Radio Vaticana – Intervista a Cristiana Cella – CISDA
Intervista a Cristiana Cella sul tema “Afghanistan: il nome della donna sulla carta di identità dei figli. Vera vittoria?”.
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Intervista a Cristiana Cella sul tema “Afghanistan: il nome della donna sulla carta di identità dei figli. Vera vittoria?”.
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Intervista a Graziella Mascheroni e Giulia Rodari sulla situazione in Afghanistan e, in particolare, sul progetto Giallo Fiducia.
In tante e in tanti, dall’Italia e dai paesi che aveva nel cuore hanno ricordato Cristina Cattafesta, il suo impegno, il suo sorriso. Ecco i messaggi che siamo riuscite a raccogliere.
Addio a Cristina Cattafesta, attivista per i diritti delle donne
«Oggi, Cristina, ci hai lasciate. Dopo una malattia dolorosa, intensa e rapida, tanto da non consentirci di realizzare cosa stesse accadendo. Né, per tante, di abbracciarti, un’ultima volta». Questa mattina si è spenta a Milano Cristina Cattafesta, 64 anni, femminista e storica attivista per i diritti delle donne.
L’annuncio della scomparsa è stato dato sulla pagina Facebook del Cisda, il Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane, organizzazione di cui Cristina era tra le fondatrici e presidente. «Nel dolore – scrivono le compagne del Cisda – ci siamo rifugiate nelle numerose immagini dei momenti che ciascuna di noi ha condiviso con te, tra decenni di attività politica in Italia, appuntamenti in giro per l’Europa e dozzine di delegazioni nel paese dove tu, per prima tra noi, hai lasciato il cuore. L’Afghanistan. Immagini, sempre, di sorrisi e complicità, rassicuranti e divertenti, nonostante le difficoltà di certi impegni, che ci hanno legate profondamente. Come compagne, come amiche. Ci lasci, in un tempo sospeso, con un’eredità collettiva immensa: ci impegneremo a custodirla, strette intorno alla tua presenza indelebile, alla tua mancanza incolmabile. Abbracciamo forte le sorelle e il compagno Edoardo».
Le donne del Cisda – di cui Cristina Cattafesta era stata il catalizzatore «capace di accogliere e sollecitare il bello, di tessere reti e creare ponti, oltre ogni confine e durata nel tempo» – sono attive nella promozione di progetti di solidarietà a favore delle donne afghane sin dal 1999. Il nucleo iniziale è stato costituito da un gruppo di “Donne in Nero” che ha invitato le donne afghane di due associazioni (Rawa e Hawca) all’Onu dei Popoli di Perugia. Da allora, questo nucleo di donne ha continuato la sua attività, collaborando con altre associazioni. Dal 2014, su sollecitazione degli attivisti afghani, l’attività di sostegno del Cisda si è rivolta anche alla resistenza curda. Proprio durante un’attività di monitoraggio internazionale delle elezioni turche del 2018, Cristina era stata fermata a Batman, nel sud est del paese, imprigionata per quasi due settimane presso il Centro di espulsione di Gaziantep, e poi rilasciata grazie anche all’intervento della Farnesina e delle istituzioni europee. Tornata a Milano, aveva continuato come sempre la sua attività a sostegno delle donne afgane e curde, sempre «dalla parte di chi non ha voce». Gli Stati Generali
Ricordando Cristina a Kabul
Addio a Cristina Cattafesta. Il ricordo di Radio Popolare
È morta a Milano Cristina Cattafesta.
Cristina era un’attivista molto conosciuta per la sua partecipazione ai movimenti contro la guerra e per i diritti delle donne.
È stata tra le fondatrice della casa delle donne maltrattate, e del comitato di sostegno alle donne afghane. Un impegno civile e politico che si traduceva nella solidarietà concreta e nello sviluppo di tanti progetti, insieme ai movimenti di donne che sosteneva in molti paesi.
Nel 2018 era stata arrestata e incarcerata per due settimane in Turchia mentre svolgeva il ruolo di osservatrice internazionale durante le elezioni.
Il 7 luglio 2018 a poche ore dal rientro in Italia, Cristina Cattafesta era nei nostri studi intervistata da Omar Caniello.
Addio Cristina
Cara Cristina,
i ti ricordiamo giovanissima, sempre sorridente e piena di vita, ti ricordiamo nella comune militanza in Democrazia Proletaria e nelle comuni speranze. Poi ti abbiamo ritrovato sempre nelle battaglie per la democrazia, contro il razzismo, il fascismo per costruire legami tra diversi. Alcuni di noi ti hanno incontrato nei Forum Sociali mondiali, in giro per il mondo ovunque, dove si cerca la libertà.
Ni siamo orgogliosi della tua splendida persona, fieri di essere stati parte della tua storia e tu parte della nostra.
Ti accompagniamo in questo tuo ultimo viaggio con il pugno chiuso, in alto e con il cuore gonfio di affetto.
Un tempo avremmo abbassato comuni bandiere per salutarti cara Cristina come si salutava una grande compagna e una grande donna. Non si usa più, ma forse c’è lo stesso ideale che ci ha uniti a te tutta la vita e che anche in tuo nome porteremo avanti.
Oggi siamo vicini al dolore di Edoardo e delle tue sorelle a cui va tutto il nostro cordoglio.
Addio Cristina
Basilio Risso
Emilio e Tina Molinari
Franco Calamida
Guglielmo Spettante
Leo Fiorentino
Luigi Vinci
Silvana Barbieri
Vittorio Agnoletto
Vittorio Bellavite
Care amiche e compagne del Cisda vi scriviamo per ricordare con voi Cristina: il suo sorriso, la sua determinazione nel sostegno alle donne afghane e curde, nella lotta per i loro diritti .
Le azioni che ci sembravano inarrivabili per lei erano ovvie , da tentare, possibili !L’abbiamo stimata e apprezzata negli incontri pubblici con l’associazione Dadonnaadonna e negli incontri da amica con alcune di noi. Le vogliamo bene e non la dimenticheremo. La ricordiamo come la donna coraggiosa che è stata. La sentiremo vicina nell’impegno per e con le donne del mondo. Da noi a voi tutte un abbraccio da sorelle
Associazione Dadonnaadonna Sesto San Giovanni
Con grande tristezza nel cuore abbiamo appreso che la nostra amica e compagna ci ha lasciate.
Il nostro incontro con il CISDA e con Cristina è avvenuto quasi per caso, pochi anni fa, ed è stata una gioia per noi ritrovare delle sorelle che condividevano lo stesso obiettivo di riscatto per le donne afghane. Il nostro percorso in Italia, quello del CISDA in Afghanistan, ma tante le cose in comune…
La determinazione che ha contraddistinto Cristina in tutto il suo percorso di vita è stata per noi da subito fonte di ispirazione, la stessa che ci ha lasciato, la stessa che custodiremo.
Non esiste una separazione definitiva finché le idee continuano a muovere piccoli e grandi cambiamenti.
Grazie Cristina per il dono che ci lasci!
Un abbraccio a tutte le amiche del CISDA.
Binario 15
La Casa delle Donne di Milano saluta con un grande abbraccio Cristina Cattafesta che ci ha lasciate il 7 agosto, in una calda giornata estiva piena di sole. Cristina, presidente e fondatrice del CISDA, Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane, ha dedicato la sua vita alla lotta per e con le donne, all’impegno sociale e politico, all’attivismo internazionale, spingendosi in quei territori lontani e sconosciuti e sostenendo insieme alle sue compagne donne coraggiose e combattive in Afghanistan, nel Kurdistan e altrove.
Animata da una passione che non l’ha mai abbandonata, nemmeno alla fine, insieme alla sua immancabile ironia e al suo avvolgente sorriso, ha saputo infondere coraggio e senso di giustizia a chiunque l’abbia incontrata. Cristina resta e resterà sempre un grande esempio per noi, per continuare insieme a lei la lotta per un mondo più giusto e più umano.
Ciao Cristina: “Chi ha compagne/i non muore mai”
da Rifondazione Nazionale a firma del segretario e di Galieni
Abbiamo appreso stamattina della scomparsa di Cristina Cattafesta, una compagna che molte/i di noi hanno avuto il privilegio di conoscere e apprezzare, per la lucidità politica come per l’immensa passione che era capace di trasmettere e praticare. Fondatrice del Cisda (Comitato Italiano di Sostegno alle Donne Afghane) ci aveva permesso di conoscere un paese in cui sono tante le donne che, malgrado tutto, sono capaci di combattere contro la violenza, l’integralismo e il patriarcato dominanti. Ci ha permesso di conoscere e di imparare da quelle donne come si combatte un potere in cui l’oppressione è di classe e di genere. L’abbiamo ritrovata poi fra le compagne curde, fermata trattenuta e alla fine espulsa dagli sgherri di Erdogan. Una compagna capace di coinvolgere e di mettere attraverso anche queste esperienze, in discussione anche le nostre forme di paternalismo maschile che inquinano troppo spesso la possibilità di produrre cambiamenti. Con noi si era candidata anche alle ultime elezioni europee, col solito spirito di servizio che l’ha sempre contraddistinta, sempre pronta ad aiutarci.
Rifondazione Comunista le è grata per tutto quello che ci ha insegnato e lasciato; ci uniamo al dolore dei suoi familiari e delle compagne del Cisda a cui rinnoviamo la nostra totale vicinanza in questo momento, per le tante lotte future e comuni che ci aspettano.
Maurizio Acerbo, Segretario nazionale PRC-S.E.
Stefano Galieni, responsabile immigrazione PRC-S.E.
Ciao Cristina…
Il saluto a Cristina del Movimento delle donne curde in Europa (TJK-E)
Le organizzazioni delle donne curde in Europa si uniscono alle tante e varie associazioni di donne e per i diritti nel salutare con tristezza la perdita della comnpagna italiana Cristina Cattafesta, pacifista, femminista, morta dopo una breve malattia ieri mattina a Milano. Era stata tra le fondatrici della Casa delle Donne Maltrattate di Milano e del Cisda (Coordinamento Italiano a sostegno delle donne afghane).
Nel 2018 era stata trattenuta per una settimana e poi espulsa mentre si trovava in Turchia in qualità di osservatrice internazionale su richiesta del partito HDP durante le elezioni.
Il gran numero di comunicati e ricordi diffusi in queste ore per Cristina testimoniano del suo impegno molteplice e di lunga data a fianco degli oppressi e soprattutto delle donne; come organizzazioni di donne curde in Europa abbiamo perso una sorella, una compagna, un’amica sempre pronta a mettersi in gioco per stare al nostro fianco, sempre pronta a costruire ponti e superare confini.
Cara Cristina, continueremo la nostra lotta per tutte le donne, portandoti con noi nel nostro cuore. Alla tua famiglia offriamo le nostre più sentite condoglianze.
Oggi ci ha lasciato una grande donna, Cristina Cattafesta
Era il 2013 quando abbiamo conosciuto, grazie a Cristina, l’esperienza di scambio e supporto che lei e altre compagne stavano portando avanti con le donne afghane. Era l’8 marzo e al Lambretta, insieme al collettivo Ambrosia, avevamo deciso di organizzare una giornata che non parlasse di festa, ma di lotta.
Cristina quel giorno ci aprì un mondo, quello dell’autodeterminazione della donna anche sotto il peggior patriarcato locale e internazionale imposto con la guerra e con il dominio delle varie fazioni locali. Da allora Cristina e le compagne del Cisda hanno arricchito tutte le iniziative che abbiamo portato avanti sulla lotta delle donne, dalla sfera locale a quella internazionale.
Nel giugno del 2019, in occasione del primo festival di scambio culturale del GazaFREEstyle a Milano, Cristina ha portato la voce e la forza delle donne afghane durante il dibattito internazionalista che ha visto la partecipazione di altre grandi donne. Grazie a lei e al Cisda, ancora una volta le giovani generazioni hanno potuto conoscere la lotta portata avanti da Selay Ghaffar, Malalai Joya ed altre donne afghane.
La perdita di Cristina è un dolore per tutt_ noi. Sappiamo però che non sta lasciando un vuoto, perché tutto quello che ha seminato continuerà a crescere e avremo premura di raccoglierlo, e continuare a coltivarlo.
Care amiche del CISDA,
Anche se questa volta non possiamo essere con voi a ricordare Cristina, vogliamo dirvi che la pensiamo e vi siamo vicine a festeggiare la sua vita importante e di modello per tutte e tutti noi.
Cospe ha incontrato Cristina (oltre dieci anni fa) come presidente di CISDA nella rete di sostegno in Italia alle donne afghane tramite le comuni amiche, Cristiana Cella e Debora Picchi, attive in azioni di denuncia e solidarietà’ nel territorio fiorentino.
È stato un incontro che ha segnato l’avvio di una collaborazione sempre più importante, fatta di scambi, analisi, riflessioni, cene, risate, preoccupazioni, rabbia, viaggi, incontri che hanno portato a co-progettazione e tante azioni comuni. Questo incontro ha permesso a Cospe di conoscere la realtà afghana con lenti attente, critiche e profonde, ci ha introdotto nella relazione con le principali organizzazioni di donne e forze democratiche del paese, ci ha fatto crescere come organizzazione nel nostro impegno politico in Italia e nella nostra azione di cooperazione in Afghanistan. Sono tante le persone di Cospe che hanno incrociato negli anni il cammino con Cristina: Federica, Fabio, Silvia, Andrea, Dede, Anna, Pamela, Debora e a a tutte e tutti Cristina ha avuto qualcosa da insegnare, da scambiare, da proporre. E’ con Cristina che le referenti di COSPE hanno fatto la prima, e molte altre, missioni a Kabul, è con lei che sono state organizzate le visite di Selay Ghaffar e Malalai Joya in Italia, è con Cristina che è stata pensata e ripensata la rete di solidarietà con il movimento afghano e quello kurdo, in un laboratorio continuo di pensiero ed azione.
Anche se da qualche anno la nostra azione in Afghanistan aveva subito un rallentamento, la notizia della sua scomparsa ha avuto un’eco profonda nella nostra organizzazione, con colleghi e colleghe oggi in Eswatini, Iraq o Italia che hanno mandato messaggi di cordoglio, affetto e vicinanza alla sua famiglia e al CISDA.
Porteremo sempre con noi l’immagine di forza, coraggio, passione che Cristina ci ha lasciato e continueremo a stare vicine e sostenere le battaglie per una società più democratica, femminista e giusta.
Federica Masi, Silvia Ricchieri, Anna Meli, Pamela Cioni, Fabio Laurenzi, Andrea Natali, Debora Angeli e il Consiglio Direttivo del Cospe
COSPE Onlus
Cristina Cattafesta, il sorriso della lotta solidale
Il ricordo di Enrico Campofreda
È andata via in punta di piedi, non dicendo nulla del dolore personale. Cristina Cattafesta sapeva fare suo l’altrui dolore, occupandosi dei problemi piccoli e grandi degli oppressi che aveva incrociato in alcuni angoli del mondo, ma era una donna riservata, non amava apparire.
Una donna speciale, come ce ne sono molte, però lei al femminismo, alla militanza, all’attivismo internazionale riusciva ad aggiungere realismo e umanità, ironia e disincanto, coraggio e serietà in un impegno lontano dai riflettori. Anche per le tante notizie che forniva, sgradevoli al mainstream.
È stata fondatrice e animatrice del Cisda, Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane, una ong piccola e tosta financheggiatrice di quelle donne che quotidianamente rischiano la vita, si tratti delle note Malalai Joya, Selay Ghaffar, Samia Walid e delle migliaia di attiviste Rawa sconosciute per ragioni d’incolumità, ma determinatissime nei sentimenti politici e amorevoli per il proprio genere in una terra martoriata. Alle compagne con cui ha lavorato per anni su progetti magnifici – finanziamenti per orfanotrofi, scuole d’istruzione primaria e professionale, case rifugio per donne abusate, minuti ma utilissimi ospedali, allevamenti di capre e coltivazioni di zafferano in terra d’oppio – Cristina infondeva stimoli e consigli con quell’argenteo afflato che lo stesso attivismo sembra aver smarrito. Usando un metodo indispensabile perché quei sogni diventassero realtà: creare un lavoro collettivo.
Fuori da gerarchie e ruoli da primattrici che scavano solchi egoistici anziché riunire le forze per raggiungere uno scopo. Cristina aveva il dono dell’ascolto e lo divulgava alle colleghe che la circondavano e a quanti, oltre il genere, si ritrovavano a collaborare con un’associazione tutta femminista. Così il Cisda è cresciuto felicemente e proficuamente, ha realizzato cose concrete nell’ostico territorio dell’Hindu Kush, ha creato legami lunghi migliaia di chilometri, ha portato nelle città dove le attiviste italiane lavorano le testimonianze e la presenza delle compagne afghane. Negli ultimi anni il cuore del Cisda si è aperto anche alla questione kurda con delegazioni in loco finché sono state praticabili di fronte alla crescente repressione turca. Due anni or sono, durante una di queste, Cristina aveva provato sulla pelle la galera del regime di Ankara, fermata e poi arrestata mentre svolgeva la funzione di osservatrice in un seggio elettorale. Momenti concitati e difficoltosi, fortunatamente superati con l’intervento della diplomazia nazionale, momenti da cui lei aveva trovato ulteriore impulso e rinnovato impegno interno e internazionale. In questo struggente giorno di lutto, il pregevole lascito del suo percorso d’una vita piena e altruista è illuminato da una ferrea forza d’animo racchiusa nel suo solare sorriso.
Un sorriso impossibile da dimenticare.
Cristina Cattafesta, una donna dalla parte degli ultimi
Stampacritica, 16 Agosto 2020 – Stefania Lastoria – Numero 15/2020
Cristina Cattafesta ci ha lasciato, se n’è andata il 7 agosto, a soli 64 anni, determinata nelle sue scelte fino all’ultimo. Ha lasciato un grande vuoto, ovunque sia passata, perché non c’era situazione disperata di cui lei non si facesse carico.
La ricordiamo attraverso le parole di chi l’ha conosciuta.
Cristina era una donna forte, sempre dalla parte degli ultimi. Ha fatto molto, soprattutto per le donne afghane, fin dai tempi dei taleban quando nel 1999 ha fondato il Coordinamento italiano di solidarietà con le donne afghane (Cisda).
Cristina lascia, insieme ai ricordi di chi ha vissuto con lei esperienze indimenticabili, una grande eredità: l’amicizia con tante donne, di diversi paesi, che ha fatto conoscere al mondo della solidarietà italiana, costruendo legami che dovremo mantenere e coltivare.
Lei con la sua solarità non aveva difficoltà a stabilire rapporti. Non solo per le donne afghane, Cristina si metteva in gioco con tutti i suoi contatti per le donne algerine o curde senza risparmio, con estrema generosità. C’era sempre, potevi contare su di lei per qualsiasi causa anche disperata, come succede spesso a chi si schiera con gli ultimi, e c’era con il suo sorriso, il suo ottimismo. Che a volte non bastano, come due anni fa quando è stata fermata dalle autorità turche mentre stava monitorando le elezioni. Anche dietro le sbarre però era riuscita a fare tesoro della sua esperienza, mentre la solidarietà suscitata era la testimonianza del riconoscimento per il suo impegno. Ma non dobbiamo solo pensare al vuoto che ci lascia quanto al suo sorriso e alla sua determinazione che richiedono un impegno per non abbandonare i progetti che ci ha lasciato. I suoi obiettivi devono andare avanti attraverso le tante persone che ha conosciuto e aiutato. È anche questo un modo per continuare a farla vivere.
Le sue amiche del Cisda la ricordano così:
“Cristina, ci hai lasciate. Dopo una malattia dolorosa, intensa e rapida, tanto da non consentirci di realizzare cosa stesse accadendo. Né, per tante, di abbracciarti, un’ultima volta. E, nel dolore, ci siamo rifugiate nelle numerose immagini dei momenti che ciascuna di noi ha condiviso con te, tra decenni di attività politica in Italia, appuntamenti in giro per l’Europa e dozzine di delegazioni nel paese dove tu, per prima tra noi, hai lasciato il cuore. L’Afghanistan. Immagini, sempre, di sorrisi e complicità, rassicuranti e divertenti, nonostante le difficoltà di certi impegni, che ci hanno legate profondamente. Come compagne, come amiche. Siamo unite dall’importanza che ha la storia di ogni persona: sei stata capace di accogliere e sollecitare il bello, di tessere reti e creare ponti, oltre ogni confine e durata nel tempo. Hai raccolto sogni adolescenti e li hai trasformati in realtà, con spontaneità e vicinanza, schiettezza e sensibilità. In tante abbiamo affidato a te le nostre difficoltà se non, talvolta, un pezzo di vita, e tu le hai fatte tue, mostrando una cura e un’umanità che raramente si incontrano. Ci lasci, in un tempo sospeso, con un’eredità collettiva immensa: ci impegneremo a custodirla, strette intorno alla tua presenza indelebile, alla tua mancanza incolmabile”.
Un ricordo bellissimo per questa donna speciale che ha vissuto la propria vita intensamente, con rara generosità, coraggio e determinazione, fino alla fine.
Tentare di raccogliere il suo testimone sarà il più bello dei regali che si possa fare a Cristina e al mondo intero.
Diritti delle donne, è morta Cristina Cattafesta fondatrice del Cisda.
Corriere della sera – 7 agosto 2020, di Marta Serafini
Si è spenta a 64 anni, l’attivista milanese, nota per il suo impegno a sostegno delle donne afghane e curde. L’addio delle compagne «Sei stata capace di creare ponti, oltre ogni confine»
«Sei stata capace di accogliere e sollecitare il bello, di tessere reti e creare ponti, oltre ogni confine e durata nel tempo. Hai raccolto sogni adolescenti e li hai trasformati in realtà, con spontaneità e vicinanza, schiettezza e sensibilità. In tante abbiamo affidato a te le nostre difficoltà se non, talvolta, un pezzo di vita, e tu le hai fatte tue, mostrando una cura e un’umanità che raramente si incontrano».
È mancata oggi a Milano Cristina Cattafesta, 64 anni. Pacifista, femminista e attivista è stata tra le fondatrici della Casa delle Donne Maltrattate di Milano e, nel 2004, del Cisda (Coordinamento Italiano a sostegno delle donne afghane). Impegnata da sempre per la parità di genere, ha fatto conoscere in Italia la battaglia di attiviste afghane come Malalai Joya e Selay Ghaffar e ha dato sostegno e voce alle realtà più martoriate dell’Afghanistan e del Kurdistan, anche quando l’attenzione mediatica su queste regioni è calata.
Cattafesta era stata arrestata dalle autorità turche nel luglio 2018 mentre si trovava in missione per monitorare le elezioni nella regione del Kurdistan turco. Rilasciata dopo 15 giorni, aveva spiegato di essere stata trattenuta in un «palazzo di lacrime», insieme ad altre donne di cui aveva raccolto le testimonianze, pur essendo lei stessa prigioniera.
Sulla pagina Facebook del Cisda le sue compagne hanno scritto: «Oggi Cristina ci ha lasciate. Dopo una malattia dolorosa, intensa e rapida, tanto da non consentirci di realizzare cosa stesse accadendo. Né, per tante, di abbracciarti, un’ultima volta. E, nel dolore, ci siamo rifugiate nelle numerose immagini dei momenti che ciascuna di noi ha condiviso con te, tra decenni di attività politica in Italia, appuntamenti in giro per l’Europa e dozzine di delegazioni nel paese dove tu, per prima tra noi, hai lasciato il cuore. L’Afghanistan. Immagini, sempre, di sorrisi e complicità, rassicuranti e divertenti, nonostante le difficoltà di certi impegni, che ci hanno legate profondamente. Come compagne, come amiche. Siamo unite dall’importanza che ha la storia di ogni persona. Ci lasci, in un tempo sospeso, con un’eredità collettiva immensa: ci impegneremo a custodirla, strette intorno alla tua presenza indelebile, alla tua mancanza incolmabile. Abbracciamo forte le sorelle e il compagno Edoardo».
È morta Cristina Cattafesta, combattente per i diritti delle donne oppresse
AGI – Sono passati due anni da quando l’attivista italiana per i diritti delle donne oppresse, Cristina Cattafesta, fu arrestata in Turchia, mentre faceva parte di una delegazione internazionale che vigilava sullo svolgimento delle elezioni politiche.
Nonostante i lunghi periodi passati in Afghanistan e altri Paesi di cui denunciava le disuguaglianze e le difficili condizioni in cui vivono le donne, l’esperienza turca, un paio di settimane in carcere, l’aveva particolarmente impressionata. Al rientro a Milano, aveva scritto all’AGI, combattiva come sempre: “Ora, da libera, sto benissimo. Ma sono incazzata per come vengono trattate le persone in quel maledetto Centro di Detenzione ed Espulsione di Gaziantep”.
Aveva chiesto di aspettare un po’ di tempo, prima di essere intervistata sulla sua esperienza. Le serviva, aveva detto sorridendo, perché “mille o forse più persone meritano un ringraziamento personale”, per la solidarietà e il supporto che avevano portato alla sua liberazione. Conoscendola, sicuramente è riuscita a ringraziare tutti, ma ora, due anni dopo, a 64 anni, la fondatrice del Cisda è stata portata via in poco tempo e per sempre da una malattia fulminante, lasciando fra le altre preziose eredità collettive il ricordo del suo bellissimo sorriso e di una voce resa roca dalle troppe sigarette.
Cristina Cattafesta era una paladina delle battaglie delle donne in tutto il mondo, ma soprattutto nei paesi in cui la religione le ha negli ultimi decenni riportate a una subordinazione dagli uomini che si dava per scontato fosse in via di superamento. Per l’Afghanistan aveva una particolare predilezione: nel 1999, in piena era talebana, aveva fondato il Cisda, il Coordinamento italiano per il sostegno alle donne afghane, obbligate dai detentori del potere a indossare quel burka che non lascia scoperti nemmeno gli occhi ed è diventato il simbolo della sottomissione. Cinque anni dopo, l’associazione ha sposato anche la causa della resistenza curda. Ma l’attivista era impegnata anche nei paesi arabi e del Maghreb, oltre che in Turchia, nelle cui galere ha trascorso le due settimane più angoscianti, fra giugno e luglio 2018.
Ovunque aveva creato reti di donne che sosteneva da lontano e anche in loco, e in tutti questi paesi era considerata un punto di riferimento e di speranza per il futuro, ma anche un’amica sulla quale contare per un consiglio, un appoggio e una chiacchierata. Era simpatica e divertente e tendeva a sdrammatizzare anche le situazioni più difficili. Una volta rispose così a chi le chiedeva quale fosse stato il momento più difficile della sua vita politica: “Quando Said, portavoce del Partito Afghano della Solidarietà – Hezb-e-Hambastagi – in manifestazione con noi a Milano sui diritti delle donne, mi ha chiesto di tradurgli un cartello che recitava ‘io la patata la uso solo per cucinare’”. Un’altra volta raccontò dall’Afghanistan di aver assistito allo scambio fra una giornalista americana e una donna che camminava 5 passi dietro al marito. “Perché sembra contenta?” le aveva chiesto la giornalista. “Perché ci troviamo su un campo minato!”, aveva risposto la signora afghana, sorridendo con gli occhi che si intravvedevano dietro la retina del burka. La morale della storia, aveva concluso, è che “dietro a ogni uomo c’è una donna brillante”.
La sua scomparsa improvvisa è stata celebrata dalle donne del Cisda con un commosso saluto sulla homepage del sito dell’Ong, che conclude così: “Ci lasci, in un tempo sospeso, con un’eredità collettiva immensa: ci impegneremo a custodirla, strette intorno alla tua presenza indelebile, alla tua mancanza incolmabile. Abbracciamo forte le sorelle e il compagno Edoardo”. AGI Agenzia Italia
Cari compagni,
Non è possibile credere che non abbiamo più con noi la nostra cara e amata Cris. (Anche, durante la digitazione di questa email, abbiamo aggiunto l’email Cris in CC, ma abbiamo notato che questa email è un messaggio di cordoglio per averla persa.)
Esprimiamo le nostre condoglianze e il nostro dolore per la perdita della nostra Cristina a Edoardo, alle sue sorelle e alla madre, ai membri della CISDA, a noi stessi e a tutti i rivoluzionari in Italia, Kurdistan e Afghanistan.
Cristina Cattafesta è stata la partigiana italiana dei nostri ultimi tempi. Ha lasciato la sua accogliente vita europea per lavorare per le persone devastate e in particolare le donne dell’Afghanistan e del Kurdistan. Ha anche corso il rischio di mettere la sua vita in pericolo per viaggiare nei paesi più pericolosi della terra, come l’Afghanistan, il Kurdistan e il Pakistan. Lei (e altri membri della CISDA) hanno dedicato la loro vita, tempo, ricchezza e così via a lottare per noi. Ha combattuto per un mondo senza guerre, uccisioni, proiettili … dove l’umanità può lavorare per superare i disastri naturali piuttosto che produrre armi per uccidere le persone più povere della terra. Stava lottando per un mondo in cui l’umanità potesse produrre nuovi vaccini e medicinali invece di nuove armi.
La vita di Cristina è piena di esempi che possiamo imparare e farne modello di vita e causa. Stava affrontando i problemi sul suo cammino con cuore aperto e spirito elevato, e non si è mai inginocchiata davanti a loro. Dopo essere stata rilasciata dalla prigione, stava scherzando sugli episodi del suo periodo di prigionia, come se stesse parlando di un viaggio gioioso. E aveva ragione, per i rivoluzionari, la prigione e la tortura è un’altra parte del loro viaggio rivoluzionario per dire al nemico che nulla può spezzare la loro volontà. Secondo Daud Sarmad, rivoluzionario afghano ucciso in prigione dal regime fantoccio russo, “Sono un’aquila ferita, puoi uccidermi. Ma non puoi mai domarmi”.
Questo è stato il secondo caso di cancro di Cristina, ma entrambe le volte si è schierata con forza contro di loro. Nel suo ultimo messaggio dal letto d’ospedale, ha scritto a uno dei membri di Hambastagi: “L’umore è molto variabile, ma non sono demoralizzata o depressa per ora! Edoardo è molto bravo e si prende cura di me, le mie preziose sorelle, che mi hanno seguito nei primi giorni dopo la chemio e mi hanno aiutato molto. Miei cari, vi amo moltissimo, e ogni parola che leggo da voi è meglio di qualsiasi terapia! Se non rispondo, è solo perché sono molto stanca, ma vi leggo sempre, non dimentico mai il forte legame che ci unisce, vi penso continuamente”. Cercheremo di convertire i nostri dolori nella forza per portare avanti la causa di Cristina, la causa dell’umanità e del mondo giusto.
Rest in power, Cris!
Hambastagi
Dear Comrades,
It is not possible to believe that we don’t have our dear and beloved Cris with us anymore. (Even, while typing this email, we added Cris email in CC, but we noticed that this email is a condolence message for losing her.)
We express our condolences and sorrows for the lose of our Cris to Edoardo, her sisters and mother, CISDA members, ourself, and all revolutionaries in Italy, Kurdistan and Afghanistan.
Cristina Cattafesta was the Italian partisan of our recent times. She left her cosy life of Europe to work for the devastated people and especially women of Afghanistan and Kurdistan. She even took the risk of putting her life in danger to travel to the most dangerous countries on earth, such as Afghanistan, Kurdistan and Pakistan. She (and other members of CISDA) dedicated their life, time, wealth and etc to struggle for us. She fought for a world without war, killing, bullets… where humanity can work to overcome the natural disasters rather than producing weapons to kill the most poor people on earth. She was struggling for a world where humanity can produce new vaccines and medicines instead of new weapons.
Cristina’s life is full of examples that we can learn and make the role model of our life and cause. She was embracing problems on her path with an open heart and high spirit, and never knelt while facing them. After she was released from the prison, she was joking about the incidents of her imprisonment time, as if she was talking about a joyful trip. And, she was right, for revolutionaries, prison and torture is another part of their revolutionary trip to tell the enemy that nothing can break their will. According Daud Sarmad, Afghan revolutionary killed by Russia’s puppet regime in the prison, “I am a wounded eagle, you can kill me. But you can never tame me.”
This was Cristina’s second cancer case, but both times, she stood strongly against them. In her last message from the hospital bed, she wrote to one of Hambastagi members, “Mood is very variable, but I’m not demoralized or depressed for now! Edoardo is very good taking care of me, and then my precious sisters, who move here with me in the first days after chemo, help me a lot. My dearest ones, I love you very much, and every word I read from you is better than a restorative therapy! If I don’t answer, it is only because I am very tired, BUT I ALWAYS READ YOU, I never forget the strong bond that unites us, I think of you continuously.”
We will try to convert our sorrows to our power to take Cristina’s cause forward -the cause for humanity and just world.
Rest in power, Cris!
Hambastagi
Care compagne,
da tanto tempo non partecipo alla vita del CISDA a causa di quelle correnti che nella vita ti portano da un fiume all’altro, anche se l’acqua è sempre la stessa e le relazioni e gli affetti restano, sempre. Sento il bisogno di parlare con voi perché la perdita di Cristina è una ferita che colpisce tutte noi e in questa ferita ci riconosciamo legate, con tutte le nostre diversità.
Parlare non significa solo fare domande e ricevere risposte o proposte. In questo caso, parlare è per me ribadire che qualcosa sempre resiste, resta. Credo che Cristina sia stata per tutte noi un pezzo della nostra vita importante. Questo pezzo non muore.
Sono convinta che questa strada, che abbiamo percorso e percorriamo, sia una di quelle che costruisce: non è uno stagno fermo e non è una carrarmato che distrugge.
Io sono immensamente grata a Cristina, come a molte di voi, per avermi aiutata a capire da che parte stare, in questa vita strana.
Tutto questo non scompare, non passa, non è e non sarà mai irrilevante.
Con questa certezza vi abbraccio
Anna
Cristina Cattafesta è stata la partigiana italiana dei nostri tempi recenti. Ha lasciato la sua accogliente vita europea per lavorare per le persone devastate e in particolare le donne dell’Afghanistan e del Kurdistan. Ha persino corso il rischio di mettere la sua vita in pericolo per viaggiare nei paesi più pericolosi della terra, come l’Afghanistan, il Kurdistan e il Pakistan. Lei (e altri membri della CISDA) hanno dedicato la loro vita, tempo, ricchezza etc a lottare per noi.
Ha combattuto per un mondo senza guerre, uccisioni, proiettili… dove l’umanità può lavorare per superare i disastri naturali piuttosto che produrre armi per uccidere le persone più povere della terra. Stava lottando per un mondo in cui l’umanità potesse produrre nuovi vaccini e medicinali invece di nuove armi.
La vita di Cristina è piena di esempi che possiamo imparare e farne modello di vita e causa. Stava affrontando i problemi sul suo cammino con cuore aperto e buon umore, e non si è mai inginocchiata davanti a loro.
Dopo essere stata rilasciata dalla prigione, stava scherzando sugli episodi del suo periodo di prigionia, come se stesse parlando di un viaggio gioioso. E aveva ragione, per i rivoluzionari, la prigione e la tortura è un’altra parte del loro viaggio rivoluzionario per dire al nemico che nulla può spezzare la loro volontà.
Secondo Daud Sarmad, rivoluzionario afghano ucciso in prigione dal regime fantoccio russo, “Sono un’aquila ferita, puoi uccidermi. Ma non puoi mai domarmi”.
Cristina è stata una donna trasparente e sincera in ogni ricordo dei momenti che ho avuto il piacere e il privilegio di condividere con lei. Quattro anni fa, la prima volta che ho sentito la sua voce, ho avvertito immediatamente la freschezza e la gioia che coloravano le sue parole. Sapeva accogliere i singoli, le genti intere, con grande coraggio e vastità di sentimento. E si affezionava a tutti, amava tutti, perché amava l’essere umano e ardeva di una speranza pura, incrollabile, capace di essere guida per se stessa e ispirazione per chiunque le ruotasse attorno.
Ma sapeva, soprattutto, essere tenace nei momenti difficili, caparbia nel difendere i propri ideali e quelli altrui in cui si riconosceva. Camminava sempre con i piedi per terra, ma i suoi sogni le illuminavano gli occhi e sognando ha provato a realizzarli.
Le donne e le amiche di cui si circondava, tutto il suo amato Cisda, sono state le colonne di ogni sua battaglia. Nei suoi discorsi, quando raccontava i viaggi, le lotte, le delusioni, non era mai unica e sola, ma sempre un tutt’uno con il gruppo, con il cuore degli altri, per amore e rara umiltà d’animo.
Resterà sempre un esempio e un faro che ancora non smette di indicare la strada migliore, perché ha lasciato, in ognuna di voi, in me, nei suoi affetti più cari e nel suo amore, l’ispirazione di una grande donna, forte e dolcissima, impossibile da dimenticare.
Il mio pensiero corre ad ognuna di voi, a Edoardo, a suoi cari.
Vostra, Eleonora
Ciao Laura, ciao Beatrice.
Ho appreso con sgomento della morte di Cristina e faticavo a crederlo, non sapevo fosse malata. Negli ultimi mesi la paura del covid mi ha tenuto lontano da Milano e dai treni che portano a Milano (ho due genitori anziani da proteggere) e mi addolora non essere stata vicino a Cristina e pensare di non avere più occasioni per farlo.
Cristina è stata un’amica e compagna preziosa quando abbiamo costituito a Milano il Comitato di sostegno al popolo siriano, ci ha dato fiducia e ci ha dato uno dei primi contributi a fondo perduto che hanno permesso nel dicembre 2012 la nostra prima missione di solidarietà, in quella Afrin che allora non potevamo immaginare sarebbe caduta in mano turca e di quelle fazioni dell’Esercito Siriano Libero che purtroppo libere non erano più ma al servizio degli interessi turchi. Ci ha messo in contatto con logisti che avevano lavorato in passato con Emergency e con altri collaboratori /consulenti di Emergency per aiutarci a organizzare i successivi viaggi ad Afrin. Non è mai mancata ai nostri presidi di solidarietà con le città siriane liberate e assediate dal regime.
Queste cose le ricordo perché chi in questi anni ha lavorato per la solidarietà con il popolo siriano ha scontato una grandissima solitudine. Cristina non ci ha mai lasciato soli, pur lavorando su altro. Ha sempre visto le lotte di liberazione non in chiave di collocazione geopolitica, che è la visione predominante in questo inizio di millennio nell’arcipelago pacifista o nella sinistra diffusa, ha sempre saputo cogliere la bellezza e la dignità dei percorsi di liberazione nella complessità dei loro intrecci e nella loro irriducibilità agli scenari geopolitici che sono gli unici oramai a occupare le piazze mediatiche e gli orizzonti mentali delle persone, degli attivisti. Raccontava nella tarda estate/inizio autunno 2013 come fosse andata a un presidio contro l’intervento militare occidentale in Siria – che poi non ci fu – dopo l’attacco chimico alla Ghouta liberata e se ne era andata infuriata dopo aver invano contestato agli organizzatori l’ostentazione dei ritratti di Bashar Al Assad, il dittatore genocida. Era proprio bello sentirsi – in questa solitudine – confortati dal suo calore, dalla sua passione, dalla sua vicinanza e anche dalla sua ampiezza di vedute, senza le quali sicuramente non sarebbe riuscita a entrare in rapporto e lavorare con donne di culture diverse.
Ricordo anche l’insofferenza – del tutto condivisibile – nei confronti di chi, da una prospettiva nonviolenta, esprimeva con alterigia giudizi un po’ liquidatori nei confronti delle combattenti curde che difendevano Kobane e si era scontrata diverse volte con queste persone. E a ragione, perché la nonviolenza è utile, è una risorsa imprescindibile, nella misura in cui chi la pratica raccoglie la sfida del misurarsi fino in fondo, a costo dell’assumere su di sé le contraddizioni più laceranti, con la vita e i sogni di liberazione delle persone in carne ed ossa. Se rimane pura, eterea teoria che non si sporca mai le mani con il dolore, la paura, la rabbia degli esseri umani reali non ci aiuta a fuoriuscire dalla violenza della storia, della guerra, dei rapporti di potere.
Ad una delle ultime manifestazioni in cui ci eravamo viste, credo in solidarietà con il popolo curdo, avevamo parlato dell’urgenza di un lavoro di diplomazia popolare che riavvicinasse la componente curdo siriana e la componente arabo siriana perché anche in Siria nessuno si salva da solo e perché il riprendere a parlarsi poteva aiutare a liberarsi dalla subalternità alle potenze regionali e internazionali. Ma ci siamo sentite molto piccole, impotenti e inadeguate di fronte all’impegnatività di questo percorso, soprattutto di fronte a soggetti pacifisti molto deboli numericamente e politicamente.
Però penso che questa sfida dovremo coglierla, anche nel nome di Cristina, che aveva investito tutte le sue energie e la sua passione nella costruzione di relazioni tra le donne in funzione di progetti di liberazione condivisi, e se riusciremo a creare uno spazio di dialogo tra donne curdo siriane e donne arabo siriane lo dedicheremo a lei.
Mi mancherà infinitamente e mi addolora non poterla riabbracciare.
Un abbraccio forte a voi, a chi le ha voluto bene, ai suoi familiari.
Ciao Olivia
Dearest Carla, Laura, Graziella and Cristiana,
I am deeply saddened for the loss of our great and powerful person. I want you to know that we all thinking of you and everyone are going through this difficult time. Please accept my condolence.
I had known Cristina for many years since my youngest age as valued friend and supporter. I am sure the AFCECO family knows Cristina much as I did. She was a wonderful person, and what became her passion a committed supporter, first for supporting Afghan women and then being so kind and supportive to our children. What many people may not have known is that Cristina was a builder of hope for every one of us. Cristina is in my heart and I can’t forget her. I still can’t believe she left us too soon. My heart is broken for the loss of our Beloved Cristina
I did not want to write to you before because I thought you might not be in a good situation.
I love you all and send you lots of kisses and hugs.
Pashtana
In memoria di Cristina Cattafesta, una partigiana italiana!
RAWA, insieme alle compagne italiane, promettono di continuare a sostenere le cause per le quali s’impegnava.
La mattina del 7 agosto 2020 siamo rimaste sconvolte dalla notizia della morte di Cristina Cattafesta, amata amica e sorella di RAWA. Porgiamo le nostre condoglianze a Edoardo Bai, il suo compagno, a sua madre, alle sue sorelle e alle compagne del CISDA per la terribile perdita di questa donna magnifica.
Cristina era un’attivista italiana che sosteneva le nostre posizioni e battaglie sin dal suo primo incontro con delle attiviste di RAWA a un evento in occasione dell’8 marzo 2000; da allora non ha mai smesso di sostenere RAWA e altre forze rivoluzionarie e democratiche in Afghanistan. È stata diverse volte in Afghanistan e Pakistan durante il periodo medievale dei talebani, e ha poi iniziato a organizzare ogni anno delegazioni in Afghanistan per sensibilizzare le organizzazioni, i media e gli intellettuali italiani sul lavoro e la lotta delle forze rivoluzionarie afghane.
Durante l’oscuro dominio dei talebani, Cristina e altre donne progressiste italiane fondarono il “Coordinamento in sostegno delle donne afghane” (CISDA), di cui è rimasta presidente fino alla fine dei suoi giorni. Attraverso questa organizzazione ha continuato a sostenere le attività politiche e sociali delle donne afghane. Negli ultimi venti anni Cristina e le sue compagne hanno fornito un aiuto prezioso a RAWA e alle altre donne afghane aiutandole a creare corsi di alfabetizzazione, scuole per bambini, laboratori d’artigianato, cliniche e altri progetti generatori di reddito.
Oltre a prodigarsi per raccogliere fondi, Cristina è stata più volte con le donne di RAWA nelle remote provincie afghane, rischiando di persona per vedere i progetti in corso.
Grazie all’impegno di Cristina e del CISDA, le attiviste di RAWA hanno avuto la possibilità di partecipare a molti incontri in Italia e in Europa, dove hanno potuto parlare delle atrocità commesse dai jiadisti fondamentalisti, dai talebani e dal regime voluto dagli Stati Uniti e permettendo così a molti cittadini europei di conoscere la verità sulla tragedia in atto nell’Afghanistan occupato.
Cristina e il suo compagno Edoardo hanno sempre accolto le attiviste afghane nella loro casa mettendo a loro disposizione tutte le loro risorse. La casa di Cristina ed Edoardo a Milano è stato un luogo che ha accolto rivoluzionari afghani, curdi, palestinesi, algerini e turchi.
Nonostante avesse un alto livello d’istruzione e un’esperienza nei movimenti antifascisti e antiimperialisti, parlava spesso con modestia di come la sua vita era cambiata da quando aveva incontrato le donne di RAWA e di quanto avesse imparato nel corso del lavoro di collaborazione con loro. Diceva: “Ho imparato da RAWA come identificare i nemici e poi, senza timore, aprire la strada a una lotta senza tregua nei loro confronti, e a condurre un’organizzazione di donne creando per loro opportunità politiche”.
Sulla scia delle crescenti rivolte armate delle donne guerrigliere kurde contro l’invasione dell’ISIS, Cristina ha deciso di schierarsi al loro fianco, organizzando una delegazione in Bakur (Kurdistan turco) e a Kobane. Nella primavera del 2018, al suo ritorno da Diyarbakir [dove era andata come osservatrice internazionale delle elezioni in Turchia] è stata fermata all’aeroporto e incarcerata dalla polizia di Erdogan con l’accusa di sostenere il Partito Democratico dei Popoli (HDP).
Il suo spirito impavido è sempre stato un esempio per le sue compagne. Riguardo alle preoccupazioni sulla sicurezza delle delegazioni italiane che venivano in Afghanistan, al tempo in cui le condizioni di sicurezza si stavano deteriorando, Cristina decideva comunque di programmare i viaggi ed era spesso solita minimizzare i rischi con senso d’umorismo e battute dicendoci che la sua vita non era più preziosa della loro e che considerava un onore morire al loro fianco in Afghanistan.
Purtroppo, la nostra cara Cristina non è più con noi, ma il suo impegno, la sua lotta, il suo spirito vivace e la sua gentilezza saranno per sempre ricordati nei nostri cuori. RAWA insieme alle compagne italiane promette di continuare a sostenere le cause per le quali Cristina si impegnava
Oggi ci ha lasciato una piccola grande Donna, una Cittadina del Mondo, una Compagna
CRISTINA CATTAFESTA
Solo un anno fa sei stata con noi per ragionare e promuovere insieme nel territorio l’esperienza della lista;
in questi anni abbiamo condiviso il tuo coraggioso impegno al fianco delle Donne Afghane, Kurde, ovunque ci fossero vittime del patriarcato, del dominio maschile, della violenza e della guerra;
per tutta la tua degna vita ci ha accomunato la passione civile della lotta universale per i Diritti Umani per tutti/e, per la Liberazione delle Persone e dei Popoli,
camminando e operando insieme sulle strade della Pace nella Giustizia
il destino ti ha tradito, spezzando troppo presto quella generositá a cui oggi vogliamo rendere omaggio, con la promessa di continuare la tua lotta per cambiare questo Mondo disumano, portandoti ancora e sempre con noi nella libertá solidale un abbraccio infinito nel nome della Vita, un saluto a pugno chiuso nel nome dell’Umanitá
Ciao, Cristina
le compagne e i compagni di Cremona
La sorellanza che cambia il mondo.
Sorella per le donne e con le donne. Amatissima dalle sue sorelle e dalle tantissime donne che Cristina ha sostenuto e aiutato nel corso di decine e decine di anni e di battaglie e di iniziative.
Cristina è stata una figura fondamentale straordinaria: ha scelto di dedicare tutta la sua vita alle più svariate cause civili e sociali legate in particolare alle donne.
Sorella del mondo e di Milano. Da sempre impegnata nel quartiere di Via Padova, al Trotter; socia di Libere Sinergie, associazione che ha portato “Com’eri vestita?” in tutta Italia; con le volontarie di Acea OdV, CISDA e Naga a novembre del 2019 ha contribuito alla realizzazione alla Fabbrica del Vapore de “La rivoluzione delle donne. Jinwar: village of free women” a sostegno delle donne curde del Rojava.
Straordinario il suo impegno politico e sociale, resta difficile esprimere la sua gioia e la sua solarità.
Dando sostegno alle donne in ogni angolo del mondo, ha aiutato i più deboli: gli uomini.
Non c’è un “esercito di Cristina”: gli eserciti sono degli uomini, la “fratellanza e i compagni d’arme”, quelli che fanno le guerre, da sempre.
Cristina Cattafesta ha espresso chiaramente quella “sorellanza” che, crescendo e moltiplicandosi, sta cambiando il mondo.
Michele Papagna
Acea Onlus OdV/Consumietici.it
Milano, 9 dicembre 2020
Giornalisti, amici e personalità politiche hanno parlato di te, hanno scritto parole meravigliose e veritiere. Tu eri così, una bella persona, in tutti i sensi!
C’è però un aspetto che hai riservato solo a noi, le tue sorelle e di questo ne faremo tesoro. Sei stata per noi una sorella maggiore piena di attenzioni e di amore, amica comprensiva e confidente. Tra noi c’era una complicità straordinaria, ci bastava uno sguardo… perché sapevamo decifrare qualsiasi tua espressione.
Siamo state vicine a te e abbiamo creato un filo di amore e protezione perché questo ci hai chiesto. Ogni tuo volere era un nostro volere, ogni tuo dolore era un nostro dolore.
Nella nostra chat ci salutavamo con “buonanotte scimmiette”.
Ci manchi… enormemente! Ma abbiamo la consapevolezza di esserti state accanto fino all’ultimo e di averti regalato, a volte, un sorriso.
Sarai con noi, sempre.
Mia carissima Cristina,
sì, ti amo immensamente, amo anche il fatto che tu mi abbia nascosto la tua malattia fino a ora per paura di arrecarmi dolore. Poco fa ho sorriso, perché invece di digitare il tuo nome su Google Mail, per errore l’ho digitato sul motore di ricerca, e mi sono uscite tutte le notizie della tua liberazione dalla prigione del bastardo Erdogan e le tue foto infoulardata, e questo mi ha ricordato perché tu mi sia così intimamente cara e io, appena ti ho conosciuto, abbia subito messo un po’ delle mie radici nella tua saldezza e solarità.
Una leggenda ebraica dice che al principio dei tempi quando la forza creativa del bene è scesa in tutti i livelli dell’universo, il vaso terreno che per ultimo doveva contenerla sia andato in pezzi perché troppo fragile, e i pezzi ora siano sparsi per tutta la terra, e la ragione per cui noi siamo qui in questo mondo sia di cercare ovunque quei frammenti con la loro goccia di luce, e di riconnetterli pazientemente.
Anch’io quando guardo alla vita la vedo un po’ così, e penso che ci siano tre modi di rimettere insieme ciò che è stato spezzato: la conoscenza, la bellezza e l’amore. Io ho sempre praticato le prime due strade, senza trovare tempo ed energia per molto altro (la depressione, la belva nel folto, maledetta!), e ho sempre avuto questa sensazione dolorosa di essere piena di amore che mi scorre nelle vene, e di non aver trovato il modo di donarlo.
Perciò, quando ho incontrato te, mi sei sembrata un miracolo.
La donna che rimette insieme i frammenti del mondo con l’amore, a costo di andarseli a prendere nel cofano di un’auto con un burqa sulla testa, spingendo capre da donare alle vedove su per i monti dell’Afghanistan, o nel buio di una prigione. E che mette quella stessa identica quantità di amore nel mettere in contatto le persone e accoglierle, abbracciarle, farle ridere, e convincerle, come hai convinto me, che il mio amore non va sprecato, che la luce è luce e si irradia, che sia una fiammella o il sole.
Questo è ciò che tu sei per me, carissima e pervicace raccoglitrice di luci nascoste e frammenti un po’ ammaccati e dolenti, ed è per questo che anche se io sono lontana da quasi otto anni ormai, non ti ho mai sentita lontana nemmeno per un secondo. Perché tu rendi tutto prossimo col tuo amore, e colleghi strade che non avrebbero mai pensato d’incontrarsi, e scintille che senza di te nulla avrebbero mai saputo l’una dell’altra, e quando questo avviene sgorga una forza di cambiamento che nessuno può fermare.
Ora forza, ok? (ma che te lo dico a fare, guerriera?).
Ti abbraccio fortissimo e sorrido e ti mando tutto il mio amore, quello che avevo nascosto, e quello che tu mi hai insegnato a far splendere.
Gabriella Stanchina
Milano, morta l’attivista Cristina Cattafesta: il suo impegno a sostegno delle donne afghane e curde
Scomparsa a 64 anni l’attivista milanese Cristina Cattafesta, nota in città e non solo per il suo impegno a sostegno delle donne afghane e curde. Fondatrice del Cisda (Coordinamento Italiano a sostegno delle donne afghane), nel 2018, impegnata come osservatrice delle elezioni in Turchia, fu arrestata dal regime di Erdogan e poi liberata a seguito della pressione internazionale.
È morta l’attivista milanese Cristina Cattafesta, nota per il suo impegno a sostegno delle donne afghane e curde, fondatrice del Cisda (Coordinamento Italiano a sostegno delle donne afghane). La sua scomparsa a causa di una malattia è stata annunciata sulla pagina Facebook ‘Via Padova’.
Scomparsa l’attivista milanese Cristina Cattafesta
“Una nostra cara amica del quartiere Cristina Cattafesta se ne è andata in silenzio, lei che invece di rumore per fermare le ingiustizie ne faceva tanto” si legge nel post pubblicato con una foto che la ritrae sorridente. “Un brutto male in poche settimane se la è portata via” all’età di 64 anni. “Cristina era impegnata dalla parte degli oppressi del mondo, dalla parte delle donne dell’Afghanistan, del popolo curdo e palestinese, dei disoccupati, i migranti e per la parità di genere – ricorda il messaggio pubblicato su Fb – . Nel 2018, impegnata come osservatrice delle elezioni in Turchia, fu arrestata dal regime di Erdogan e poi liberata a seguito della pressione internazionale. Ci mancherai anche in Via Padova dove eri impegnata con tutti noi, per rendere la nostra via più bella e vivibile”
Il saluto della sinistra cittadina: “Milano e il mondo perdono tanto
“Abbiamo perso Cristina Cattafesta, compagna di tante battaglie. Ci mancherà. Mancherà la sua forza, la sua determinazione, il suo internazionalismo. Milano e il mondo perdono tanto. Ci impegneremo per colmare il vuoto che lascia. Un abbraccio ai suoi cari”, è il messaggio di cordoglio della lista ‘Milano in Comune’. Commoss anche il ricordo di Prc Lombardia: “Vogliamo ricordarla così, con il sorriso coraggioso di chi ha fatto mille battaglie per la rivendicazione dei diritti per tutte e tutti”.
Oggi con dolore abbiamo appreso della scomparsa di Cristina Cattafesta, attivista dei diritti civili e delle donne, internazionalista sempre attiva in difesa dei più deboli. In questi lunghi anni di militanza, non ha fatto mai mancare il suo sostegno attivo, alle esperienze unitarie della sinistra politica e sociale. La ricordiamo sempre sorridente e determinata.
Le più sentite condoglianze e vicinanza, dei compagni e compagne del PRC milanese, al marito Edoardo, alle sorelle e ai famigliari. Ciao Cristina.
La Segreteria Provinciale del PRC Milano
Pensieri su Cris, in libertà…
Vogliamo condividerli perché rileggendoli tutti insieme sembrano scritti da un’unica voce … Cris era così potentemente semplice, così cristallina, così vera da lasciare un ricordo indelebile e netto dentro chiunque l’abbia incontrata: l’ironia, la risata, la caparbietà, l’empatia, l’accogliere l’altro senza se e senza ma, l’affidarsi.
Ogni volta che parlava di noi si riempiva gli occhi di gioia e orgoglio, Cris è stata decisamente uno dei migliori balsami contro l’insicurezza adolescenziale, ci ha sempre trattato alla pari pur essendo delle scugnizze. Ripensando a Daniela è inverosimile che due eccezionalità del genere se ne siano andate così presto, penso all’ingiustizia ma anche all’immensa fortuna di averle incontrate e penso che erano due puri concentrati di ironia e che forse è quella la migliore chiave per tutto .. Certo .. senza nulla togliere a Dani, Cris era il generalmaresciallo comandante in capo della brigata ironica, mi manca anche solo il pensiero di una sua battuta Laura e Cristina mi hanno regalato l’occasione che mi ha cambiato la vita, anche dopo tutti questi anni di lavoro nella cooperazione, la scelta del CISDA di offrire ad un’entusiasta e confusa giovane ragazza l’occasione di partecipare ad una delegazione senza chiederle nulla in cambio, è rimasta un unicum e dunque ancor di più fonte di infinita gratitudine. Trovo meraviglioso che per tutte noi Cris sia sempre stata fonte di incoraggiamento, forza e insegnamento a suon di grandi sorrisi .. A tutte noi ha lasciato la sua impronta nel profondo, ognuna di noi l’avrà elaborata e vissuta a modo suo ma
la sua profonda e unica genuità nel darsi e nel accompagnarci è la stessa.
Non sarei andata in Pakistan se non fosse stato per lei e Daniela sempre cosi aperte ai giovani e cosi piene di fiducia in noi. Un pensiero colmo di amore e gratitudine.
Dani ci ha lasciato un vuoto incolmabile …penso spesso a lei e quanto fosse unico il suo appoggio incondizionato a noi e ad altri giovani. Così come Cris, la sua fiducia riposta in noi ci ha accompagnate nella crescita e soprattutto nel credere in noi stesse e nei nostri progetti.
Il racconto di Van
Parlare di Cristina oggi è un po’ come tirare le somme di vent’anni d’attivismo politico. Sicuramente Cristina ha iniziato molto prima, ma in vent’anni abbiamo assistito e partecipato alla creazione e all’evoluzione del CISDA. Con noi è cominciato nel maggio 2001.
Avevo assistito, nel novembre del 2000, ad una tavola rotonda svoltasi all’Università di Trieste attorno al tema de “La donna nell’Islam”. Docenti e ricercatori islamologi trattavano del tema dello status della donna nell’Islam, della legittimità di portare il velo o meno, se questa fosse una libertà o una costrizione imposta alla donna.
I punti di vista erano svariati, ma ciò che mi colpì più di tutto fu la negligenza, da parte dell’organizzazione, nel non aver invitato nemmeno una donna direttamente coinvolta nella
questione. Perciò al momento del dibattito pubblico, avanzai verso il palco e tesi un volantino ai professori, invitandoli ad un incontro con un’attivista di RAWA che si sarebbe tenuto ad Alessandria.
Naturalmente nessuno di loro si presentò all’incontro, e fu per questo motivo che decidetti di portare le portavoci di RAWA a Trieste, all’interno dell’università. Organizzare la conferenza da sola non fu cosa facile a causa dell’intricata burocrazia accademica, perciò chiesi aiuto al PAG (Progetto Aggregazione Giovanile) perché mi desse degli strumenti per poter realizzare il mio progetto.
Fu lì che conobbi Daniela Birsa, l quale fu la principale sostenitrice del nostro gruppo. Daniela non si è mai presa nessun merito, eppure, come Cristina, è riuscita a darci quella fiducia genuina che ci ha permesso di realizzare i nostri progetti. Daniela magistralmente riusciva a fare ordine nelle nostre idee e ci aiutava a concretizzarle. Il PAG riuni’ in plenaria tutti i membri dell’associazione per sondare chi fosse interessato all’iniziativa
e fu così che nacque spontaneamente il gruppo di sostegno alle donne afgane, “Dalla parte delle donne”.
La conferenza si tenne dunque nel maggio 2001. Cristina accompagnò Zoya e Maryam e si assicurò che avessero tutto il necessario per il vitto e l’alloggio. Quanto a lei…si accontentò di dormire nella mia stanzetta da studente ricavata da un ripostiglio, ma serbo preziosamente il ricordo di quei primi momenti di scambio tra di noi. Da subito, ho ammirato la praticità di Cristina, quel suo talento di arrivare dritto al nocciolo della questione senza risultare brusca o scortese.
Lei mi guardò negli occhi e mi chiese perché avessi deciso di prendere questa iniziativa. Le risposi che provavo solidarietà per le donne afgane perché io stessa ero figlia di profughi, e non mi piaceva che si facessero tanti discorsi inutili attorno alla nostra tragedia.
Bisognava che la gente venisse a conoscenza della situazione in cui versavano i profughi afgani, soprattutto le donne e i bambini e che si prendesse posizione davanti a questo massacro che i media tacevano.
La testimonianza di Zoya e Maryam ci coinvolse subito. Non poteva lasciarci indifferenti, e così decidemmo di dare il via ad una serie di iniziative di raccolta fondi, con cene e concerti a favore di RAWA e HAWCA, sensibilizzazione con mostre fotografiche e distribuzione di articoli tradotti dal loro sito, vendita del loro artigianato attraverso la Bottega del Mondo ed infine l’adozione a distanza di due orfanotrofi a Peshawar.
A livello nazionale, si era consolidata una rete di solidarietà alle donne afgane con cui entrammo in
contatto con altri gruppi e collettivi italiani. Fu così che nacque il CISDA, una grande famiglia di cui Cristina è stata il principale “motore propulsore”. Mi è sempre piaciuto come si creasse sempre un ambiente estremamente accogliente, grazie a Cris, con persone incontrate magari per la prima volta ma che condividevano la lotta per la stessa causa.
Nel 2003 andammo in delegazione in Pakistan, per consolidare il nostro rapporto con RAWA e HAWCA e per raccogliere la documentazione audiovisuale per il progetto “La via degli aquiloni”.
Fu nell’ospedale di RAWA a Peshawar che conobbi Razja, una bimba di quattro anni affetta da talassemia (o anemia mediterranea), che la costringeva a continue trasfusioni di sangue, che l’ospedale non era in grado di fornire. Mi supplicarono di fare qualcosa per lei e Assunta Signorelli, che era con me in delegazione, disse che qualcosa potevamo fare, grazie a delle conoscenze che aveva a Roma con del personale medico di ematologia.
In un primo momento sono venuti in Italia Razja e suo padre, raggiunti poi dalla madre e il fratello. Abbiamo potuto sostenere la famiglia soprattutto grazie alla rete Donne in Nero di Roma.
Razja è rimasta in cura all’ospedale di Roma, dove, dopo un anno circa dal suo arrivo, ha ricevuto un trapianto di midollo osseo. Purtroppo il suo sistema immunitario era stato messo troppo alla prova e non ha retto al rigetto. Razja è deceduta poco tempo dopo il trapianto. Ma la sua famiglia è rimasta e si è installata in un primo momento a Roma.
L’attività del gruppo si è conclusa ufficialmente nel 2005, dopo questo avvenimento. Lo scioglimento del gruppo è dovuto anche a contingenze personali. Qualche membro del gruppo ha comunque continuato a seguire autonomamente l’attività del CISDA.
Cristina ci ha sempre appoggiate nelle nostre scelte ed incoraggiate a credere ai nostri progetti. La fiducia reciproca si è accresciuta col tempo, fino a diventare incondizionata. Con Cristina ho sempre avuto la sensazione di avere una sorella che mi avrebbe sempre difesa a spada tratta contro ogni insidia se avessi voluto lottare, ma che avrebbe anche rispettato i miei silenzi e la mia ritirata senza giudicarmi. Devo molto a lei, come persona ed in quanto coordinatrice del CISDA.
Il racconto di Franzinn
Riprendo la narrazione di Van per aggiungere qualche altra tappa al viaggio attorno a Cris, che ci ha reso le donne che siamo. La scoperta di Rawa è stata ed è tuttora, a distanza di 20 anni la più concreta e stravolgente lezione di femminismo mai ricevuta e il CISDA ci ha permesso con un’enorme generosità di pensiero, visione e approccio, di continuare ad approfondire la lezione fino a poterla toccare con mano nelle delegazioni. Il gruppo triestino “dalla parte delle donne” composto da ventenni e giù di li, è stato fin da subito sostenuto dal direttivo del Progetto Aggregazione Giovanile soprattutto nella figura di Daniela Birsa, un’altra straordinaria donna che ci ha seguito e motivato negli anni, pur garantendoci una totale autonomia, anche lei ahimè ci ha lasciate troppo presto, creando un vuoto politico in città che non si è più ricomposto.
Nel 2003 abbiamo partecipato ad una seconda delegazione a Peshawar e nei campi profughi di Rawalpindi dove abbiamo aiutato un altro incantevole concentrato di pura ironia: Irina Hale, a realizzare dei laboratori di teatro delle ombre con i bambini. E ancora una volta il CISDA, da immenso reticolato familiare, è stato veicolo per l’apertura di nuove strade: la mia tesi di laurea su Irina e sul teatro delle ombre. Ciò che ha prodotto in noi la delegazione è difficilmente descrivibile, è stata una delle avventure più straordinarie e profonde che abbiamo vissuto, e tuttora risuona nei nostri corpi e nel nostro modo di guardare il mondo.
Nel 2006 una parte del gruppo, trasformatosi nella sezione regionale del CISDA Friuli Venezia Giulia, si è impegnato nella ricerca e nella scrittura di una sceneggiatura e della successiva messa in scena di uno spettacolo sulla questione della donna nell’islam.
Nel corso degli anni di attività del CISDA FVG abbiamo organizzato conferenze e incontri nelle scuole a Trieste, Udine, Zugliano e Tolmezzo. Nel 2009 grazie ad un bando regionale abbiamo scritto e seguito il progetto “Children health Clinic” che prevedeva la costruzione di un presidio medico dentro ad uno degli orfanotrofi di Afceco a Kabul. Nel marzo 2010 ho preso parte alla delegazione a Kabul per chiudere la contabilità del progetto e per abbracciare finalmente di persona Jamshid, direttore dell’orfanotrofio, dopo un’interminabile scambio di mail per cercare di raccapezzarci nel folle incrocio tra burocrazia italiana e contabilità afghana.
Sempre nel 20
A Cris,
Le risate cristalline a tutta pancia, fanne una insieme a noi Cris, sei la forza e la bellezza a pieno cuore.
Come ci hai mostrato tu quanto è bello essere donna, nessuno mai.
Le tue ragazze dell’est ti stringono nel più poderoso e ridanciano abbraccio possibile.
Grazie a tutte le splendide donne del CISDA, a tutti gli occhi luminosi dell’Afghanistan resistente: a RAWA, HAWCA, AFCECO, HAMBASTAGI
Post su Facebook di Afceco Children
It is with heavy heart, we share that we lost our beloved Cristina Cattafesta, who died today in Italy. We were shocked and heartbroken by the loss of such a dear friend who cared so deeply about us, whenever we needed help, Cris was there with her open arms.
The children, the girls and boys, the cooks and guards, the entire staff and every piece of the orphanage, will forever be around, reminding you, Cris jan, of the love you shared with us. Your memory will reside forever in our hearts. Please reset in peace!
We send our sincere condolences and share this sad moment with our Italian friends and her family.
Post su Facebook di Malalai Joya
I am deeply sad that a great supporter and hardworking friend from Italy Cristina Cattafesta left us forever and joined eternity.
Despite having cancer for many years, she never gave up fighting and working for the sake of our suffering people and especially Afghan women.
On behalf of CISDA organization, she wholeheartedly defended the rights of Afghan women and supported the fight of Kurdish heroic resistance in Rojava. She was against the warmongering and terrorist-fostering policies of the US/NATO, so stand by Afghanistan’s progressive forces and individuals to combat occupation and fundamentalism.
On behalf of the oppressed people of Afghanistan, I offer my heartfelt condolences to her kind partner Edoardo Bai, all family and friends of CISDA for losing a diligent and dedicated member. We are with you in this heartbreaking grief. As a genuine friend of Afghan people, Cristina will never be forgotten!
Kristina Katfista donna di umanità
Un anno dopo la fondazione della comunità, abbiamo incontrato la signora. Kristina Katfista con un gruppo dei suoi colleghi a Kabul.
Con i suoi colleghi, ha fondato l’Organizzazione Afghana della Difesa femminile chiamata ”Chisda” in Italia, e il loro scopo è sostenere le donne sofferenti dell’Afghanistan. L’organizzazione ”Chezda” guidata dalla signora. Kristina è stata in contatto con e sostiene alcuni dei popoli e delle correnti democratiche dell’Afghanistan.
L’Associazione Afghana Justice Social Association ha avuto diversi progetti congiunti con l’organizzazione ‘ Chezda” nel difendere le vittime della guerra in Afghanistan, e questa è stata un’occasione per conoscere bene la cara Kristina.
Vida Ahmad, presidente dell’associazione che ha trascorso un viaggio in Italia a casa sua, dice della signora. Kristina, una donna gentile e voce contro di noi contro i delinquenti dell’Afghanistan e del governo italiano come sostenitrice. Ha sempre fatto la sua mente e la sua mente in come può sostenere le donne afghane.”
Purtroppo, oggi non abbiamo più avuto Kristina con noi e abbiamo perso la nostra migliore amica, ma i suoi sforzi, i suoi dolci ricordi e il volto sorridente sono vivi per noi.
Cara Kristina, che il tuo ricordo sia ricordato!
Per Cristina – dalle compagne del Cisda
“Ci lasci, in un tempo sospeso, con un’eredità collettiva immensa: ci impegneremo a custodirla, strette intorno alla tua presenza indelebile, alla tua mancanza incolmabile”
Nel passaggio dalla scuola media al liceo si è piccoli, inesperti, e si guarda al mondo e al futuro con occhi spalancati, pieni di attesa e speranza. Era l’inizio degli anni ’70 e già a partire dal ’68 la scuola e l’università erano in fermento. Cristina Cattafesta, che iniziò la scuola superiore nei primi anni ’70, si è ritrovata da subito a partecipare a quel fermento. C’è chi, tra noi, ha condiviso con lei il lavoro del collettivo della scuola, tra occupazioni, scioperi per il diritto allo studio oltre che attenzione a ciò che succedeva nel mondo del lavoro, a cui molte lotte studentesche si erano legate, e al femminismo.
Da allora Cristina non ha mai smesso di essere un’attivista. E lo ha sempre fatto con convinzione, dando tutta se stessa alle cause che riteneva meritevoli di sostegno; si è spesa anche come sindacalista per la difesa dei diritti dei lavoratori o come candidata in liste locali ed europee. E con la sua umanità, empatia e grandissime ironia e leggerezza è riuscita a coinvolgere e motivare decine di persone alle cause in cui credeva.
Nel 1986 è stata tra le fondatrici della Casa delle donne maltrattate. Tra il 1997 e il 1998 ha lavorato per Emergency e nel 2001 è stata in Afghanistan con Gino Strada, rimanendo oltre un mese tra l’ospedale del Panshir e quello di Kabul.
Tra il 1999 e il 2001 ha collaborato con il Sima (Solidarietà Italiana con le Madri di Plaza de Mayo), lavoro culminato con la presentazione, a Milano, alla presenza di Hebe de Bonafini, del progetto dell’Università popolare delle Madres.
Nel 1998 ha aderito alla rete delle Donne in Nero, che in Italia, nel tempo, è molto cresciuto creando reti di solidarietà, oltre che con le donne israeliane e palestinesi, anche con donne serbe, kurde, latinoamericane, afghane…
Nel 2000 le donne afghane di Rawa (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan) hanno moltiplicato gli sforzi per far conoscere il loro lavoro e la realtà del loro Paese, al tempo sotto il regime dei talebani. Le Donne in Nero hanno raccolto il loro appello; Cristina per prima ha guardato allo straordinario lavoro di Rawa contro il fondamentalismo e il patriarcato e si è subito attivata per invitare in Italia alcune attiviste afghane, per creare rete intorno a loro, raccogliere fondi, organizzare eventi e conferenze.
Nel 2001, a pochi giorni dall’attacco alle torri gemelle di New York e all’annunciata “guerra al terrorismo” da parte degli Usa e della coalizione internazionale, Cristina ha organizzato un’importante delegazione (attivisti, giornalisti, parlamentari e Luisa Morgantini, allora vicepresidente del Parlamento europeo) in Pakistan, per incontrare le donne di Rawa e di Hawca (Humanitarian Assistance for the Women and Children of Afghanistan) nei campi profughi, conoscere il loro lavoro, ascoltare e raccogliere le loro richieste, sentire le loro storie.
Da quella delegazione e dai tantissimi incontri seguiti in ogni parte d’Italia, Cristina ha iniziato a lavorare, insieme a un coordinamento di donne, per sostenere le istanze di libertà, giustizia e democrazia delle donne afghane. Lavoro che è andato avanti sino a oggi con incontri, campagne di sensibilizzazione e controinformazione, raccolte fondi per finanziare progetti umanitari e politici, oltre a delegazioni che ancora oggi si recano almeno due volte all’anno in Afghanistan per avvicinarsi a chi sta lottando nel proprio Paese contro il fondamentalismo, la misoginia, l’occupazione in condizioni di sicurezza difficilissime. Cristina ha organizzato e partecipato a quasi tutte queste delegazioni riuscendo sempre a tenere alto il morale del gruppo.
Nel 2004 Cristina, con il coordinamento di donne che dal 2001 lavoravano in solidarietà con le donne di Rawa, ha fondato il Cisda divenendone presidente. In tutti questi anni siamo cresciute con le nostre sorelle afghane, imparando a conoscerci e a lavorare insieme con rispetto e amore.
Nel 2015, nel momento in cui Kobane, nel Rojava (nord-est della Siria), stava resistendo all’attacco dell’Isis, Cristina ha trovato il modo di avvicinarsi al movimento delle donne kurde, ha organizzato due delegazioni in Bakur (Kurdistan turco) e, insieme a noi del Cisda, ha avviato legami di solidarietà con il movimento rivoluzionario kurdo.
Nel 2018 si è recata in Turchia come osservatrice delle elezioni parlamentari dove è stata arrestata dalla polizia turca e trattenuta nel carcere di Gaziantep per 10 giorni con l’accusa di fiancheggiare un gruppo terrorista.
Cristina ha lavorato senza sosta per il Cisda e con tutte noi fino agli ultimi giorni della sua vita. Ci mancano immensamente la sua ironia, il suo affetto, la sua capacità di motivarci e organizzarci. Da parte nostra, ci impegneremo con tutte le nostre forze per continuare a camminare nel solco che lei ha tracciato, e a custodire con amore tutti i regali che ci ha fatto
Un sorriso indimenticabile, dalla parte degli ultimi
Giuliana Sgrena, Il Manifesto
Se n’è andata, determinata nelle sue scelte fino all’ultimo. Cristina Cattafesta, è scomparsa venerdì mattina, lasciando un grande vuoto, ovunque sia passata, perché non c’era situazione disperata di cui lei non si facesse carico. Soprattutto delle donne afghane, fin dai tempi dei taleban, quando, nel 1999, ha fondato il Coordinamento italiano di solidarietà con le donne afghane (Cisda). Ma anche l’Algeria, la Palestina fino al Rojava. Ha vissuto intensamente superando gli ostacoli che la vita ci riserva, fino alla malattia che in pochi mesi l’ha stroncata, a soli 64 anni. Cristina lascia, insieme ai ricordi di chi ha vissuto con lei esperienze indimenticabili, una grande eredità: l’amicizia con tante donne, di diversi paesi, che ha fatto conoscere al mondo della solidarietà italiana, costruendo legami che dovremo mantenere e coltivare.
I ricordi ci rendono Cristina indimenticabile. All’indomani dell’11 settembre dovevo partire per il Pakistan, passaggio obbligato per cercare di arrivare in Afghanistan. Mi occorrevano contatti, informazioni, l’indirizzo di una guest house a poco prezzo, cosa non facile visto che giornalisti da tutto il mondo stavano atterrando a Islamabad. Chi meglio di Cristina poteva orientarmi? Già frequentava quei luoghi per aiutare le donne afghane fuggite ai taleban nei campi profughi. Immediatamente Cristina mi ha dato tutte le informazioni, non solo, alla fine ha deciso di venire con me. Il suo aiuto è stato prezioso. Io potevo lavorare senza preoccuparmi di tutte le questioni pratiche che ti portano via la maggior parte del tempo: mi metteva da parte un piatto di riso per la cena e mi accompagnava all’internet café, quando era già notte fonda, a spedire il pezzo. Quando, dopo quindici giorni ha dovuto andarsene – al lavoro non poteva più giustificare la sua assenza – mi aveva raccomandato a tutti gli ospiti della guest house, giornalisti stranieri, gli italiani erano al Marriott.
Lei con la sua solarità non aveva difficoltà a stabilire rapporti. Non solo per le donne afghane, Cristina si metteva in gioco con tutti i suoi contatti per le donne algerine o curde senza risparmio, con estrema generosità. C’era sempre, potevi contare su di lei per qualsiasi causa anche disperata, come succede spesso a chi si schiera con gli ultimi, e c’era con il suo sorriso, il suo ottimismo. Che a volte non bastano, come due anni fa quando è stata fermata dalle autorità turche mentre stava monitorando le elezioni. Anche dietro le sbarre però era riuscita a fare tesoro della sua esperienza, mentre la solidarietà suscitata era la testimonianza del riconoscimento per il suo impegno. In questo momento non voglio pensare solo al vuoto che lascia ma al suo sorriso e alla sua determinazione che richiedono un impegno per non abbandonare i progetti che ci ha lasciato.
Giuliana Sgrena
Oggi, Cristina, ci hai lasciate.
Dopo una malattia dolorosa, intensa e rapida, tanto da non consentirci di realizzare cosa stesse accadendo. Né, per tante, di abbracciarti, un’ultima volta.
E, nel dolore, ci siamo rifugiate nelle numerose immagini dei momenti che ciascuna di noi ha condiviso con te, tra decenni di attività politica in Italia, appuntamenti in giro per l’Europa e dozzine di delegazioni nel paese dove tu, per prima tra noi, hai lasciato il cuore. L’Afghanistan.
Immagini, sempre, di sorrisi e complicità, rassicuranti e divertenti, nonostante le difficoltà di certi impegni, che ci hanno legate profondamente. Come compagne, come amiche.
Siamo unite dall’importanza che ha la storia di ogni persona: sei stata capace di accogliere e sollecitare il bello, di tessere reti e creare ponti, oltre ogni confine e durata nel tempo. Hai raccolto sogni adolescenti e li hai trasformati in realtà, con spontaneità e vicinanza, schiettezza e sensibilità.
In tante abbiamo affidato a te le nostre difficoltà se non, talvolta, un pezzo di vita, e tu le hai fatte tue, mostrando una cura e un’umanità che raramente si incontrano.
Ci lasci, in un tempo sospeso, con un’eredità collettiva immensa: ci impegneremo a custodirla, strette intorno alla tua presenza indelebile, alla tua mancanza incolmabile.
Abbracciamo forte le sorelle e il compagno Edoardo.
CISDA
Benedetta Argentieri è una regista (Our war e I am the revolution) e giornalista che da diversi anni segue sul campo la guerra in Iraq e in Siria.
Per circa 10 mesi, tra il 2019 e il 2020, ha vissuto in Rojava per documentare la situazione e raccontare come nasce e cresce una rivoluzione, nonostante la guerra. Sta lavorando a un nuovo documentario sulle donne di ISIS. La Redazione dell’Osservatorio Afghanistan l’ha intervistata.
Per molti mesi sei stata testimone di eventi che hanno nuovamente segnato la storia del popolo curdo e dei popoli che vivono nel nord est della Siria; nonostante le 11.000 vite sacrificate nelle battaglie per fermare l’ISIS, le grandi potenze mondiali hanno nuovamente tradito il popolo curdo. Puoi raccontarci qual è la situazione e aiutarci a comprendere le alleanze e i giochi di potere tra potenze straniere?
La situazione geopolitica della Siria è molto complessa. Con le prime manifestazioni contro il regime di Assad, nel 2011, entrano in gioco diversi attori.
Gli Stati Uniti, nel 2014, cominciano a collaborare con YPG e YPJ per combattere lo Stato Islamico nella città di Kobane, liberata poi a gennaio 2015. L’alleanza si rafforza nello stesso anno quando vengono create le Forze Democratiche Siriane.
Nel 2018, con l’invasione turca di Afrin, il cantone più a occidente e per molto tempo non collegato a livello territoriale al resto del nord est della Siria, gli USA fanno un passo indietro, dichiarando che quel territorio non è sotto il loro controllo e che quella battaglia non riguarda la lotta contro l’ISIS. In quel periodo le FDS [1] stanno ancora combattendo a Raqqa e minacciano di fermare la battaglia se la questione di Afrin non verrà risolta. Gli USA garantiscono che si schiereranno nel caso la Turchia decidesse di far partire una nuova guerra di aggressione; questo convince le FDS, che continuano a combattere contro l’ISIS, sconfitto definitivamente ad al Baghuz nel marzo 2019, una battaglia di cui sono stata testimone.
Gli USA e la coalizione internazionale si rendono conto ben presto che l’ISIS ha perso lo “Stato” ma che la sua ideologia non è morta; una serie di cellule dormienti sono ancora presenti in varie aree del mondo e, in particolare in Iraq, cominciano da subito a cercare di riconquistare il territorio.
Nell’estate del 2019 la Turchia minaccia nuovo un intervento militare per contrastare la presenza delle forze dello YPG, che fa parte delle FDS, ai confini tra Turchia e Siria; gli USA si contrappongono e fanno da mediatori tra FDS e Turchia.
Dopo un’estate di intense trattative per negoziare la costituzione di una zona cuscinetto, le YPG decidono di arretrare e abbandonano le loro fortificazioni con la garanzia, da parte degli USA, che nessuno avrebbe occupato quella parte di territorio.
Solo dopo un mese e mezzo Erdogan chiama la Casa Bianca rinnovando la sua intenzione di intervenire e, inaspettatamente, Trump ordina alle sue truppe di ritirarsi, lasciando campo libero all’invasione turca. Questo voltafaccia è stato estremamente doloroso sia per la popolazione del nord est della Siria sia per gli stessi soldati americani sul terreno e ha complicato molto i rapporti tra FDS e USA.
A due giorni dall’invasione turca, il 9 ottobre 2019, vengono sfollate 100.000 persone (dato delle Nazioni Unite). Dopo un mese erano 300.000.
La potenza vincente di questo conflitto è la Russia. I suoi rapporti con la Siria sono di lunga data e i suoi militari, da ottobre, continuano a pattugliare il nord est del paese, sostituendosi alle forze USA in alcune zone come Kobane, Manbij, a ovest dell’Eufrate, e Raqqa. Non solo, sono presenti anche nelle zone di Qamishlo e verso il confine con l’Iraq, creando tensioni con l’esercito americano. Intanto, l’avanzata della Turchia continua indisturbata l’invasione dei territori del Rojava.
Un’altra potenza importante in gioco è l’Iran. Il regime degli Ayatollah, fin dall’inizio della guerra civile, ha supportato Assad. Le guardie rivoluzionarie, guidate per lungo tempo da Qasem Soleimani, ucciso da un drone americano a Baghdad il 3 gennaio, sono presenti in diverse aree del Paese, tra cui Deir Az Zor.
Una situazione molto complessa e di cui si vedono i segni sul terreno. A ottobre ricordo di essermi fermata a un rondò della città di Til Tamer, un crocevia molto importante della zona; in sole due ore sono passati tutti, dalle forze militari del regime siriano, alle FSD, agli americani, ai russi e ai turchi.
Come ha reagito la popolazione a questa situazione?
La popolazione ha vissuto molto male il tradimento americano e i militari sono stati oggetto di lanci di pietre e frutta marcia. Non è stato certo il primo tradimento nei confronti dei curdi ma questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Già nel 2018 la Turchia aveva invaso cantone di Afrin, arruolando nelle sue fila ex combattenti dell’ISIS. Ancora una volta nel 2019 alcune testimonianze parlano di forze jiadiste nelle milizie assoldate dalla Turchia. La posizione di Ankara è sempre stata ambivalente, da un lato fingeva di combattere ISIS e dall’altro favoriva questi miliziani nella battaglia contro i curdi. Si sta ripetendo la storia?
Dobbiamo considerare che all’interno dell’estremismo islamico ci sono diversi gruppi, non solo l’ISIS, e che fin dal 2011 la Turchia ha sostenuto i cosiddetti ribelli contro Assad che hanno avuto una svolta islamista radicale che ha soffocato il moto democratico rivoluzionario che veniva dalla popolazione. I gruppi più organizzati, con una solida base militante, erano quelli islamisti, e hanno preso il sopravvento. Negli anni successivi, la Turchia di Erdogan ha addestrato e finanziato queste cellule di jihadisti che si sono macchiate di crimini orrendi. Dal 2014 tutte le agenzie di intelligence del mondo, compresa la CIA, hanno osservato che i combattenti ISIS riuscivano a passare indisturbati la frontiera tra Turchia e Siria. Ci sono foto, documenti, testimoni, tanto che persino Brett McGurk, inviato speciale della Casa Bianca per la lotta contro l’ISIS, ne ha parlato apertamente su diversi organi di stampa. La Turchia è stata richiamata ma ha cominciato a fare pressioni sull’Europa con il ricatto dei migranti. Da una parte fingeva di togliere il suo supporto alle truppe jihadiste che in verità non è mai cessato.
Ad Afrin gli osservatori di Human Rights Watch e delle ONG presenti hanno documentato i crimini di questi jihadisti, che venivano pagati 46 dollari al mese in un paese estremamente povero e martoriato. Le stesse milizie che hanno occupato Afrin sono quelle entrate a Serekaniye nel 2019 e sempre loro hanno combattuto a Idlib contro il regime; ci sono addirittura combattenti che vengono inviati a combattere in Libia. Sono loro i responsabili dell’uccisione di Hevrin Khalaf, la segretaria del Partito del Futuro Siriano, e sono gli stessi che hanno ammazzato, rapito, stuprato donne e civili.
Tutto questo orrore è evidente e non si può più nascondere, anche se Europa e USA, per il momento, hanno deciso di fare finta di nulla.
Io ho visto delle foto scattate in questa safe zone che la Turchia sta costruendo tra Serekaniye (Ras al-Ayn) e Girê Spi (Tell Abyad); alcune ritraggono miliziani con le insegne dell’ISIS sulla giacca militare, tutte le insegne di edifici pubblici sono state cambiate in turco e in arabo, eliminando la lingua curda. Nelle scuole campeggiano le bandiere turche e i bambini devono giurare fedeltà ad Ankara.
La Turchia ha dichiarato che il suo obiettivo è quello di creare un’area cuscinetto nella quale insediare un enorme campo profughi. Questo comporterà un progressivo cambiamento demografico nella zona. Quali sono gli effetti di questa operazione?
Lo stato turco ha occupato questa fascia di territorio provocando un totale di 300.000 profughi e di fatto dando il via a una pulizia etnica. Si tratta di un’area molto grande, 170 km per oltre 30 km; si sono spinti ben oltre quanto avevano dichiarato di voler fare. Con questa operazione una città come Serekaniye non è più curda perché i curdi sono dovuti scappare; hanno perso le loro case e vengono costantemente aggrediti. Una persona che conosco, tornata a casa sua per cercare di prendere alcune cose di famiglia, è stata rapita per 10 giorni e rilasciata dopo il pagamento di un riscatto di 10.000 dollari. Nel frattempo, l’area è stata popolata da famiglie di miliziani jihadisti e questo chiaramente comporta un cambiamento demografico; si tratta di una vera e propria pulizia etnica.
Erdogan e diversi ministri del suo governo hanno detto più volte in televisione che i curdi sarebbero dovuti andare verso Deir Az-Zor, che non è una zona curda ma araba, ed è una un’area molto complessa. In molti vogliono prendere la zona di Deir Az Zor, essendo una zona in cui il petrolio rappresenta una delle fonti maggiori di reddito anche se, è bene dirlo, la Siria possiede solo lo 0,01% delle riserve mondiali e che questo petrolio viene usato unicamente per il fabbisogno interno.
Che cosa è successo dopo la dichiarazione del cessate il fuoco? I patti sono stati rispettati?
Dopo l’invasione del 2019 ci sono stati due cessate il fuoco, uno negoziato dagli USA e uno dalla Russia, che è quello che è ancora “in vigore”, anche se nessuno dei due è stato realmente rispettato. Dopo 8-9 giorni dall’inizio dell’attacco, il vicepresidente americano Mike Pence è andato in Turchia per cercare di negoziare un cessate il fuoco su pressione dei curdi, che si sono trovati a fronteggiare senza alcun tipo di copertura il secondo più potente esercito della NATO. Non è stata garantita una no fly zone, che avrebbe fatto la differenza. In uno scontro sul terreno probabilmente le forze turche avrebbero perso, grazie alla preparazione delle FDS che sono state in grado di prevalere anche contro l’ISIS. Ma per conquistare villaggio per villaggio la Turchia si è servita di droni e bombardamenti aerei. Negli ultimi mesi si è arrivati a un conflitto a bassa intensità, ma i bombardamenti non sono mai cessati.
Che cosa sta succedendo a Idlib? Da ciò che osservatori internazionali riportano è chiaro che è in atto un vero e proprio genocidio ma ci piacerebbe fare chiarezza sulle forze in campo e sugli obiettivi delle potenze che si stanno scontrando.
Idlib è l’ultima roccaforte dei cosiddetti “ribelli”, la galassia di milizie che hanno combattuto contro Assad durante guerra civile del 2011 nella Free Syrian Army, forza che attualmente non esiste più. Negli anni, via via che l’ISIS perdeva terreno grazie alla spinta delle FDS da est e Assad continuava la sua avanzata, gli irriducibili venivano sospinti dal regime a Idlib. Non voglio dire che a Idlib siano tutti jihadisti ma lo è sicuramente chi controlla la città militarmente. Per Assad Idlib è l’ultima provincia da riconquistare; adesso sul terreno ci sono, oltre ai ribelli e al regime di Assad, che ha ripreso il controllo di due terzi del Paese, le FDS con il confederalismo democratico.
Si può dire che a Idlib sia in corso un genocidio. In alcune zone riconquistate da Assad è stato avviato un cosiddetto processo di riconciliazione con la popolazione. Sappiamo molto poco di quello che sta avvenendo, ma si parla di arresti e torture. Inoltre, i siriani sanno cosa vuol dire essere sotto il regime; sanno che la cosiddetta “riconciliazione” passa comunque attraverso un bagno di sangue. In questo quadro non è molto chiaro quali siano le intenzioni della Russia con questo rapporto molto contraddittorio con la Turchia. Nel frattempo, è arrivato anche il corona virus, cosa che ha complicato ulteriormente il quadro.
Nella Federazione del Rojava si afferma nel 2012 il confederalismo democratico teorizzato da Öcalan. Il modello che propone è divenuto anche per noi esempio e possibilità concreta per costruire una società equa e democratica. In questa situazione drammatica che ne è stato di questo progetto rivoluzionario?
Il confederalismo democratico viene elaborato da Abdullah Öcalan, leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, sulle basi della teoria del “comunalismo e dell’ecologia sociale” promossa dal filosofo socialista libertario Murray Bookchin. Öcalan ha voluto proporre una via alternativa per una regione che negli ultimi 20 anni è stata martoriata da conflitti etnici e religiosi.
Il confederalismo democratico diviene un paradigma di cambiamento perché propone una società più giusta, più ricollegata alla natura, all’equilibrio delle cose e del fare politica, in particolar modo a livello locale. L’organizzazione amministrativa prevede un modello assembleare con la formazione di tante piccole federazioni che decidono di camminare insieme. Questa trasformazione sociale non si è arrestata malgrado le condizioni difficili e la guerra che infuria; il progetto va avanti e la cosa più bella della mia esperienza in Rojava è vedere come le popolazioni arabe abbiano abbracciato il confederalismo democratico in città come Raqqa e come Mambish, che hanno forte prevalenza di popolazione araba. Il confederalismo democratico sta fiorendo ed è divenuto l’unica possibilità per sopravvivere alle pressioni esterne. Io ho passato molto tempo a Raqqa e ho potuto vedere che, nonostante tutte le difficoltà, il confederalismo democratico ha dato la speranza di un futuro diverso a queste popolazioni arabe. Non in tutte, Der Az Zor continua a essere una provincia complicata in cui ancora questo processo non si è affermato. Certamente non tutto è perfetto, ci sono tante cose che devono essere migliorate ma questo vien da sé. A mio avviso è sbagliato pensare al Rojava come al luogo in cui tutto funziona alla perfezione, perché questo sarebbe impossibile.
In quelle zone, nonostante l’Amministrazione autonoma nel nord est della Siria abbia dovuto fare degli accordi con il regime nel contesto del cessate il fuoco, si è trattato solamente di accordi militari; gli obiettivi politici sono rimasti comunque una priorità. Infatti, le strutture costruite dal 2012 a oggi, tutti i lavori di comunalismo per le donne e di cambiamento radicale della società continuano ad andare avanti.
Qual è stata la leva perché da un modello “utopico” di società si passasse a un modello concretamente applicato dalla popolazione, considerando che il confederalismo democratico è riuscito a superare i conflitti etnici tra arabi e curdi in quei territori? Quali sono gli insegnamenti anche per noi?
Le teorie di Ocalan, elaborate nel 2002-2003 durante la sua prigionia (è carcerato ad Imrali dal 1999), danno vita a un nuovo paradigma; si rinuncia ad alcuni principi del marxismo leninismo e si abbraccia il confederalismo democratico, che viene di fatto attuato nel momento in cui si crea un vuoto di potere in Siria.
Nel 2011, quando iniziano le proteste contro il regime, i curdi si rendono conto che l’opposizione non aveva un programma realizzabile politicamente e che anzi rischiava di cadere nelle mani dell’Islam radicale. Schierarsi con il regime dopo quello che avevano sofferto non era nemmeno ipotizzabile, per cui scelgono la cosiddetta “terza via” che diviene attuabile malgrado tutte le difficoltà della situazione a causa di questo vuoto di potere che si crea a causa dell’intensificarsi del conflitto. Per questo è stato possibile implementare il confederalismo democratico in Rojava; Kobane – liberata dal regime nel luglio del 2012 – è il primo luogo in cui si sperimenta questo progetto di società nuova. Da Kobane il progetto si estende a macchia d’olio in tutte le città che vengono liberate, prima dal regime e poi dall’ISIS, grazie alla sua natura e al fatto di non avere un governo centrale che controlla.
I curdi, nella loro avanzata, arrivano a Raqqa, Mambish, Deir Az-Zor, che sono zone arabe; il Rojava diviene quindi una confederazione di territori e comunità sia curde sia arabe e sia di altre minoranze. Per questo motivo si decide di cambiarne il nome in Amministrazione Autonoma del nord est della Siria.
Il confederalismo democratico consente di applicare un modello di democrazia diverso, più funzionale ai bisogni reali delle persone che vivono nel territorio delle comunità.
Si parla di rivoluzione delle donne, che cosa significa e che cosa ci insegna questo?
Il confederalismo democratico si basa su tre concetti fondamentali: ecologia, liberazione delle donne e democrazia diretta.
L’ecologia non è intesa tanto a orientare i comportamenti dei singoli cittadini (es. la sola raccolta differenziata), quanto a una organizzazione sociale che abbia l’ecologia al centro, alla maggiore attenzione ai bisogni della natura, al ricominciare a vivere nel suo rispetto e nell’equilibrio socio-ambientale.
La liberazione delle donne è uno dei pilastri di questo nuovo mondo. La presa di coscienza delle donne deriva dalla lotta delle curde negli anni ’70, ma in realtà risale a ben prima, a causa del contesto feudale e patriarcale che caratterizza tutte e quattro le zone in cui è diviso il Kurdistan: Iraq, Iran Siria e Turchia. Di fatto queste aree sono tutte caratterizzate storicamente da società estremamente violente nei confronti delle donne e il cambiamento è stato davvero tangibile. Personalmente vado nel Rojava dal 2014 ed è bello vedere i passi avanti compiuti con questo modello di società, che non è separatista ma di fatto dà alle donne la possibilità di avere ambiti di lavoro separati dagli uomini. In tutte le istituzioni, nelle comuni e nelle assemblee è prevista una co-presidenza uomo-donna e le donne fanno riferimento a strutture delle donne per tutti i problemi. Nel 2014 le mala jin (case delle donne) hanno modificato alcune leggi (in particolare per proibire la poligamia e i matrimoni di donne minori) e queste, insieme alla costituzione delle YPJ (Unità di protezione del popolo femminile) sono istituzioni cardine della rivoluzione. Oggi le donne lavorano, guidano, sono ai check point e possono rivestire ogni ruolo nella società. Questo non significa che la rivoluzione è completata; come dicono molte compagne curde, la lotta al patriarcato è la lotta più difficile, ma intanto sono stati fatti molti passi avanti. Questa è la vera rivoluzione delle donne.
Sappiamo che nel nord est della Siria si è attivata una organizzazione molto strutturata per prevenire il dilagare del corona virus. Quali sono le sfide da affrontare?
L’organizzazione approntata è sicuramente ottima, ma questo perché stiamo parlando di un territorio nel quale, già prima dell’arrivo dell’emergenza del corona virus, con la rivoluzione del Rojava, era stata attuata una riforma sanitaria che prevedeva una forte riorganizzazione interna.
Considerando che il sistema sanitario del Rojava di fatto è sempre in emergenza a causa della guerra, è evidente che ora la situazione è ancora più complessa perché servono macchinari di cui non si hanno le disponibilità. Ci sono 33 respiratori e l’unica apparecchiatura per eseguire TAC è a Serekaniye.
Il governo siriano nega i tamponi e l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per poter continuare a operare nelle zone controllate dal regime, non è trasparente nei confronti dell’Amministrazione autonoma. Ad esempio, c’è stato un caso di corona virus in una famiglia ad Hasakah che è stata contagiata perché non era stata data comunicazione sulla presenza di un infetto. Questa poca trasparenza ha poi avuto effetto sulla vita di persone e di civili.
Per prevenire il contagio, a inizio marzo è stato cancellato il Newroz ed è stato attivato il confinamento per evitare che si diffondesse. Solo in questi ultimi giorni cominceranno lentamente le riaperture; le strade di Qamishlo sono state tutte sterilizzate, cosa che ad esempio non si vede in una città come Milano. Ciò che si sta facendo, ovviamente ha carattere più preventivo che emergenziale.
Nella tua esperienza personale in questi mesi di vita con loro, cosa ti ha colpita ed emozionata? Quali sono le ricchezze e le difficoltà che hai incontrato?
Tutti questi anni in cui ho cercato di raccontare attraverso i documentari e gli articoli hanno lasciato un segno. Queste esperienze mi hanno molto cambiata nel rapporto con le donne, mi hanno aiutata a dare senso all’essere femminista. Mi hanno arricchita tantissimo; è evidente che un periodo così lungo vissuto in quel contesto ti cambia profondamente. Sono sempre me stessa, ma arricchita. In questi ultimi mesi sono successe tantissime cose e non saprei dire un fatto specifico, però stare e vivere con le donne curde, imparare, ascoltare, capire ma anche aprirsi alle critiche, alle contraddizioni, è stata un’esperienza meravigliosa.
La tua esperienza ti ha fatto vivere la messa in pratica di una utopia che in Italia non c’è, siamo un Paese dove le ONG vengono criminalizzate e i movimenti alternativi non hanno spazio, che idee ti sono venute in mente?
Io credo che l’utopia si costruisca con il lavoro quotidiano. Non sono d’accordo che in Italia non ci siano reti e persone con cui costruire una alternativa simile. Io credo molto nella forza delle donne che fanno rete e stanno insieme. Il problema è scegliere il modo in cui stare insieme. Io questo l’ho imparato dalle donne curde. Personalmente faccio parte di un collettivo in cui questo modo lo stiamo costruendo e sono piena di speranza in questo progetto.
Quali azioni di sostegno ritieni possano essere più efficaci per noi attivisti per i diritti umani in Europa?
Come molti affermano, anch’io ritengo che in questo periodo sia necessario più che mai essere creativi e, invece di fare un lavoro di contrapposizione, fare un lavoro di sensibilizzazione. Ovviamente vanno valutate le situazioni specifiche, bisogna tenere sempre la guardia molto alta rispetto a quello che sta succedendo. Questo virus sta mettendo alla prova la nostra vecchia maniera di vivere e il fatto di non poter partecipare a manifestazioni di piazza, di non potersi incontrare di persona, complica molto le cose. Per questo è necessario mettere in campo la creatività e ricominciare a pensare come ognuna di noi possa dare solidarietà. Si possono sfruttare le tecnologie, che sono strumenti che dobbiamo necessariamente usare. Nessuno sa cosa succederà domani e bisogna fare il lavoro di rafforzarsi, parlarsi e guardarsi attraverso Internet, imparando a sfruttare tutti gli strumenti a nostra disposizione che magari prima non avremmo utilizzato.
[1] L’esercito delle FDS è una coalizione ombrello presente nel nord est della Siria che include mililzie curde e di altre popolazioni presenti nell’area. Le FDS sono costituite al 60% da milizie arabe.
Redatto dal gruppo di lavoro Medio Oriente e Nord Africa (MENA) della rete “In Difesa Di”, il Dossier offre una panoramica sulla situazione dei diritti umani e delle persone che difendono i diritti umani in area MENA.