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Autore: Patrizia Fabbri

Safia, Kabul

Ho 32 anni vivo alla periferia di Kabul. Sono nata quando i russi sono entrati nel mio paese.
La pace non so cosa sia, è un tempo lontano, nei ricordi di mia madre. Sembra una favola, finta. Era il ’96 quando mio marito è morto.
Da quattro anni i capi mujahiddin si sbranavano come cani rabbiosi intorno a un osso, Kabul. Si moriva anche solo per andare a cercare un po’ d’acqua.
Vivevamo come topi, chiusi, terrorizzati, nelle nostre case. Allora sono arrivati i talebani, dicendo, come dicono tutti prima di sparare, di portare la pace.
Nel mio quartiere, eravamo tagiki, lì si era installato Massud per attaccare i talebani.
I combattimenti erano feroci. Massud ha perso, è scappato nella sua roccaforte del Panshir. Lui e i suoi sono scappati. Ma noi siamo rimasti, da soli, a subire la vendetta talebana. Molte persone innocenti sono state massacrate, bastava la nostra faccia, bastava che venissimo dal Panshir.
Mio marito è stata una di queste vittime. Ero giovane allora, e avevo già tre figli, molto piccoli. Per i bambini vivere era una scommessa
Il mio figlio maschio si è ammalto. Tubercolosi. Due anni fa è morto. Finché c’era lui, vivere con la famiglia di mio cognato era sopportabile, mi difendeva. Ma da due anni, io e le mie figlie siamo prigioniere di questa famiglia. Mio cognato non vuole che vadano a scuola, né che io lavori fuori casa.
Mia cognata mi grida tutto il giorno: ’Fino a quando dobbiamo darvi da mangiare?’ Minaccia continuamente di buttarci fuori casa. Quando mio cognato torna dal lavoro, ci accusa di qualsiasi sciocchezza e lui ci picchia, ogni sera.
La mia speranza sono le mie figlie. Che possano avere un’altra vita, che non debbano sentirsi vecchie a 30 anni. Se avessi un po’ di soldi miei, potrei mandarle di nuovo a scuola, potrei lasciare questa casa, dove non ci vogliono, e cercare un piccolo lavoro. Trovare almeno la pace dentro.

Aggiornamenti

È una madre coraggiosa, Safia. Sono le sue figlie la sua speranza. Per loro combatte ogni giorno, con l’aiuto di Paola che le sta accanto da molti anni.
Può provvedere a se stessa e alle figlie e non deve subire più le violente e continue umiliazioni della famiglia del marito. Ma i problemi sono sempre dietro l’angolo per lei. Il cognato si è messo in mente di sposare la figlia, ancora una bimba. Safia si oppone con tutte le sue forze. Le sue figlie non devono conoscere il suo inferno. Ha dalla sua il sostegno di Paola e la presenza delle assistenti di Hawca. Il felice ricatto è sempre lo stesso.
Se la bimba non andrà più a scuola i soldi finiranno e lui dovrà di nuovo mantenerle. Così cambia strategia e programma. Ora vuole sposare la bimba di Safia con suo figlio. La piccola, che ha già imparato a difendersi, rifiuta, sostenuta dalle sue alleate. Safia riesce a trovare un lavoro, va a fare le pulizie fuori casa e guadagna qualcosa. Ma in famiglia non la prendono bene e adesso il cognato vuole sposare Safia a tutti i costi. Forte dell’aiuto che riceve, riesce finalmente a dire basta e a scappare da quella casa.
Trova una stanza in affitto per lei e le figlie, lavora molto, fa le pulizie e continua a mandare le figlie a scuola, con l’aiuto di Paola.
La famiglia non smette con le sue minacce e Safia ha paura di lasciare le figlie da sole, cerca sempre di lavorare vicino casa. Le condizioni d’insicurezza della città non aiutano di certo. Questa vita diventa troppo difficile e Safia trova un parente che le dà una stanza in casa sua.
Così risparmia l’affitto e ha qualcuno accanto per proteggere lei e le figlie dalle ossessionanti pressioni della famiglia. Si sente più tranquilla e decide di adottare un bimbo, forse per riempire il vuoto del suo figlio maggiore, morto anni prima. Il piccolo cresce bene ed è la gioia di madre e sorelle.
È molto felice e le figlie continuano la scuola con la speranza di diplomarsi e lavorare presto per un futuro più luminoso. Ultimamente hanno celebrato la sua circoncisione. Le sorelle lo hanno riempito di regalini.

Aggiornamento gennaio 2023

Safia sembra molto contenta ma anche preoccupata per la figlia che si è appena sposata. È andata all’estero col marito e spera che, una volta sistemati, possano aiutarla economicamente.

Dice Safia, rivolta alla sua sponsor: “Tu mi sostieni da molti anni e davvero non so come ringraziarti per tutto quello che fai. Hai salvato la mia vita e quella delle mie figlie. Se puoi sostenermi ancora per qualche mese ne sarò felice. Appena mia figlia sarà in grado di aiutarmi potrai dare questo denaro a un’altra donna in difficoltà che ne avrà bisogno. Spero che questo possa accadere ma non sono sicura che mia figlia sia in grado di farlo.” Così chiede ancora aiuto finché potrà essere autonoma con l’aiuto della figlia sposata.

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Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.

Parwana, Takar

Parwana non è ancora nata quando suo padre muore. La madre è costretta, secondo l’ infelice usanza del suo paese, a sposare il cognato. Per la madre di Parwana è la sola soluzione per potersi prendere cura dei suoi tre figli. La prima moglie del cognato però non è affatto d’accordo, non vuole questo matrimonio e glielo fa pagare ogni giorno. La sua mamma sopporta tutte le angherie soltanto per poter stare con le sue tre figlie. Per la legge tradizionale, se una vedova sposa un uomo fuori dalla famiglia, perde la custodia dei figli.

Quando Parwana ha 14 anni il padre/zio la vende in matrimonio per una bella somma. Nonostante sia ancora piccola, Parwana ha una buona vita con il marito e la sua famiglia e dà alla luce tre bambini. Nel quinto anno del loro matrimonio, il marito viene ucciso. Parwana, a 20 anni, inizia la miserabile vita della vedova. Per fortuna, il marito ha lasciato una piccola attività commerciale avviata, sufficiente a nutrire la famiglia di 4 persone. Ce la possono fare.

Il padre di Parwana però, che ricorda il dolce sapore del denaro avuto dalla vendita della ragazza, decide di ripetere l’affare La rapisce, portandola via con la forza dalla sua casa e dai suoi figli e la vende in matrimonio a un uomo anziano, già padre di 6 figli. La minaccia continuamente. La prospettiva è questa: se osa ribellarsi o fuggire le taglierà la testa lui stesso con un coltello. Non ha scelta. Dopo il matrimonio, i suoi figli rimangono completamente soli e abbandonati. Crescono lavorando come schiavi nelle case dei loro parenti.

Sa tutto e ogni tanto riesce a vederli di nascosto, ma non c’è niente che possa fare per salvarli. Ogni giorno è una pena schiacciante per lei. Qualche anno dopo, il secondo marito, già molto vecchio, muore. Ora Parwana vive con i suoi tre figli, avuti dal secondo matrimonio, ma è in gravi difficoltà economiche.

Dice Parwana: “La perdita del mio primo marito mi ha bruciato come una fiamma. Non posso dimenticare la mia sofferenza e quella dei miei figli. Adesso sono malata ma continuo a ricamare e cucire per dar da mangiare ai miei figli. A volte non riesco a vendere niente ma devo comunque sopravvivere. Se avessi un lavoro e un salario regolare, sarei in grado di mandare i mei figli a scuola e di allontanare da loro un futuro pieno di ferite come il mio.”

Aggiornamento gennaio 2023

Dopo l’arrivo dei talebani la vita di Parwana è diventata difficile. Sa fare dei bellissimi ricami e questo era il suo lavoro, li vendeva bene al mercato. “Ma oggi nessuno ha più soldi per queste cose, dice Parwana, nessuno se le può permettere e gli affari vanno male. E poi sotto il burka o l’hijab nero nessuno vede i ricami, per belli che siano. Ci hanno fatto passare la voglia delle cose belle e di curarci del nostro aspetto. Lavoro tutta la notte, ricamando alla luce di una lampada ad olio. Così i miei occhi si sono indeboliti. Continuo a sperare di vendere i miei ricami e di poter comprare da mangiare per i miei figli e per riscaldarci in questo duro inverno, ma le cose non vanno per niente bene.” Una collega di Hawca, ci racconta Shafiqa, è stata a casa sua e le ha portato un pacco di cibo e del denaro per la legna. Ringrazia tanto la sua sponsor e chiede di essere ancora aiutata finché non riuscirà a stare in piedi da sola, sulle sue gambe.

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Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.

Nelab, Yak-O-Lang

Ho 34 anni e sono di Yak-o-Lang, un distretto della provincia di Bamyan. A 13 anni mio padre mi ha sposato a un nostro parente. Ho avuto due figli. Vivevamo tutti insieme, vicini, al villaggio. Tutti hazara. Quel giorno sono arrivati i talebani a spazzare via la mia vita.
Non ricordo niente, non voglio, quel giorno è affondato chissà dove. Ricordo solo quel silenzio, dopo, per quei pochi che erano rimasti vivi, come me. Non si è salvato nessuno dei miei. Tutta la mia famiglia, genitori, fratelli, zii, e mio marito. Da allora non sono più la stessa. Perfino io non mi riconosco. Ho molti problemi psicologici che mi rendono la vita difficile.
Dopo qualche mese dalla tragedia, mio cognato si è spostato a Kabul e mi ha preso con sé con i miei figli.
Ma qui è una vergona, una cosa che non si può fare, vivere con un uomo che non è il marito. Così lui ha cominciato ad ossessionarmi: vuole sposarmi a tutti i costi. Mi minaccia: si prenderà i miei figli e mi sbatterà fuori di casa se non accetto.
Ma io non voglio un altro marito. Voglio stare con i miei figli e basta. Per questo sono andata al Centro Legale. Vorrei un po’ di pace. Vorrei ritrovare me stessa, com’ero prima.

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Entrando nel progetto, con l’aiuto di Lucia, Nelab ritrova la speranza.
Può mantenere se stessa e i figli da sola e non deve più dipendere dal cognato. Lascia la sua casa. Il denaro la libera dal ricatto del matrimonio forzato. Intanto inizia a curarsi. Ritrova se stessa e i figli rivedono finalmente la loro mamma di sempre. Vanno a scuola e sono molto bravi, Nelab è fiera di loro.
È più forte e trova un lavoro come cuoca in una ditta. Può almeno nutrire i suoi figli e, intanto, continua a curarsi.
Da quattro anni è Anna a sostenere la sua nuova vita, che, pian piano, continua a procedere. Spera in un aumento di stipendio, speranza sempre delusa. Vorrebbe far frequentare ai figli qualche corso integrativo per prepararli a una vita migliore della sua.

Aggiornamento gennaio 2023

Avere un lavoro è il massimo della felicità che ci si possa aspettare di questi tempi. E Nelab ce l’ha. Lavora in una compagnia e cerca in ogni modo di mantenere il suo lavoro, nonostante i talebani. La figlia e il figlio frequentano i corsi di inglese di Hawca e il figlio va a scuola. “Sono molto fiera dei miei figli, ci dice, e sono felice di averli accanto a me. Sono ragazzini educati e gentili e grandi lavoratori. Mio figlio aiuta la sorella con lo studio e si prende cura di ognuno di noi.” Ringrazia tanto le sue sponsor per l’aiuto che riceve e che le permette di sopravvivere con un po’ di speranza in questo brutto momento.

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Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.

Nadia

Nadia vive a Bamyan e ha 28 anni. “8 anni fa, quando mi hanno detto che mi sarei sposata, ero molto felice. Lo ero perché conoscevo il mio futuro sposo, era un bel ragazzo e anche un uomo istruito. Nel primo anno del nostro matrimonio ho vissuto i più bei giorni della mia vita. Non era ricco mio marito, era un contadino, ma avevamo un bel posto dove vivere, una casa carina e abbastanza da mangiare. È nato il mio primo figlio, eravamo una piccola famiglia felice.
Il secondo anno del nostro matrimonio è stato l’inizio del baratro in cui è sprofondata la mia vita. Mio marito ha fatto amicizia con un gruppo di persone tossicodipendenti e ha cominciato anche lui a gettare via la sua vita. Col passare del tempo ha perso tutto, ha venduto tutto quello che aveva, la sua terra, le proprietà, tutto, per comprarsi la droga.
Stava tutto il giorno con i suoi amici drogati e rientrava a casa solo per mangiare o cercare altri soldi. Si è venduto anche tutti i mobili di casa. Ho provato a fermarlo, eccome se ci ho provato! Ma ogni volta che cercavo di farlo ragionare, lui mi picchiava e mi minacciava di uccidermi.
Nei sette anni seguenti sono diventata madre di altri due bambini. Ha continuato a picchiare me e i miei piccoli e di noi non gli importava più niente.
Ricordo quando nacque il mio primo bambino, lui era così felice e si occupava di noi con affetto. Ma ora è diventato un animale feroce, selvaggio, e gli importa solo di potersi procurare l’eroina. Non c’è nient’altro nella sua mente e nel suo cuore, solo quella maledetta polvere. In tutti questi terribili anni, mio padre che è un contadino molto anziano, ci ha aiutato e sostenuto ma, adesso, è malato e non può più farlo. Ho dei problemi agli occhi e alle orecchie e, siccome non ho mai potuto curarmi, peggiorano ogni giorno. Adesso non posso sentire né vedere bene e ho bisogno di soldi per curarmi.
Per questo ho deciso che l’unica cosa che posso fare è vendere uno dei miei figli per potermi curare e riuscire ad occuparmi degli altri due.
Sono una madre e questo pensiero, che gira ogni giorno nella mia mente, mi uccide. Ma non ho altra scelta.

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Questa è la storia di Nadia, con le sue parole- racconta Shafiqa, direttrice di Hawca. Quando abbiamo saputo che voleva vendere in sposa la bimba di 7 anni a un vecchio, siamo rimasti tutti scioccati, come penso chiunque. Bisognava intervenire subito, con un aiuto immediato, per evitare questo orrore. Per prima cosa l’abbiamo trasferita allo Shelter e poi abbiamo cominciato a curarla.
Il marito è sparito da due anni e, quindi, non ha bisogno del sostegno legale per liberarsi di lui. Per lei la cosa più importante sono i figli. Un donatore dello Shelter sostiene le sue spese mediche, ma solo fino a quando starà lì. Quando il suo caso sarà risolto e dovrà andarsene, le sue cure mediche saranno un grosso problema. Ha bisogno di soldi per vivere con i suoi figli e per le sue medicine. Se potessimo trovare uno sponsor per lei, la sua vita diventerebbe molto più facile e salveremmo la vita di una bambina.

Abbiamo trovato la sponsor per Nadia e la sua terribile vita. È Rosina, di Torino. La bimba, ora, è salva e Nadia può affrontare il futuro senza angoscia.

Aggiornamento gennaio 2023

Nadia vive nella provincia di Bamyan ed è stata ospite della Casa Protetta di Hawca. Lì ha potuto salvarsi dalla vita di violenza a cui era stata costretta, ha seguito le lezioni e imparato a fare cose che prima non sapeva fare, come leggere e scrivere. Questo le ha dato forza e fiducia in se stessa, sente molto chiaramente che l’istruzione è la strada per sentirsi sempre più libere. Dopo l’improvvisa chiusura della Casa Protetta, per l’arrivo a Kabul dei talebani, è tornata da suo padre. Manda a scuola i figli e ha cominciato a lavorare con lui nei campi. Anche se il guadagno è poco, è molto felice per questo lavoro. “Sono molto felice di aiutare mio padre, guadagnare con le proprie mani e con il proprio impegno è molto importante per me. Voglio diventare completamente autonoma economicamente e crescere i miei figli bene e con un buon comportamento. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza l’aiuto dei miei sponsor.’ Manda tutti i suoi auguri a chi la sta sostenendo sperando che continuino a stare al suo fianco.

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Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.

 

 

 

Mushtari

Mushtari Rakeen ha 17 anni, è del villaggio di Dara-e-Ali nel distretto di Yakaolang a Bamyan. Studia nella 11 classe (la penultima). Quando frequentava la decima classe e studiava ancora nel suo villaggio, prese la decisione di trasferirsi in città, a Bamyan, per avere i vantaggi di una scuola migliore e godere delle maggiori opportunità della città. Ma la sua famiglia non poteva affrontare questa spesa. Nonostante questo, Mushtari è rimasta ferma della sua decisione e si è sentita pronta ad affrontare qualsiasi difficoltà pur di muoversi e andare a studiare in città. Ha riflettuto e si è organizzata. Ha preso in prestito una somma da un parente e ha affittato un piccolo shop, accanto al posto dove vive. Poi si è fatta dare, in conto vendita, da un negozio più grande dei beni di consumo e ha cominciato a venderli nel suo negozietto. Le ci vorrà tempo per pagare i suoi debiti ma, pian piano, è sicura di farcela.

Ci racconta la sua vita quotidiana. Mushtari si alza alle 5 del mattino ogni giorno e apre il suo negozio. Alle 7,20 lo chiude e cammina a piedi per 35 minuti per raggiungere la scuola. Studia fino alle 12,10 e di nuovo riprende il cammino per riaprire il suo piccolo negozio. Ci resta fino alle 7,30 di sera. E il giorno dopo tutto ricomincia con fiducia e determinazione. La sua materia preferita è scienze sociali, invece non è tanto forte con le lingue. Il suo progetto per il futuro è di diplomarsi e di studiare psicologia, se ci riuscirà, in una Università europea. Una volta laureata vorrebbe tornare a Bamyan per assistere le donne sue vicine che ha visto soffrire intorno a lei e che sono le prime vittime della violenza sociale e familiare.

Ha bisogno di un sostegno per la sua impresa, sia economico che di solidarietà. Anche il suo personale progetto prevede il miglioramento della vita di altre donne intorno a lei.

 

Gulafruz

Gulafruz ha 22 anni. E’ nata a Waras, un distretto remoto della provincia di Bamyan. Per tornare a casa deve prendere un minivan che ci mette 9 ore, per le strade dissestate , i passi di montagna da attraversare . D’inverno le strade sono completamente bloccate dalla neve.

Studia Ingegneria Civile per due anni e , una volta diplomata dall’Istituto Tecnico di Bamyan, fa l’esame di ammissione per entrare nelle Università Pubbliche, gestite dal Governo. Questa volta sceglie il Dipartimento di Agricoltura dell’Università di Bamyan. Vorrebbe tornare a casa sua e lavorare nei campi, sapendo come aiutare la gente e migliorare il lavoro. Con le sue competenza potrà aiutare la sua famiglia e gli altri contadini. E’ importante per lei aiutare la sua famiglia perché ora, le sue due sorelle più grandi lavorano nei campi e , dice Gul, hanno sacrificato il proprio futuro per permettere a lei di continuare la sua istruzione.

Gulafruz ha bisogno di sostegno per portare a termine il suo bel progetto.

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Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.