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Autore: Patrizia Fabbri

Nadia

Nadia vive a Bamyan e ha 28 anni. “8 anni fa, quando mi hanno detto che mi sarei sposata, ero molto felice. Lo ero perché conoscevo il mio futuro sposo, era un bel ragazzo e anche un uomo istruito. Nel primo anno del nostro matrimonio ho vissuto i più bei giorni della mia vita. Non era ricco mio marito, era un contadino, ma avevamo un bel posto dove vivere, una casa carina e abbastanza da mangiare. È nato il mio primo figlio, eravamo una piccola famiglia felice.
Il secondo anno del nostro matrimonio è stato l’inizio del baratro in cui è sprofondata la mia vita. Mio marito ha fatto amicizia con un gruppo di persone tossicodipendenti e ha cominciato anche lui a gettare via la sua vita. Col passare del tempo ha perso tutto, ha venduto tutto quello che aveva, la sua terra, le proprietà, tutto, per comprarsi la droga.
Stava tutto il giorno con i suoi amici drogati e rientrava a casa solo per mangiare o cercare altri soldi. Si è venduto anche tutti i mobili di casa. Ho provato a fermarlo, eccome se ci ho provato! Ma ogni volta che cercavo di farlo ragionare, lui mi picchiava e mi minacciava di uccidermi.
Nei sette anni seguenti sono diventata madre di altri due bambini. Ha continuato a picchiare me e i miei piccoli e di noi non gli importava più niente.
Ricordo quando nacque il mio primo bambino, lui era così felice e si occupava di noi con affetto. Ma ora è diventato un animale feroce, selvaggio, e gli importa solo di potersi procurare l’eroina. Non c’è nient’altro nella sua mente e nel suo cuore, solo quella maledetta polvere. In tutti questi terribili anni, mio padre che è un contadino molto anziano, ci ha aiutato e sostenuto ma, adesso, è malato e non può più farlo. Ho dei problemi agli occhi e alle orecchie e, siccome non ho mai potuto curarmi, peggiorano ogni giorno. Adesso non posso sentire né vedere bene e ho bisogno di soldi per curarmi.
Per questo ho deciso che l’unica cosa che posso fare è vendere uno dei miei figli per potermi curare e riuscire ad occuparmi degli altri due.
Sono una madre e questo pensiero, che gira ogni giorno nella mia mente, mi uccide. Ma non ho altra scelta.

Aggiornamenti

Questa è la storia di Nadia, con le sue parole- racconta Shafiqa, direttrice di Hawca. Quando abbiamo saputo che voleva vendere in sposa la bimba di 7 anni a un vecchio, siamo rimasti tutti scioccati, come penso chiunque. Bisognava intervenire subito, con un aiuto immediato, per evitare questo orrore. Per prima cosa l’abbiamo trasferita allo Shelter e poi abbiamo cominciato a curarla.
Il marito è sparito da due anni e, quindi, non ha bisogno del sostegno legale per liberarsi di lui. Per lei la cosa più importante sono i figli. Un donatore dello Shelter sostiene le sue spese mediche, ma solo fino a quando starà lì. Quando il suo caso sarà risolto e dovrà andarsene, le sue cure mediche saranno un grosso problema. Ha bisogno di soldi per vivere con i suoi figli e per le sue medicine. Se potessimo trovare uno sponsor per lei, la sua vita diventerebbe molto più facile e salveremmo la vita di una bambina.

Abbiamo trovato la sponsor per Nadia e la sua terribile vita. È Rosina, di Torino. La bimba, ora, è salva e Nadia può affrontare il futuro senza angoscia.

Aggiornamento gennaio 2023

Nadia vive nella provincia di Bamyan ed è stata ospite della Casa Protetta di Hawca. Lì ha potuto salvarsi dalla vita di violenza a cui era stata costretta, ha seguito le lezioni e imparato a fare cose che prima non sapeva fare, come leggere e scrivere. Questo le ha dato forza e fiducia in se stessa, sente molto chiaramente che l’istruzione è la strada per sentirsi sempre più libere. Dopo l’improvvisa chiusura della Casa Protetta, per l’arrivo a Kabul dei talebani, è tornata da suo padre. Manda a scuola i figli e ha cominciato a lavorare con lui nei campi. Anche se il guadagno è poco, è molto felice per questo lavoro. “Sono molto felice di aiutare mio padre, guadagnare con le proprie mani e con il proprio impegno è molto importante per me. Voglio diventare completamente autonoma economicamente e crescere i miei figli bene e con un buon comportamento. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza l’aiuto dei miei sponsor.’ Manda tutti i suoi auguri a chi la sta sostenendo sperando che continuino a stare al suo fianco.

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Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.

 

 

 

Mushtari

Mushtari Rakeen ha 17 anni, è del villaggio di Dara-e-Ali nel distretto di Yakaolang a Bamyan. Studia nella 11 classe (la penultima). Quando frequentava la decima classe e studiava ancora nel suo villaggio, prese la decisione di trasferirsi in città, a Bamyan, per avere i vantaggi di una scuola migliore e godere delle maggiori opportunità della città. Ma la sua famiglia non poteva affrontare questa spesa. Nonostante questo, Mushtari è rimasta ferma della sua decisione e si è sentita pronta ad affrontare qualsiasi difficoltà pur di muoversi e andare a studiare in città. Ha riflettuto e si è organizzata. Ha preso in prestito una somma da un parente e ha affittato un piccolo shop, accanto al posto dove vive. Poi si è fatta dare, in conto vendita, da un negozio più grande dei beni di consumo e ha cominciato a venderli nel suo negozietto. Le ci vorrà tempo per pagare i suoi debiti ma, pian piano, è sicura di farcela.

Ci racconta la sua vita quotidiana. Mushtari si alza alle 5 del mattino ogni giorno e apre il suo negozio. Alle 7,20 lo chiude e cammina a piedi per 35 minuti per raggiungere la scuola. Studia fino alle 12,10 e di nuovo riprende il cammino per riaprire il suo piccolo negozio. Ci resta fino alle 7,30 di sera. E il giorno dopo tutto ricomincia con fiducia e determinazione. La sua materia preferita è scienze sociali, invece non è tanto forte con le lingue. Il suo progetto per il futuro è di diplomarsi e di studiare psicologia, se ci riuscirà, in una Università europea. Una volta laureata vorrebbe tornare a Bamyan per assistere le donne sue vicine che ha visto soffrire intorno a lei e che sono le prime vittime della violenza sociale e familiare.

Ha bisogno di un sostegno per la sua impresa, sia economico che di solidarietà. Anche il suo personale progetto prevede il miglioramento della vita di altre donne intorno a lei.

 

Gulafruz

Gulafruz ha 22 anni. E’ nata a Waras, un distretto remoto della provincia di Bamyan. Per tornare a casa deve prendere un minivan che ci mette 9 ore, per le strade dissestate , i passi di montagna da attraversare . D’inverno le strade sono completamente bloccate dalla neve.

Studia Ingegneria Civile per due anni e , una volta diplomata dall’Istituto Tecnico di Bamyan, fa l’esame di ammissione per entrare nelle Università Pubbliche, gestite dal Governo. Questa volta sceglie il Dipartimento di Agricoltura dell’Università di Bamyan. Vorrebbe tornare a casa sua e lavorare nei campi, sapendo come aiutare la gente e migliorare il lavoro. Con le sue competenza potrà aiutare la sua famiglia e gli altri contadini. E’ importante per lei aiutare la sua famiglia perché ora, le sue due sorelle più grandi lavorano nei campi e , dice Gul, hanno sacrificato il proprio futuro per permettere a lei di continuare la sua istruzione.

Gulafruz ha bisogno di sostegno per portare a termine il suo bel progetto.

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Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.

 

Gul Meena, Kabul

Gul ha 45 anni, molti in Afghanistan, dove l’aspettativa di vita per le donne non supera i 45. Vive a Kabul. Ha un marito molto anziano che non è in grado di lavorare.
Nonostante questo, non potendo avere figli, ne ha adottati due, un maschio e una femmina, ed è, per loro, una madre amorevole.
Gul manteneva la famiglia con il suo lavoro in un orfanotrofio di Kabul. Lavorava sodo, facendo le pulizie e lavando i panni dei bambini. Ha sempre sofferto di una forma di asma che, purtroppo, ultimamente, è molto peggiorata, tanto che è stata costretta a lasciare il lavoro.
È in grande difficoltà e non ha soldi per potersi curare. Il marito ha un piccolo appezzamento di terreno nel quale la nipote coltiva delle verdure che poi vende al mercato.
Questo permette loro di mangiare ma non a lei di curarsi per poter riprendere il lavoro. Hawca chiede di sostenerla per le cure mediche. La sua salute è importante per lei ma anche per tutta la sua famiglia.

Aggiornamenti

Quando Gul sa di avere accanto Elisa e la sua famiglia è davvero felice. Potrà curarsi e ricominciare la sua vita normale, lavorando come prima. Tutta la famiglia, il marito anziano e i due figli adottati sono sulle sue spalle e, senza l’aiuto di Elisa, non saprebbe che fare. La situazione dei suoi polmoni continua a peggiorare e viene ricoverata in ospedale.
Elisa, che conosce bene la malattia di cui soffre Gul, propone di farle avere dei farmaci migliori. Va a Kabul, per seguire un suo progetto e le porta i farmaci più nuovi di persona, incontrandola all’ospedale. Un incontro molto emozionante. Gul è davvero felice di poterla abbracciare. Con le nuove medicine sta molto meglio, riprende un po’ a lavorare e continua a curarsi. I suoi figli vanno a scuola e si impegnano molto, hanno ottimi voti e questo le dà molta speranza per il futuro.

Aggiornamento gennaio 2023

Gul Mina ricorda molto bene la gentilezza e l’affetto della sua sponsor quando si sono incontrate a Kabul. Lo ricorda con grande felicità. Dice: “Nonostante io sia ancora malata e debba curarmi con una terapia di lungo termine, fortunatamente mio figlio, che è andato in Francia, è stato accolto e adesso può lavorare e riesce anche a studiare. Questo per me è una grande gioia. Può mandarci ogni mese il denaro per le nostre spese. Io ti ringrazio dal profondo del cuore per il tuo sostegno e sono felice che tu abbia curato le mie ferite in tutti questi anni e che tu abbia sempre aiutato me e la mia famiglia. Il tuo aiuto mi ha dato la speranza e sono stata in grado di accudire i mei figli e di continuare la mia vita. Se tu non mi avessi aiutato, io forse adesso non sarei viva. Amo tanto la mia sponsor e spero di poterla di nuovo incontrare da vicino, se dovesse tornare in Afghanistan. Le mie preghiere sono sempre al suo fianco.”

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Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.

 

 

 

 

Fatima, Yakawlang

Fatima ha 22 anni e viene dalla provincia di Yakawlang, un distretto di Bamyan. Attualmente vive in città condividendo una sola stanza con altre ragazze, per portare a termine i suoi studi universitari di veterinaria, un lavoro in cui pochissime donne si cimentano in Afghanistan. Un lavoro che ti porta in giro per le aree più remote e tradizionaliste del paese.

Fatima, nonostante tutte le difficoltà che dovrà affrontare, ha deciso di percorrere questa strada e diventare veterinaria.

Ecco il suo progetto. Quando sarà laureata, userà le sue competenze andando di villaggio in villaggio per aiutare la sua gente dal punto di vista tecnico, per sostenerli nella cura degli animali e aumentare la loro consapevolezza sui disastri quotidiani dell’Afghanistan e su quello che sta succedendo nel loro paese.

Il padre di Fatima è un contadino e faceva, un tempo, anche l’allevatore di bestiame. Purtroppo ha perso la maggior parte delle sue bestie ed è stato costretto ad abbandonare l’allevamento. Coltiva grano, patate e fagioli. Questo ha significato per la sua famiglia la perdita di un importante fonte di guadagno. Una storia triste che si è ripetuta spesso intorno a loro, nel loro villaggio e nei villaggi vicini. Molti si sono trovati di fronte allo stesso problema. E’ questa la ragione per cui Fatima ha deciso di studiare veterinaria e, in seguito, assistere i suoi compaesani e gli abitanti dei villaggi vicini.

Per seguire la sua strada ha bisogno di incoraggiamento e di sostegno economico, dato che la sua famiglia ha a stento di che sfamarsi. Aiutare lei significa aiutare anche tutte le persone che lei potrà sostenere in futuro, creando salute, guadagno e consapevolezza politica.

Aggiornamento gennaio 2023

Fatima saluta e abbraccia i suoi sponsor, è molto felice di questo aiuto per lei importantissimo in questo momento. Ecco cosa ci dice: “La situazione delle donne, specialmente quelle giovani che sono state escluse dall’istruzione, è molto preoccupante. Siamo tutte spaventate per il nostro futuro, le madri si preoccupano del futuro dei loro figli. Le ragazzine sono spaventate dal loro destino. È una situazione così terribile e incerta che non riusciamo a immaginare cosa succederà, nemmeno cosa potrà accadere il giorno seguente. Poco fa alcuni uomini e donne sono stati picchiati per nulla. I talebani creano il terrore, con qualsiasi pretesto, per terrorizzare la popolazione. Loro picchiano, lapidano, bastonano. I talebani sono così insensibili e feroci che riuniscono la gente a forza nel luogo nel quale le persone vengono frustate e picchiate, li obbligano ad assistere in modo da scoraggiarli dal fare le cose proibite che gli ‘accusati’ hanno compiuto. L’atmosfera di terrore ha reso la vita molto brutta e difficile per tutti noi ma dobbiamo vivere e resistere.” Fatima è fortunata perché ha ancora un lavoro ed è molto occupata con i suoi compiti quotidiani. Questo aiuta a non cadere nella depressione. Speriamo che possa mantenerlo.

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Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.

 

Fatima, Takar

Ho 35 anni e sono di Takar, una zona povera e dimenticata del Nord Est. Anni fa mio padre mi ha fatto sposare con un uomo di 60 anni che aveva moglie e sei figli.
Ero spaventata ma poi mio marito, un contadino, ha mostrato di essere un brav’uomo. Mi vuole bene. Mi protegge dalla sua famiglia che mi odia.
Per me sono nemici, tanti e forti. Mi dicono sempre: “Quando nostro padre morirà, ti butteremo fuori di casa, finalmente!” In questi anni mi sono ammalata. Ho un tumore alla gola che mi fa soffrire. Mio marito prende un po’ dei suoi guadagni per curarmi, così loro mi odiano sempre di più. Ho un figlio e una figlia ma i soldi per la scuola non ci sono. Mio marito non sta bene adesso e ho paura. Che sarà di me e dei miei figli quando lui morirà?
Ho bisogno di avere un po’ di soldi miei per curarmi e mandare i bambini a scuola e magari metterne un po’ da parte per quando lui non ci sarà più e io sarò sola contro tutti.

Aggiornamento

Quando il marito si ammala gravemente Fatima si rivolge ad Hawca, è molto spaventata per il suo futuro e quello dei suoi figli.
L’aiuto di Augusto, Nicoletta e Viviane, le dà un po’ di autonomia. Si sente più forte nella sua battaglia. Diventa fondamentale quando il marito muore e la famiglia si scatena.
La cacciano di casa ma si terranno i figli se non sposa un uomo della famiglia odiata. Fatima non ci sta. Lascia la casa del marito e va a vivere in un posto sicuro con i figli. Trova un lavoro come domestica. Il guadagno, insieme al denaro degli sponsor, le permette di vivere e di mandare a scuola i figli.
Ma è poco, non riesce a farsi aumentare il compenso e sta cercando qualcosa di più redditizio. La famiglia non smette di tormentarla, di riproporle il matrimonio con i parenti. La scelta di Fatima, per loro, è una vergogna. Per Fatima la salvezza, la rinascita. Non ci pensa proprio a tornare indietro.
È felice della sua nuova vita, della fine del suo incubo. Non avrebbe mai potuto farcela senza i suoi amici italiani, dice. Senza di loro non avrebbe avuto altra scelta che cedere al ricatto e consegnare la sua vita alla brutalità di quella famiglia, com’è destino per le vedove afghane.

Aggiornamento gennaio 2023

“Sfortunatamente, dice Shafiqa, non siamo riusciti a contattare Fatima. Abbiamo mobilitato tutte le nostre amicizie e conoscenze in Takhar, dove Fatima vive, e abbiamo sperato di trovare sue notizie recenti. Purtroppo non c’è niente di preciso e strade che possiamo seguire per contattarla. Queste persone hanno risposto di aver sentito dire che la famiglia è andata in Iran e che i loro parenti non sono in contatto con loro. Per ora, quindi, non c’è niente di nuovo. Speriamo tutti che stiano bene e che riescano a vivere meglio in Iran.”

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Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.