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Autore: Patrizia Fabbri

La situazione degli sfollati afghani nei campi profughi interni

Sono all’incirca due mesi che stanno lì in quelle condizioni, non hanno niente da mangiare, tre bambini sono morti a causa di fame freddo e malattie. “Il responsabile dei rifugiati ci ha tagliato tutti gli aiuti internazionali promettendo di riportarci nelle nostre province” Ma gli sfollati sono ancora qui da più di un mese e nessuno è venuto in loro aiuto, alcuni per sfamare i propri figli vanno a mendicare. “Dall’arrivo degli americani, non c’è stato altro risultato che spargimento di sangue, vittime, povertà e miseria, la morte è meglio di questa situazione”

Grazie!

Care sostenitrici e cari sostenitori,
da due mesi a questa parte abbiamo capito quanto, nei passati venti anni, la nostra piccola associazione sia riuscita a seminare; il nostro impegno nel far sì che l’Afghanistan non venisse dimenticato ha prodotto, allo scoppiare della crisi e alla presa del potere da parte dei talebani, un fiume di solidarietà e di attenzione nei confronti nostri ma soprattutto delle nostre compagne di RAWA e di tutti i compagni e compagne afghani che in questi anni abbiamo testardamente continuato a sostenere e a incontrare, in Italia e nella loro terra.

Questo fiume ininterrotto di solidarietà ha prodotto dozzine di incontri, di interviste, di contatti di cui vogliamo fare tesoro, ma anche, nel concreto, 170.000 euro di donazioni, che stanno crescendo via via che passano i giorni.

Le vostre donazioni andranno a buon fine e saranno destinate:

  • alle nostre compagne di RAWA, che sono rimaste nel loro paese per portare avanti la loro lotta politica e il lavoro di base che hanno sempre fatto, soprattutto con le donne: classi di alfabetizzazione, microcredito, aiuto a fuggire da una situazione di violenza, assistenza medica ai più poveri;
  • ai compagni e alle compagne di Hambastagi che portano aiuto a coloro che sono scappati dalla guerra e che si trovano in campi di sfollati e andranno incontro a un inverno durissimo;
  • alle ospiti della casa per donne maltrattate di Hawca, che oggi sono state messe in luoghi sicuri, in cui non temere altre violenze;
  • alle bambine e ai bambini degli orfanotrofi di AFCECO, anche loro portati in luoghi sicuri, per assicurargli di continuare a vivere con dignità;
  • alle donne che coltivano lo zafferano, che stanno portando avanti il loro lavoro nel campo.

Da parte di tutte noi un grosso grazie per la fiducia che avete riposto in noi; continueremo, per quanto possiamo, a portare attenzione sull’Afghanistan e sulle sue genti, vittime di guerre e fondamentalismi da quarant’anni, e a essere solidali con coloro che hanno deciso di restare e lottare.

Commissione Esteri del Parlamento italiano – Audizione su discriminazioni e crisi umanitaria in Afghanistan

Alle ore 9, il Comitato permanente sui diritti umani nel mondo, istituito presso la Commissione Esteri, in merito all’indagine conoscitiva sull’impegno dell’Italia nella comunità internazionale per la promozione e tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni ha svolto,in videoconferenza, l’audizione di rappresentanti della Revolutionary association of the women of Afghanistan (Rawa), con particolare riferimento alla crisi umanitaria in Afghanistan. L’appuntamento è stato trasmesso in diretta anche sul canale satellitare.

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Uniamoci alla resistenza delle donne afghane

“Noi alzeremo la nostra voce ancora più forte e continueremo la nostra resistenza e la nostra lotta per la democrazia e i diritti delle donne!”

RAWA

L’invasione dell’Afghanistan da parte degli USA e dei paesi NATO, fatta con il pretesto di sconfiggere il terrorismo e liberare le donne, è stata un gigantesco fallimento.

La guerra ha prodotto 241.000 vittime e oltre 3,5 milioni di sfollati ().Oggi l’Afghanistan produce il 90% dell’eroina mondiale, la corruzione all’interno delle cosiddette istituzioni afghane ha raggiunto livelli spaventosi (l’Afghanistan è al 165o posto su 180 paesi nelle statistiche di Transparency International) e il paese ha pochissime e gravemente carenti infrastrutture, scuole, ospedali.

In questi 20 anni di occupazione militare gli USA hanno speso 2.300 miliardi di dollari, la Germania 19 miliardi di euro e l’Italia 8,7 miliardi di euro.

La “liberazione delle donne” non è stata garantita: l’87% delle donne afghane è ancora analfabeta;le donne che hanno avuto la possibilità di studiare e lavorarecostituiscono un’esigua minoranza, usata dall’Occidente per dimostrare il successo dell’occupazione.

Quanto al terrorismo, oggi in Afghanistan è più che mai rampante; il paese è stato regalato ai talebani, dal 2015 è attiva la violentissima cellula ISIS Khorasan e i signori della guerra a cuinel 2001 la coalizione di potenze occidentali ha dato il potere sono pronti a rialzare la testa nel caso in cui i talebani non assicurino loro una fetta della torta.

Chiediamo che i governi e le istituzioni dei paesi dell’Unione Europea:

  • non forniscano nessun riconoscimento al regime dei talebani;
  • avviino azioni di supporto alle forze laiche e democratiche afghane come RAWA (RevolutionaryAssociation of the Women of Afghanistan, http://www.rawa.org/index.php) e Hambastagi (Solidarity Party of Afghanistan, http://hambastagi.org/new/en/);
  • dicano “basta” a imperialismo, militarismo, fascismo e fondamentalismo religioso e smettano di usare i diritti delle donne per altri interessi;
  • cessino la politica di contenimento delle migrazioni fondata sull’esternalizzazione e la militarizzazione delle frontiere e cancellino qualsiasi pratica di respingimentoe detenzione;
  • organizzino corridoi umanitari e ponti aerei per l’evacuazione immediata di coloro che sono in pericolo;
  • blocchino, anche attraverso il disinvestimento nell’industria degli armamenti, il ciclo perverso delle “guerre infinite” che imprigiona l’Afghanistan e buona parte delle popolazioni del Medioriente;
  • istituiscanoun osservatorio speciale per il monitoraggio delle violazioni dei diritti delle donne e dei diritti umani in Afghanistan;
  • cessino di ubbidire in silenzio ai diktat degli Stati Uniti e di partecipare alle loro guerre, che portano solo più fondamentalismo, più emigrazione, più povertà; rendano conto del loro operato in questi lunghi 20 anni di guerra in Afghanistan.

COSTRUIAMO INSIEME UNA RETE MONDIALE DI DONNE RESISTENTI

talebani hanno picchiato i miei bambini all’aeroporto

Un afgano ha raccontato al Cisda perché non è riuscito a imbarcarsi per l’Europa. Sfiorare la salvezza e non riuscire ad afferrarla. È quanto è capitato, ieri all’aeroporto di Kabul, alla famiglia di Ahmed (nome di fantasia per tutelare l’identità di un nostro conoscente). Nonostante avessero diritto ad accedere a uno dei voli verso un paese europeo, Ahmed, la moglie e i due bambini non ci sono riusciti a causa della calca e delle violenze dei talebani e hanno dovuto rinunciare a partire. Ora temono ritorsioni.
Questo il drammatico messaggio di Ahmed al Cisda (Coordinamento italiano sostegno donne afgane onlus).
“Io, mia moglie e i miei figli siamo andati all’aeroporto di Kabul nelle prime ore del mattino per essere evacuati. Abbiamo attraversato l’inferno. Non trovo le parole per descrivere la situazione.
Migliaia di persone cercano di entrare in aeroporto. Le ore che abbiamo trascorso lì erano un incubo. Ci sono stati momenti in cui eravamo senza fiato, mentre le persone spingevano e tiravano.
Molti avevano aspettato per giorni fuori dall’aeroporto. Abbiamo cercato continuamente di avvicinarci al cancello, ma persino spostarci di un centimetro era difficile. Tutti stavano cercando di fuggire dal paese, ma non sapevano come entrare nell’aeroporto. Mia moglie e i nostri due bambini hanno dovuto assistere alle scene peggiori della loro vita.”
“Come padre, è stato il momento più difficile, perché stavo facendo del mio meglio per portarli al sicuro dall’altra parte del muro verso un futuro migliore, ma assistevo alla loro
paura mentre venivamo picchiati senza pietà. I miei figli non avevano mai visto i talebani, ma ora hanno sperimentato la loro brutalità. Mi sentivo impotente, perché non potevo proteggerli mentre venivano picchiati. Ho dovuto supplicare i talebani di risparmiare almeno i bambini. I proiettili sono stati sparati indiscriminatamente e chiunque avrebbe potuto essere colpito. Non riuscivo a trattenere le lacrime, perché non avevo mai immaginato che i miei figli e la mia famiglia avrebbero vissuto l’umiliazione che avevo vissuto io 25 anni fa.”

“Mia moglie, laureata in legge e attivista, è stata picchiata sulla testa e si è sentita umiliata anche nell’animo. Mi ha detto che non aveva la forza di alzarsi in piedi dopo aver visto il nostro bambino impallidire e sul punto di svenire per la paura.
Mia figlia e mio figlio mi stringevano forte le mani. Piangevano, mi dicevano che saremmo stati uccisi e mi chiedevano di tornare a casa. Il mio bambino non riusciva a respirare per la paura e ho pensato che lo stavo perdendo. Mia figlia non urlava più. Le uscivano solo lacrime che le rigavano le guance.”
“Ho provato in tutti i modi a contattare qualcuno per chiedere aiuto, ma non è stato possibile. La mia famiglia ha attraversato l’inferno; inferno non è nemmeno la parola giusta. Volevo portarli lontano dal pericolo, invece li ho messi in pericolo e ora sono traumatizzati.”
“Da quando abbiamo lasciato l’aeroporto, la mia famiglia è così spaventata! I miei bambini temono che i talebani bussino alla porta, ci portino via e ci uccidano. Sto cercando di consolarli, ma le nostre vite sono a rischio e non so quali saranno le conseguenze, dopo che i talebani hanno visto che abbiamo tentato di imbarcarci e poi siamo tornati a casa.
Non volevo che i miei figli subissero quello che ho passato io 25 anni fa, nel brutale periodo dei talebani al potere. Le scene di oggi all’aeroporto mi hanno riportato alla mente quei ricordi.”
“C’è un grande peso sul mio cuore. Come proteggerò la mia famiglia? La vita è ingiusta. Forse abbiamo i giorni contati e non so quando busseranno alla nostra porta.
Ringrazio chi ha tentato di farci uscire dal paese, ma credo che questo non sia il modo giusto. All’aeroporto ci siamo sentiti come gettati di fronte ai lupi e ognuno faceva del suo meglio per sopravvivere. Ma siamo esseri umani, nessuno dovrebbe combattere contro gli altri e calpestare donne e bambini. Vogliamo un’evacuazione dignitosa!
So che più a lungo resteremo a Kabul, più sarà pericolosa la situazione che dovremo affrontare, ma, vedendo la mia famiglia traumatizzata e rischiando di perdere i miei figli nel caos, dopo più di 20 ore di attesa non abbiamo potuto fare altro che tornare a casa.”