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Autore: Patrizia Fabbri

Afghanistan: voci di donne dal buio

È il  diritto di vivere che manca. Le donne scomparse dietro i  drappi neri e tra le pieghe del burka, lottano per riprenderselo.

’Dovevo uscire a comprare  del filo, mi serve per il mio lavoro di sarta. Il primo ordine da molti mesi, devo approfittarne. La stoffa nera mi inghiotte, tutta coperta, un vecchio corvo, solo gli occhi respirano, vedono, li vedono. Avanzano dal fondo della strada, fermano la macchina, scendono , sono tre, armati. Puntano dritto su di me. Gridano , non si sa perché. La mia mente corre veloce, è tutto a posto? Sono in regola? sono coperta come vogliono loro, il cuore accelera… no, i guanti neri non li ho. Ci sono 45 gradi all’ombra. Sudo tanto che li vedo traballare in un immagine acquatica. Sono  sola, per strada. Ecco ho disobbedito. Gridano, mi spingono, sono una schifosa puttana, sì perché sono uscita a comprare del filo, senza un dannato uomo, senza i guanti…mi sento un pupazzo nelle loro mani. Nessuno mi proteggerà, tutti hanno paura. Mi accorgo che sto tremando. Mi malmenano, sempre senza smettere di urlare, mi danno un calcio, cado, se ne vanno garantendomi la loro punizione per la prossima volta. Mi arresteranno e mi frusteranno. Questo il programma. Ma per questa volta è andata bene. Avevano fretta. Mi asciugo il sudore, respiro, mi nascondo, aspettando che la macchina sparisca. Ora, finalmente, posso comprare il mio filo.’

Così racconta Amina, piccola, tenace, sarta di 16 anni.

‘Qui si soffoca. La vita è diventata così pesante che non riesci nemmeno a respirare. Se i Talebani fossero capaci di portar via l’ossigeno da dentro i nostri polmoni, lo farebbero.’Shazia, quattro figlie femmine,  è esasperata. I divieti per le donne sono ovunque, non ci sono leggi, solo ordini, ogni volta diversi. Ogni giorno se ne inventano di nuovi. ‘Così ti tengono sempre sul chi vive, sull’orlo dell’errore, di una punizione possibile’.

I disturbi mentali, la depressione, soprattutto i suicidi , sono in forte aumento tra le donne.

‘Cerco in tutti i modi di essere forte- dice Samia, vedova, con una famiglia da mantenere-  ma la situazione di adesso è molto stressante, siamo sotto pressione, incerte, spaventate. A volte  non riesco nemmeno più a prendermi cura di me stessa in modo appropriato. Devo vendere ‘bolani’ ( focacce di pasta fritta ripiene di verdure) per strada, per poter nutrire la mia famiglia. E’ dura, la gente non ha niente,  non ha nemmeno soldi per mangiarsi un bolani. Ma  il peggio è che ogni giorno sono minacciata dai talebani. Mi gridano in faccia con il fucile puntato  perché non sto a casa come dovrei. Mi ripetono che sono una prostituta, che sotto la copertura dei bolani  cerco clienti. Devo sopportare tutto questo, non mi faccio colpire dalle loro parole e dai loro gesti, non li ascolto. Cambio ogni giorno strada. Ogni giorno cucino di nuovo i bolani che mi hanno rubato.  Se dovessi restare chiusa in casa, come vogliono loro, moriremmo tutti di fame.”

Si fa di tutto per non morire di fame. La maggior parte della gente non ha posto per altri pensieri.  L’inverno scorso ha decimato la popolazione, specialmente i bambini.

Bambini in vendita. Vendere in sposa una piccola, anche di tre o quattro anni,  può significare la sopravvivenza degli altri figli. Anche i piccoli maschi si vendono. Anche parti del corpo, come i reni, 400 dollari, anche quelli dei bambini, i genitori cercano di convincere i medici riottosi. Anche loro possono vivere con un solo rene, ma nessuno può vivere senza mangiare.

 

Per leggere l’articolo completo vai su Globalist

 

Intervista ad Hambastagi

La persona con cui parliamo non ha la videocamera accesa. Per partecipare all’intervista, ha avuto accesso alla connessione a internet in un ufficio di una ONG, dove lavora un conoscente.

Chiedo se il tempo è bello lì: è estate. Mi dice subito che il clima politico invece è molto teso. Anche la popolazione afgana è stata colpita dal corona virus, la seconda grande ondata è in corso in questo momento e sta facendo molti morti, ma la gente ha ben altro di cui preoccuparsi. Il fatto che le forze NATO, e gli Stati Uniti in primis, stiano lasciando il paese, è un evento che solleva molti interrogativi per il futuro.

Eccoci qui, a 20 anni dall’invasione delle forze NATO, in particolare quelle statunitensi, a parlare della riconquista dei talebani. A parlare della loro possibile partecipazione al governo. Centinaia di miliardi di dollari dopo, una cifra equivalente al piano Marshall, un’Afghanistan distrutto e in preda alla guerra. Decine di migliaia di morti. Nel 2001 il progetto di ricostruzione prevedeva di instaurare una “democrazia di mercato”. Ciò che questo progetto è diventato è un governo transazionale [1] in cui la partecipazione degli afgani è solo di facciata, in cui i principali beneficiari dell’aiuto internazionale sono i paesi donatori, le imprese internazionali, qualche élite afgana. Di democratico non c’è niente, solo la corruzione è diffusa quanto i campi d’oppio, e le frodi elettorali non aiutano la popolazione a dare un senso a tutto questo circo.

Hambastagi, il partito della solidarietà, ha sempre affermato di essere contrario all’occupazione straniera. Ha sempre rivendicato la liberazione del paese, la giustizia per le vittime di oltre 40 anni di guerre e la partenza delle truppe NATO. Ma, aggiunge “per noi, liberazione del paese significa partenza delle truppe ma anche la fine dei finanziamenti stranieri a tutti i signori della guerra, alle milizie, ai gruppi terroristici.” Dicono di voler lasciare il paese, ma continueranno a finanziare milizie per procura, e a manovrare il loro governo fantoccio; questa per Hambastagi non è una vittoria.

I militanti del partito sono preoccupati per la maniera, non più ufficiale, con cui gli Stati Uniti tenteranno di restare in Afghanistan. Certo, gli USA supportano già il vicino e influente Pakistan collaborando con l’ISI, il servizio segreto pachistano. Gli Stati Uniti lasceranno in Afghanistan gli uomini di diverse potenti agenzie di contractors e cellule di intelligence che non figurano nell’accordo firmato con i talebani e che rimarranno probabilmente nel paese ben oltre l’11 settembre, data simbolica scelta da Joe Biden per formalizzare la partenza. Lo scopo finale, dice, è quello di permettere ai talebani di arrivare al governo. “Non sappiamo se saranno inclusi nel governo esistente, o se tutto l’apparato governativa sarà nelle loro mani.”

“Quello che constatiamo ogni giorno qui in Afghanistan, è che i talebani stanno guadagnando terreno, anche con la complicità del governo”. Inizialmente, sono riusciti a guadagnare consenso sul rancore del popolo verso le élites al potere. Nessuno ha dimenticato gli orrori degli anni ‘90 sotto il loro regime, ma in qualche modo i talebani negli anni passati erano sono riusciti a mettere in piedi una propaganda convincente. Oggi, in quest’opera di riconquista delle provincie e soprattutto delle periferie delle grandi città, stanno perdendo credibilità agli occhi della gente. Prima di attaccare una zona, inviano lettere alla popolazione intimando loro di arrendersi, o distruggeranno tutto. Che il popolo si arrenda o meno, entrano nella provincia o nel distretto e distruggono le scuole, le cliniche, gli uffici amministrativi. Impongono di partecipare alla preghiera, alle donne di indossare il burka, di uscire solo se accompagnate da un membro maschile della famiglia e di lasciare la scuola. Le donne sono costantemente sotto pressione. Ai ragazzi maschi è permesso andare a scuola, però spesso l’istituto educativo che frequentavano è stato trasformato in una scuola coranica, in una base operativa o altro, e gli/le insegnanti sono dovuti scappare, per paura di essere arrestati o uccisi. Giornalisti, medici, infermieri spariscono o vengono assassinati. La gente ha paura. Alcune famiglie vengono cacciate dalle loro case, occupate dalle milizie. Per molti ormai non c’è più differenza tra il governo e i talebani. In alcune provincie la violenza dilaga: Kandahar, Farah, Bamyan, Takhar e Badakhshan vedono molti dei loro distretti in guerra. Il discorso che i talebani tengono sul loro cambiamento, e sull’apertura ai diritti delle donne, è tutta fuffa. “Sono più selvaggi e folli che negli anni ‘90”.

“Posso farvi un esempio. Due settimane fa, i talebani hanno attaccato due distretti vicini, a 45 minuti da Bamyan. Sapete bene che nel passato, anche a Kabul, i loro crimini contro la minoranza hazara sono sempre stati feroci. La popolazione di questi distretti ha ricevuto delle lettere da parte dei talebani dicendo che se si fossero arresi, sarebbero stati tutti perdonati e non ci sarebbe stata guerra. È la stagione del raccolto qui a Bamyan, ci sono le albicocche pronte e altri frutti o verdure. La provincia vive di agricoltura. La guerra porta con sé distruzione, perdita dei raccolti e la popolazione di quest’area non se lo può permettere. Quindi hanno lasciato tutto nelle mani dei talebani, come richiesto nella lettera. Li hanno lasciati entrare. I compagni di Hambastagi hanno dovuto evacuare la città. Sono andati a rifugiarsi in un villaggio più lontano. I talebani sono entrati nella zona, hanno razziato, bruciato le scuole, i banchi e le sedie. Hanno arrestato gli ufficiali del governo, li hanno privati di cibo e torturati. In due giorni, il popolo ha visto coi propri occhi che i talebani mentono, sono gli stessi di sempre. La popolazione è tornata a supportare il governo.” Il nostro interlocutore ha spesso scherzato dicendo che “Bamyan è come la Svizzera dell’Afghanistan. Adesso non è più così”.

I media stanno avendo un ruolo fondamentale nella preparazione della popolazione all’arrivo dei talebani. Anche Tolo News, canale TV fondato dall’ambasciata americana e molto seguito, trasmette immagini sulle conquiste e distruzioni dei talebani, mostrando il movimento come molto potente. In questo modo il canale contribuisce alla loro propaganda. Su Tolo, i talebani insistono sulla loro volontà di ottenere un accordo su un nuovo governo, prima di accettare un qualsiasi “cessate il fuoco”.

Ufficialmente, il canale TV si posiziona contro la partenza delle truppe americane, sottolineando i numerosi problemi che questa implicherà. In questo periodo, la redazione di Tolo News subisce anche una censura da parte dei talebani, che hanno intimato al canale di non dare più spazio a determinati personaggi scomodi, tra cui la portavoce di Hambastagi, Selay Ghaffar.

Secondo Hambastagi, gli Stati Uniti stanno lasciando il controllo del paese in mano al Pakistan, in stretta collaborazione con i talebani, e alla Turchia. In luglio, il presidente turco ha dichiarato di essere favorevole alla proposta americana di assumere il controllo dell’aeroporto di Kabul. Al contempo, ha elencato delle condizioni tra cui il sostegno diplomatico alla Turchia e la consegna degli impianti e della logistica finora in mano agli Stati Uniti. I talebani non sono d’accordo con questa transazione che, di fatto, li esclude dal controllo dell’aeroporto e lo affida nelle mani di uno stato membro della NATO. Erdogan si dichiara fiducioso e preparerà delle sessioni di incontro con i vertici del movimento. Nel frattempo, delle milizie di Daesh provenienti dalla Siria e dall’Irak stanno entrando in Afghanistan. Il 20 luglio, primo giorno dell’Eid, lo Stato Islamico ha rivendicato l’attacco terroristico al palazzo presidenziale afgano. Hanno lanciato sette missili, di cui 3 hanno colpito il palazzo.

Nonostante questa situazione estremamente fragile, quella parte di popolazione afgana che resiste, da 40 anni, ha deciso di non abbandonare il campo. Quelle donne e quegli uomini che si battono per creare un’alternativa e ricostruire per davvero il paese martoriato dalla guerra, sono sempre lì e, come durante il passato regime dei talebani, tengono un profilo basso ma continuano a portare avanti la loro lotta. Per il momento, dicono, non possiamo affermarci e combattere contro di loro. “Abbiamo bisogno di un’organizzazione più forte, diffusa, di una guida per il nostro popolo, ma soprattutto abbiamo bisogno che la popolazione afgana creda che un’alternativa democratica su scala nazionale sia possibile. Non siamo pronti.” Guardano al Kurdistan, ma hanno ben presente le differenze tra la due realtà. Sono certi che esiste un’alternativa afghana al governo transnazionale, alla corruzione endemica e all’estremismo religioso. Un’alternativa unica nel suo genere, che rappresenti il popolo afghano nelle sue diversità, nella sua complessità. Un’alternativa, che stanno costruendo.

[1]  Dorronsoro, Gilles. « Le gouvernement transnational de l’Afghanistan. Une si prévisible défaite ». Ed. Karthala (Paris, 2021).

Laura Quagliolo è un’attivista di CISDA

 

Campagna Stand UP With Afghan Women

La rete di Coalizione euro-afghana ha promosso la campagna Stand Up With Afghan Women.

Stand Up With Afghan Women! nasce nel giugno 2022 dalla collaborazione tra Cisda, RAWA, Hambastagi e Large Movements nell’ambito della rete di Coalizione euro-afghana per la democrazia e la laicità, network di organizzazioni già impegnate a vario titolo nella loro azione quotidiana, per la difesa dei diritti umani.

Scarica qui il Comitato promotore e le Organizzazioni aderenti

Lancio della Campagna Stand Up With Afghan Women

Da fine giugno 2022, dopo intensi mesi dedicati ad aggregare sempre più contatti tenendo aperto lo scambio con le attiviste e gli attivisti afghani, la rete di Coalizione euro-afghana lancia la CAMPAGNA STAND UP WITH AFGHAN WOMEN! attivando una Petizione incentrata su 4 obiettivi:

  • Non riconoscimento del Governo dei Talebani
  • Autodeterminazione del popolo afghano
  • Riconoscimento politico delle forze afghane progressiste e messa al bando di personaggi politici legati ai partiti fondamentalisti
  • Monitoraggio sul rispetto dei diritti umani

Invio della petizione

La petizione, aperta alle adesioni collettive e a quelle individuali (che abbiamo aggregato grazie alla piattaforma Change), si è conclusa il 25/11/23 e, in occasione delle celebrazioni per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il 25 novembre 2023, il Coordinamento Italiano a Sostegno delle Donne Afghane (CISDA), Large Movements Aps e AltrEconomia, insieme alle associazioni afghane Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (RAWA) e Hambastagi (Partito della Solidarietà) hanno inviato all’attenzione delle istituzioni italiane, europee e internazionali la petizione “Stand Up With Afghan Women” .

Leggi il Comunicato stampa .

Se 1.200 vi sembran tanti!

CISDA con Linea d’Ombra, Stopborderviolence, Le Veglie contro le morti in mare, Melitea, Cospe, Amici di Emmaus Piadena lanciano un appello al governo Draghi per l’estensione dei corridoi umanitari alle persone a rischio di vita e di persecuzione in Afghanistan, rimaste escluse dalla lista dei 1200 finora inseriti. Per avere tutte le info per contribuire, seguire l’evoluzione dell’azione comune e l’aggiornamento delle adesioni clicca qui.

La rete di Coalizione euro-afghana sostiene la campagna Se 1.200 vi sembran tanti!  nell’ottica del sostegno alle forze laiche e democratiche  afghane – RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan) e a Hambastagi (Solidarity Party of Afghanistan) e di  creare una alleanza tra queste e le Associazioni e le Reti Europee che, pur agendo in ambiti specifici, quali ad esempio il disarmo, pace e antimilitarismo, eguaglianza di genere, questione migratoria, fuoriuscita dalla Nato, individuino terreni comuni di azione per promuovere una reale democrazia sia in Afghanistan, sia in Italia e in Europa.

Essere parte attiva della rete di Coalizione euro-afghana significa anche agire in un’ottica di sostegno reciproco per mandare a buon fine le campagne e le azioni promosse o adottate dalla coalizione.

Il popolo afghano tra migrazioni forzate e lotta per la propria autodeterminazione

FeministAsylum

La rete di Coalizione euro-afghana sostiene la campagna FeministAsylum.

Cisda ha deciso di rispondere all’appello delle forze laiche e democratiche  afghane – RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan) e a Hambastagi (Solidarity Party of Afghanistan) e di  creare una alleanza tra queste e le Associazioni e le Reti Europee che, pur agendo in ambiti specifici, quali ad esempio il disarmo, pace e antimilitarismo, eguaglianza di genere, questione migratoria, fuoriuscita dalla Nato, individuino terreni comuni di azione per promuovere una reale democrazia sia in Afghanistan, sia in Italia e in Europa.

Essere parte attiva della rete di Coalizione euro-afghana significa anche agire in un’ottica di sostegno reciproco per mandare a buon fine le campagne e le azioni promosse o adottate dalla coalizione.

La petizione europea FeministAsylum per garantire il diritto alla protezione internazionale per donne, ragazze e persone LGBTIQA+

Clicca qui per avere le info e i risultati conseguiti dalla rete europea di 261 organizzazioni coordinate dalla sede svizzera della Marcia Mondiale delle Donne:

La campagna si è conclusa il 18/05/22 a Bruxelles con la conferenza stampa di consegna delle firme raccolte al Parlamento Europeo. Cisda onlus, nell’ambito delle azioni promosse dalla coalizione euro-afghana e dal progetto Staffetta Femminista Italia-Afghanistan, ha contribuito all’iniziativa segnalando una delle testimoni – Nahid A., giovanissima attivista afghana sulla rotta balcanica.

Insieme ad una rappresentanza delle organizzazioni promotrici e alle altre testimoni presenti all’evento, Nahid ha portato all’attenzione dei parlamentari e dei giornalisti la propria denuncia sulla violenza subita ai confini europei. Clicca qui per saperne di più.