà e di vicinanza a Mimmo Lucano. Insieme a Carlos in questi giorni c’erano anche Emanuela Robustelli, curatrice d’arte che ha seguito tutta l’operazione assistendo l’artista Atoche e Maura Crudeli, presidente di Aiea Onlus, una delle associazioni promotrici del Comitato Premio Nobel per la Pace, che ha documentato la realizzazione del murales e curato la parte produttiva e logistica dell’opera.

Carlos Atoche ha incontrato Mimmo Lucano a Caulonia e racconta così la sua breve ma intensa esperienza a Riace: “È la prima volta che visito il paese e la mia prima impressione è stata quella di un borgo molto ordinato. Nell’aria c’è la sensazione di un luogo nel quale una volta c’era tanto movimento che ormai non c’è più: le strade e le piazze sono vuote, i negozi chiusi. Avvicinando il viso alle vetrine, ho intravisto molti spazi vuoti e sale dismesse. Ma questo paese, per quelli come me, che credono nell’inclusione come risposta al fenomeno dell’immigrazione in Italia, è diventato un simbolo, una speranza. Questo murales vuole essere fuoco che tiene accesa la scintilla del cambiamento.”

Mimmo Lucano guardando la foto del murales “La letteratura, la musica, l’arte sono espressioni della nostra anima, la bellezza della vita…la prima cosa che mi ha colpito quando ho visto la foto di questo murales è la luce. Mi sono immaginato che dalla piazza di Riace, dalla ringhiera dove tante volte mi sono appoggiato per guardare il mare, adesso gli occhi andranno ad incrociare questo spazio dove c’è l’anima di qualcuno che ha concepito questa cosa. Ho pensato a come emergesse questa figura che racconta la storia della nostra comunità, la figura della Magna Grecia, i bronzi di Riace.

A Riace altri artisti hanno raccontato sui muri la loro idea di accoglienza e hanno ricordato figure importanti che hanno lottato per la pace, per i diritti umani come Peppino Impastato o le Madri di Plaza de Mayo. Credo che sia un’aspirazione di tutti gli esseri umani immaginare un mondo di pace, un mondo senza confini, senza barriere. L’attuale periodo ci mette tanta tristezza perché ci vogliono far passare come ideali esattamente le cose opposte: chiudere i porti, rafforzare i confini, mettere i fili spinati, alzare i muri…e invece io ho un’altra utopia, io vorrei che non esistessero i confini e neanche i passaporti, ma a cosa servono i passaporti?!?

Ogni essere umano deve essere libero nel mondo, perché il mondo ha uno stesso cielo, uno stesso mare, una stessa terra per tutti. Ringrazio di cuore Carlos Atoche per questo murales, il suo dipinto ha donato bellezza e speranza alla nostra Riace”. E chiude con un appello “L’arte può esser uno slancio di utopia! Tutti gli artisti che vogliono venire a Riace a lasciare ognuno un loro piccolo segno sono i benvenuti. Anche Wim Wenders mi ha promesso che tornerà e questa cosa mi riempe d’entusiasmo, sulle ali di una nuova Calabria…!”