L’anonimato Zarminia
Intervento sulla diffusione e l’uso della poesia afghana.
Iscriviti al canale YouTube di CISDA
Intervento sulla diffusione e l’uso della poesia afghana.
Iscriviti al canale YouTube di CISDA
“Noi alzeremo la nostra voce ancora più forte e continueremo la nostra resistenza e la nostra lotta per la democrazia e i diritti delle donne!”
RAWA
L’invasione dell’Afghanistan da parte degli USA e dei paesi NATO, fatta con il pretesto di sconfiggere il terrorismo e liberare le donne, è stata un gigantesco fallimento.
La guerra ha prodotto 241.000 vittime e oltre 3,5 milioni di sfollati ().Oggi l’Afghanistan produce il 90% dell’eroina mondiale, la corruzione all’interno delle cosiddette istituzioni afghane ha raggiunto livelli spaventosi (l’Afghanistan è al 165o posto su 180 paesi nelle statistiche di Transparency International) e il paese ha pochissime e gravemente carenti infrastrutture, scuole, ospedali.
In questi 20 anni di occupazione militare gli USA hanno speso 2.300 miliardi di dollari, la Germania 19 miliardi di euro e l’Italia 8,7 miliardi di euro.
La “liberazione delle donne” non è stata garantita: l’87% delle donne afghane è ancora analfabeta;le donne che hanno avuto la possibilità di studiare e lavorarecostituiscono un’esigua minoranza, usata dall’Occidente per dimostrare il successo dell’occupazione.
Quanto al terrorismo, oggi in Afghanistan è più che mai rampante; il paese è stato regalato ai talebani, dal 2015 è attiva la violentissima cellula ISIS Khorasan e i signori della guerra a cuinel 2001 la coalizione di potenze occidentali ha dato il potere sono pronti a rialzare la testa nel caso in cui i talebani non assicurino loro una fetta della torta.
Chiediamo che i governi e le istituzioni dei paesi dell’Unione Europea:
COSTRUIAMO INSIEME UNA RETE MONDIALE DI DONNE RESISTENTI
Un afgano ha raccontato al Cisda perché non è riuscito a imbarcarsi per l’Europa. Sfiorare la salvezza e non riuscire ad afferrarla. È quanto è capitato, ieri all’aeroporto di Kabul, alla famiglia di Ahmed (nome di fantasia per tutelare l’identità di un nostro conoscente). Nonostante avessero diritto ad accedere a uno dei voli verso un paese europeo, Ahmed, la moglie e i due bambini non ci sono riusciti a causa della calca e delle violenze dei talebani e hanno dovuto rinunciare a partire. Ora temono ritorsioni.
Questo il drammatico messaggio di Ahmed al Cisda (Coordinamento italiano sostegno donne afgane onlus).
“Io, mia moglie e i miei figli siamo andati all’aeroporto di Kabul nelle prime ore del mattino per essere evacuati. Abbiamo attraversato l’inferno. Non trovo le parole per descrivere la situazione.
Migliaia di persone cercano di entrare in aeroporto. Le ore che abbiamo trascorso lì erano un incubo. Ci sono stati momenti in cui eravamo senza fiato, mentre le persone spingevano e tiravano.
Molti avevano aspettato per giorni fuori dall’aeroporto. Abbiamo cercato continuamente di avvicinarci al cancello, ma persino spostarci di un centimetro era difficile. Tutti stavano cercando di fuggire dal paese, ma non sapevano come entrare nell’aeroporto. Mia moglie e i nostri due bambini hanno dovuto assistere alle scene peggiori della loro vita.”
“Come padre, è stato il momento più difficile, perché stavo facendo del mio meglio per portarli al sicuro dall’altra parte del muro verso un futuro migliore, ma assistevo alla loro
paura mentre venivamo picchiati senza pietà. I miei figli non avevano mai visto i talebani, ma ora hanno sperimentato la loro brutalità. Mi sentivo impotente, perché non potevo proteggerli mentre venivano picchiati. Ho dovuto supplicare i talebani di risparmiare almeno i bambini. I proiettili sono stati sparati indiscriminatamente e chiunque avrebbe potuto essere colpito. Non riuscivo a trattenere le lacrime, perché non avevo mai immaginato che i miei figli e la mia famiglia avrebbero vissuto l’umiliazione che avevo vissuto io 25 anni fa.”
“Mia moglie, laureata in legge e attivista, è stata picchiata sulla testa e si è sentita umiliata anche nell’animo. Mi ha detto che non aveva la forza di alzarsi in piedi dopo aver visto il nostro bambino impallidire e sul punto di svenire per la paura.
Mia figlia e mio figlio mi stringevano forte le mani. Piangevano, mi dicevano che saremmo stati uccisi e mi chiedevano di tornare a casa. Il mio bambino non riusciva a respirare per la paura e ho pensato che lo stavo perdendo. Mia figlia non urlava più. Le uscivano solo lacrime che le rigavano le guance.”
“Ho provato in tutti i modi a contattare qualcuno per chiedere aiuto, ma non è stato possibile. La mia famiglia ha attraversato l’inferno; inferno non è nemmeno la parola giusta. Volevo portarli lontano dal pericolo, invece li ho messi in pericolo e ora sono traumatizzati.”
“Da quando abbiamo lasciato l’aeroporto, la mia famiglia è così spaventata! I miei bambini temono che i talebani bussino alla porta, ci portino via e ci uccidano. Sto cercando di consolarli, ma le nostre vite sono a rischio e non so quali saranno le conseguenze, dopo che i talebani hanno visto che abbiamo tentato di imbarcarci e poi siamo tornati a casa.
Non volevo che i miei figli subissero quello che ho passato io 25 anni fa, nel brutale periodo dei talebani al potere. Le scene di oggi all’aeroporto mi hanno riportato alla mente quei ricordi.”
“C’è un grande peso sul mio cuore. Come proteggerò la mia famiglia? La vita è ingiusta. Forse abbiamo i giorni contati e non so quando busseranno alla nostra porta.
Ringrazio chi ha tentato di farci uscire dal paese, ma credo che questo non sia il modo giusto. All’aeroporto ci siamo sentiti come gettati di fronte ai lupi e ognuno faceva del suo meglio per sopravvivere. Ma siamo esseri umani, nessuno dovrebbe combattere contro gli altri e calpestare donne e bambini. Vogliamo un’evacuazione dignitosa!
So che più a lungo resteremo a Kabul, più sarà pericolosa la situazione che dovremo affrontare, ma, vedendo la mia famiglia traumatizzata e rischiando di perdere i miei figli nel caos, dopo più di 20 ore di attesa non abbiamo potuto fare altro che tornare a casa.”
La situazione va irrimediabilmente e drammaticamente precipitando in Afghanistan. Mentre appaiono evidenti le responsabilità in primo luogo di chi ha intrapreso e sostenuto la guerra e condotto 20 anni di occupazione in Afghanistan, riteniamo adesso necessaria un’azione rapida e coordinata da parte dell’Italia e dell’Europa per evitare ulteriori disastri umani e sociali: una iniziativa per facilitare un rapido rientro in dignità e sicurezza della popolazione civile che chiede di abbandonare il paese, sentendosi in pericolo e altre iniziative tese a proteggere chi decide di restare nel paese o non può fare altrimenti.
Non bastano le dichiarazioni e gli appelli al rispetto delle vite, bisogna agire concretamente.
L’attenzione dell’Italia e dell’Europa verso l’Afghanistan non può cessare con la fine della presenza militare internazionale così come l’impiego di risorse non può terminare per i risultati fallimentari, compreso il processo di cosiddetta democratizzazione nell’ultimo ventennio.
Lo dichiarano a chiare lettere anche gli esperti indipendenti delle Nazioni Unite nel loro comunicato congiunto1 ricordando che la comunità internazionale, dopo vent’anni di lavoro nella repubblica islamica dell’Afghanistan, non può oggi dimenticare gli sforzi compiuti per ridare dignità alle vite dei cittadini e delle cittadine afgane. Lo stesso comunicato, richiamando il ruolo del Consiglio ONU sui Diritti Umani di cui l’Italia fa parte, ricorda agli Stati Membri la necessità di mantenere aperti i propri confini al fine di accogliere i richiedenti asilo provenienti dall’Afghanistan, garantendo altresì aiuto umanitario tanto ai rifugiati che agli sfollati interni.
In questo momento bisogna rispondere all’urgenza umanitaria e facilitare quindi l’uscita di tutti coloro che a qualsiasi titolo abbiano collaborato con il personale civile o militare straniero, i gruppi più vulnerabili o che possano risultare invisi al governo talebano, al di là della loro propaganda.
Occorre tuttavia guardare anche oltre l’emergenza attuale e considerare chi resta nel paese determinato a continuare a lottare per i diritti umani e con grandi necessità materiali.
Riteniamo che il nostro paese debba prendere una posizione chiara e pubblica in sostegno alle proposte dei Relatori Speciali ed attivarsi in seno al Consiglio ONU affinchè le stesse vengano appoggiate dagli stati membri.
Oltre alle misure di sostegno a chi decide o è forzato a lasciare il paese, i Relatori Speciali raccomandano le seguenti iniziative che andranno sostenute anche dal nostro paese:
È inoltre urgente sostenere anche economicamente le associazioni per i diritti delle donne e per i diritti umani in generale e con programmi e azioni di cooperazione internazionale civile la popolazione afgana che resterà nel paese esposta a rischi di violenza e discriminazioni. A questo scopo va potenziata/ripristinata la collaborazione con le organizzazioni della società civile che continueranno strenuamente a lottare per i diritti, come nel caso di RAWA e altre associazioni di donne e di difesa dei diritti umani. È il tempo della solidarietà.
Agosto 2021
Firmano le seguenti associazioni della Rete In Difesa Di:
AIDOS, AOI, ARCI, CGIL, CISDA, CIPSI, COSPE, Centro Diritti Umani Antonio Papisca (Univ. Padova), Cultura è Libertà, Forum Trentino per la pace e i diritti umani, Giuristi democratici, HRIC,
ISCOS, Lega per i Diritti dei Popoli, Osservatorio Solidarietà della Carta di Milano, Terra Nuova, Un Ponte Per, YAKU
Aderiscono:
AssopacePalestina, Associazione Orlando Bologna
Le seguenti associazioni della Società della Cura:
ATTAC Italia, Alleanza per il clima, la cura della terra, la giustizia sociale, Amici della Ludoteca Aps, Associazione culturale Punto Rosso, Associazione AltraMente, Associazione per il Rinnovamento della Sinistra, Associazione Le Nove, Associazione Tiapaia (TN), Associazione Alma Terra (Mola di Bari), Associazione L’Altra Europa (Lab.VE), Associazione Albatros Lab. Teatrale e Centro Solidarietà (Alba), FAIR, IFE, Presidio Europa NoTAV, Casa dei Circoli, culture e popoli (Ceriale), ComuneRoero OdV, Comunità La Collina (Serdiana), Cobas Scuola VE, Centro Giorgio La Pira, Comitato Stop TTIP (UD), Gruppo di acquisto solidale del Parco (MI), Gruppo Femm SdC, Deposito dei Segni, Tempi di Fraternità (AT), Laudato Sì, Medicina Democratica, Comitato Fermiamo la guerra e Rete antirazzista (FI), Comitato Milanese Acqua Pubblica, Pacifiste/i dell’ora di silenzio per la Pace, Un’Altra storia Aps, Shaharazad Aps, Pressenza, ONG 2.0, Unione Forense per la tutela dei diritti, WILPF Italia
Rosalba Reggio de Il Sole24ore intervista Gabriella Gagliardo, presidente di CISDA, Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane Onlus.
E’ una realtà difficile quella che le donne afghane stanno affrontando nel loro Paese, a causa del ritiro definitivo delle forze armate americane. Il nuovo regime talebano sta facendo tornare la popolazione indietro nel tempo, cancellando i limitati diritti guadagnati faticosamente nel tempo. Le donne che si sono più esposte per la libertà rischiano la vita e vivono in clandestinità, mantenendo aperti i canali di comunicazione con le reti di aiuto ed esortando le studentesse a studiare per non perdere l’occasione di un futuro migliore.
Un Afghanistan che non si conosce ma che continua a tener vivo un pezzo fondamentale della società civile afghana: è quello delle organizzazioni laiche e progressiste guidate da donne. Ne parliamo con Cristiana Cella e Gabriella Gagliardo, attiviste di CISDA, che ci presentano anche la Staffetta Femminista Italia – Afghanistan.
(dal minuto 6:10)
Ascolta il podcast