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Autore: Patrizia Fabbri

Hanafi Khalid

Khalid Hanafi è nato nel 1971 nel villaggio di Kolam Shaheed nel distretto di Doabi della provincia di Nuristan in Afghanistan.

Ruolo e responsabilità attuali

Attualmente Khalid Hanafi ricopre la carica di Ministro per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio del cosiddetto Emirato islamico dell’Afghanistan, il governo de facto, non riconosciuto dalla comunità internazionale, che è al potere in Afghanistan dall’agosto 2021.

“Hanafi è emerso come una delle figure più note dal ritorno al potere dei talebani.

La comunità internazionale lo identifica come un grave violatore dei diritti umani, in particolare per il suo ruolo nell’applicazione delle leggi draconiane dei talebani che hanno gravemente limitato le libertà dei cittadini afghani, soprattutto delle donne…Il suo ministero, noto per aver imposto alcune delle più severe restrizioni alla società afghana, è stato in prima linea nella campagna dei talebani per limitare i diritti delle donne. Queste misure includono il divieto alle donne di entrare nei parchi pubblici, la limitazione della loro libertà di movimento e l’applicazione di rigidi codici di abbigliamento prendendo come riferimento la legge islamica.

La posizione intransigente di Hanafi sui diritti delle donne riduce il loro ruolo nella società confinandole al matrimonio e agli obblighi religiosi. La sua retorica ha chiarito che l’interpretazione della legge della Sharia da parte dei talebani, in particolare per quanto riguarda l’hijab e la presenza pubblica delle donne, non è negoziabile: Possiamo rinunciare a qualsiasi cosa, ma non possiamo rinunciare alla Sharia. Sharia e hijab sono le nostre linee rosse perché il nostro obiettivo era implementare un sistema islamico, ha dichiarato in un recente incontro.

Hanafi è strettamente legato alla rete Haqqani, una fazione influente all’interno dei talebani, e mantiene una stretta relazione con il leader supremo dei talebani, Hibatullah Akhundzada. La sua lealtà e il suo allineamento con la visione di Akhundzada hanno portato a un’autorità ampliata sugli organi esecutivi e giudiziari dei talebani, rafforzando ulteriormente la sua influenza nel governo oppressivo del regime.

Negli ultimi anni, le azioni di Hanafi hanno suscitato una condanna diffusa, sia a livello nazionale che internazionale. Le donne afghane, in particolare, hanno sopportato il peso delle sue politiche. Sotto la guida di Hanafi, il Ministero per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio è stato autorizzato a detenere e punire coloro che sfidano le sue restrizioni, rafforzando ulteriormente il controllo dei talebani sulla società afghana.

La portata del ministero si estende oltre i codici di abbigliamento e il comportamento sociale, comprendendo restrizioni sulle pratiche culturali e la presenza stessa delle donne nella vita pubblica. Mentre l’Afghanistan continua a confrontarsi con le conseguenze del governo dei talebani, Khalid Hanafi rimane una figura fondamentale negli sforzi del regime per imporre la sua austera interpretazione della legge islamica, con effetti profondi e devastanti sul tessuto sociale del paese.” (fonte Amu TV, 24 agosto 2024)

Biografia

Khalid Hanafi è figlio di Malik Habibullah, leader jihadista del periodo dell’invasione russa e governatore locale. Cresciuto in una famiglia integralista, Hanafi ha studiato in varie madrase in Afghanistan e in Pakistan. In particolare, ha compiuto i suoi studi nella madrasa Darul Uloom Haqqania, nella provincia pakistana di Khyber Pakhtunkhwa, “importante centro di diffusione della cultura islamica sunnita del movimento Deobandi, … Fu ribattezzata l’Università della Jihād per il contenuto, i metodi della didattica e per le future occupazioni di alcuni dei suoi più noti allievi. … diede ampio sostegno ai mujahideen e ai talebani dell’Afghanistan, sfornando in particolare il loro leader, il Mullah Omar.” (fonte Wikipedia)

Tra gli allievi di questa madrasa, oltre a Hanafi e al Mullah Omar, si annoverano Jalaluddin Haqqani, ex leader della rete terroristica omonima; Akhtar Mansour, ex leader dei talebani; Sirajuddin Haqqani, succeduto al padre Jalaluddin quale leader della rete che porta il suo nome; Mohammad Yunus Khalis, esponente di spicco dei mujaheddin.

Oltre a studiarvi, Hanafi ha successivamente insegnato in questa e in altre madrase, radicalizzandosi ulteriormente nel quadro ideologico che ora guida le politiche dei talebani.

Della sua vita privata, come di quella di molti leader talebani, non si sa molto.

Formazione e carriera politica

Vicino al primo governo talebano (1996-2001), anche grazie all’attività del fratello, Maulvi Rustam, allora vice ministro dei lavori pubblici, Hanafi ha formato un movimento jihadista nei distretti di Nimroz e Delaram (nell’Afghanistan meridionale).

Negli anni dell’intervento Nato, Hanafi è stato responsabile di tre distretti nella provincia di Nuristan: Norgram, Doab e Mandol. Inoltre, è stato responsabile anche delle province di Laghman e Nuristan e dei campi di addestramento militare nella zona orientale del Paese.

Dal ritorno al potere dei talebani, nell’agosto 2021, ricopre l’incarico di Ministro per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio.

Hanafi è il promotore della legge, approvata dai vertici talebani lo scorso 22 agosto, che sistematizza i numerosi divieti già in vigore nel paese, aggiungendone di nuovi.

“La nuova legge, divisa in 35 articoli, raggruppa in unico testo varie norme (alcune delle quali già in vigore nel paese) che limitano notevolmente i diritti delle donne e impongono restrizioni sul loro comportamento, sia in pubblico che in privato. Tra le altre cose la legge stabilisce che le donne debbano coprire il corpo e il viso quando sono in pubblico, e non possano indossare indumenti aderenti o corti. Non possono cantare, recitare o leggere ad alta voce in pubblico, dato che secondo i talebani la voce di una donna è considerata un aspetto intimo e deve rimanere privata. Vieta inoltre alle donne di viaggiare senza essere accompagnate da un uomo con cui hanno un legame di sangue, e di fare incontri di qualsiasi tipo con uomini con i quali non sono imparentate.

Sono regolamentati anche alcuni aspetti dell’abbigliamento maschile: gli uomini non possono portare pantaloni sopra al ginocchio e devono sempre curare la propria barba. Sono vietate la produzione e la diffusione di immagini rappresentanti esseri viventi, l’ascolto della musica, l’omosessualità, l’adulterio e le scommesse.” (fonte il post)

In risposta alle numerose critiche sollevate dall’emanazione della legge da parte della comunità internazionale e, in particolare, di UNAMA Hanafi ha liquidato le proteste sottolineando che l’Emirato islamico si impegna con il mondo solo nel quadro delle leggi islamiche. “Secondo Mohammad Khalid Hanafi, l’hijab e l’implementazione delle punizioni islamiche sono linee rosse e nessun ordine di nessuno in merito verrà accettato. Il ministro ha affermato: Se l’Emirato islamico interagisce con il mondo, lo fa secondo il quadro della Sharia. Non agirà contro il quadro della Sharia, se Dio vuole. Il nostro obiettivo è un sistema basato sulla Sharia islamica.” (fonte Tolonews)

Se non sono bastate le violazioni dei diritti delle donne e di tutti i cittadini afghani e le violenze di cui il popolo afghano è vittima, questa legge e queste dichiarazioni dovrebbero mettere una pietra tombale su ogni tentativo, diretto e indiritto, di riconoscimento del governo talebano oltre a far sprofondare nella vergogna chi ha ceduto alle loro ignobili richieste pur di averli presenti all’ultima Conferenza di Doha.

Valutazione internazionale

Khalid Hanafi compare in 2 liste di individui sanzionati in Unione Europea e negli Stati Uniti.

L’8 marzo 2023, Hanafi è stato inserito nella lista nera dei nemici delle donne redatta dall’Unione Europea, una nuova categoria di sanzioni, che va a colpire nove persone e tre entità in tutto il mondo.  L’inserimento nella black list europea viene inquadrato nell’ambito di un regime globale di sanzioni dell’Ue per i diritti umani che si applica ad atti quali il genocidio, i crimini contro l’umanità e altre gravi violazioni o abusi dei diritti umani. Tra le nove persone colpite, oltre ad Hanafi, c’è anche il ministro per l’Educazione superiore Neda Mohammed Nadeem, entrambi colpevoli di “serie violazioni dei diritti delle donne afghane”, si legge nel testo approvato a Bruxelles.

L’8 dicembre 2023 Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha imposto sanzioni a Mohammad Khalid Hanafi, Ministro per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio, e a Fariduddin Mahmood, capo dell’Accademia talebana, citando violazioni dei diritti umani e repressione di donne e ragazze. Il dipartimento ha affermato che i membri del ministero di Hanafi “hanno commesso gravi abusi dei diritti umani, tra cui rapimenti, frustate e percosse”. Hanno anche aggredito gli afghani che protestavano contro le restrizioni all’attività delle donne, tra cui l’accesso all’istruzione, ha osservato la dichiarazione.

Comunicato di RAWA a tre anni dalla presa del potere dei talebani

“Il Cisda che da sempre sostiene Rawa Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane condivide il comunicato  pubblicato da Rawa sulla pagina Facebook a tre anni dalla presa di potere dei talebani e continua a sostenere la loro lotta”

Revolutionary Association of the Women of Afghanistan – RAWA, 14 agosto 2024 

Tre anni fa l’America e l’Occidente hanno abbandonato la corrotta repubblica da loro voluta e consegnato il potere ai brutali talebani. Mentre USA e NATO ritiravano le loro truppe dall’Afghanistan, i talebani hanno portato avanti la loro missione incompiuta godendo, fino a oggi, del sostegno finanziario e diplomatico dell’Occidente.

I sinistri e malvagi talebani sapevano fin dall’inizio che la crescita dei semi degli attentati suicidi, del terrorismo e della superstizione avrebbero trovato terreno fertile solo in una società impoverita e ignorante.

Guidati dal fascismo religioso, questi criminali hanno attaccato la libertà e le donne con il fine di paralizzare la parte di società più oppressa, privandola di istruzione, conoscenza e opportunità, e imprigionando le donne a casa.

Ma le donne afghane, grazie al loro grande coraggio contro questo regime medievale sostenuto dagli USA, hanno dimostrato di aver raggiunto un tale livello di consapevolezza che nessuna forza sarà capace di far arretrare, riportando indietro le lancette della storia e facendole finire nell’oscurità.

Tre anni di governo soffocante, oppressivo e infernale di CIA e talebani segnano il periodo più oscuro della nostra storia. Un periodo in cui si è cercato in ogni modo di sradicare ciascuno degli elementi di una società umana: la scienza, l’arte, la conoscenza e la vita stessa.

Le donne che si sono sollevate hanno subito frustate, prigionia, tortura, confessioni forzate, molestie sessuali e sono persino state assassinate.

Nonostante questo, le nostre coraggiose donne non hanno perdonato i talebani per il sangue di Forouzan, Arzu, Negar e molte altre che sono state uccise, e continuano a far sentire la loro voce contro l’ingiustizia in ogni angolo della nostra terra e mostrano al mondo, che ha dimenticato le loro sofferenze, che non si arrenderanno all’ingiustizia, all’ignoranza e all’oppressione.

Spie malvagie quali Zalmay Khalizad, Hamed Karzai, Rina Amiri e i funzionari di UNAMA, insieme ad altri, stanno cercando di tenere in piedi l’odioso governo talebano attraverso un gruppo di lobbisti e lobbiste corrotti.

Ma i leader dei crudeli talebani sono essi stessi corrotti e abietti e cercano di accumulare ricchezze anche attraverso i loro numerosi matrimoni, cosa che oggi intensifica il rancore e la rabbia di una popolazione povera, senza lavoro e disperata ogni giorno di più.

Jihadisti in fuga e leader repubblicani che hanno portato la nostra patria sofferente nell’attuale tragica situazione grazie a corruzione, saccheggi, tradimenti, ora chiedono all’America e all’Occidente di rendere l’Emirato Islamico un regime “inclusivo” che consentirebbe loro di rivestire ruoli di potere accanto ai loro fratelli talebani. Per il nostro popolo, talebani, jihadisti e leader repubblicani sono fatti tutti della stessa pasta; se guideranno ancora la nostra terra, questi delinquenti ruberanno ancora una volta i sogni del popolo.

L’avvento e il governo dell’Emirato talebano sono un amaro scherzo del colonialismo ai danni della nostra terra e della nostra gente, ma gli artefici di questo disastro non saranno in grado di mantenere il potere a lungo. Il nostro popolo, come tanti altri popoli nel mondo, ama la libertà, la giustizia e la democrazia e non potrà essere privato a lungo di questi valori fondamentali.

Ispirati dal coraggio delle donne afghane e da chi resiste in altre nazioni oppresse dall’imperialismo e dal fondamentalismo islamico, i nostri partigiani insorgeranno, e a quel punto non basteranno nemmeno i miliardi di dollari degli Stati Uniti a salvare i talebani dalla tempesta di rabbia di una nazione unita.

Sorelle, potremo liberarci dalla morsa dell’oppressione e della violenza solo attraverso la lotta!

Lunga vita alla lotta per la democrazia e contro il fascismo religioso dei talebani!

[Trad. a cura di CISDA]

RAWA Statement Three Years After Taliban Takeover

Three years ago, the United States and the West discarded their corrupt so-called republican allies and handed power over to the brutal Taliban. As the U.S. and NATO withdrew their military forces from Afghanistan, the bloodthirsty Taliban continued the unfinished mission of their Western masters and have, to this day, enjoyed unwavering financial and diplomatic support from their Western backers.

The Taliban, as a sinister and regressive force, knew from the outset that the seeds of suicide bombings, terrorism, and superstition could only take root in a society that is impoverished, destitute, and steeped in ignorance. Driven by religious fascism, these criminals first attacked freedom and women, aiming to paralyze the most oppressed half of society by depriving them of education, knowledge, and opportunities, and imprisoning women in their homes. Yet, Afghan women, with their inspiring resilience and defiance against this medieval, U.S.-backed regime, have shown that they have reached a level of awareness that no force can turn back the clock or drag them back into darkness.
Three years of suffocating, oppressive, and hellish rule by the “CIA” and “ISI”-trained Taliban marks the darkest period in our history.
During this time, every effort was made to eradicate all elements of a humane society, including science, art, knowledge, and life itself. The brave women who stood up against them faced lashings, imprisonment, torture, forced confessions, sexual assault, and even death. Yet, our courageous women have not forgiven the Taliban for the blood of Forouzan, Arzu, Negar and many others—those killed by the Taliban—and they continue to raise their voices for justice in every corner of our land, showing the world, which has largely forgotten their suffering, that they will not surrender to injustice, ignorance, and oppression.
Vile spies like Zalmay Khalilzad, Hamid Karzai, Rina Amiri, and UNAMA, along with others, have enlisted a group of corrupt male and female lobbyists to try to prop up the detested Taliban regime. However, the leaders of this reactionary and savage group are so deeply mired in corruption and moral decay—each striving to accumulate wealth and secure multiple marriages—that they only intensify the anger and disgust of a population trapped in poverty, unemployment, and despair with each passing day.
The fugitive separatist jihadists and corrupt republican figures, who are the root cause of our nation’s current suffering due to years of corruption, looting, betrayal, and selling out the country, now grovel before the U.S. and the West, hoping to transform the Islamic Emirate into an “inclusive” regime that would allow them to reclaim seats of power alongside their Taliban brothers. For our beleaguered masses, the Taliban, jihadists, and republican leaders are all cut from the same cloth, and these scoundrels will take their dreams of once again ruling our people to their graves.
The rise and rule of the Taliban Emirate is a bitter joke of colonialism and history at the expense of our land, but their masters will not be able to keep these pawns in power for long. Our people, like others around the world, cherish freedom, justice, and democracy, and they cannot be deprived of these fundamental values indefinitely. The oppressed people of our nation, inspired by the courage of Afghan women and the resistance of other subjugated nations against imperialism and Islamic fundamentalism, will rise up, and when they do, even billions of dollars worth of U.S. military aid will not save the Taliban from the storm of a unified and determined nation’s wrath.
Sisters, only through struggle can we liberate ourselves from the grip of oppression and violence!
Long live the struggle for democracy and against the Taliban’s religious fascism!

How the brutal Taliban justice system that buries Afghan women alive works

Since their full return to power in August three years ago, the Taliban have imposed a system that includes “moral” crimes, often punished by flogging or stoning. Laws used to oppress women while courts and tribunals increasingly ignore gender-based crimes and violence. A suffocating scenario that follows them even into hospitals and public parks,

A village of dust and wind, like many others in Afghanistan. The space of beaten earth covered with stones is surrounded by men, bearded, turbaned, rifles dangling from their shoulders. They talk to each other, they seem uncertain, they arm themselves. They pick up stones from the ground, like clumsy children for a game. In the center is a hole, deep enough to cover the lower part of a body. Of a woman’s body.

Her face is erased in the video but her faint moans can be heard. She doesn’t scream, she no longer has the strength. She has given up. The men begin shooting at the target, they look at each other, they approve. The moans increase, dragging, like a litany. The target is easy, exposed. One after the other, the stones extinguish the life of the young woman. A good stoning has its rules: not too small stones, otherwise they do not hurt enough, nor too big otherwise the agony is over immediately. The hole in which the condemned woman is buried prevents her from escaping but also preserves her “morality”, prevents her private parts from being visible.

Since last March, the supreme Taliban leader Hibatullah Akhundzada has announced that corporal punishment, including public flogging and stoning, are instruments of law and will be mandatorily applied throughout Afghanistan. Then he turned to the West: “In your vision, stoning is a violation of women’s rights. In the near future, we plan to apply the punishment for adultery, which includes stoning and public flogging of women. Just as you claim to fight to save and liberate humanity, so do I. You represent Satan and I represent God. The party of Allah will prevail.”

The party of Allah, namely the Taliban, certainly prevails in Afghanistan, where they do what they want, with timid and useless protests from democratic countries only at home, more interested in business with the de facto authorities of the country, than in women’s rights.

The UN representative for Human Rights, Jeremy Laurence, denounced in June the increase in the spread of physical punishment, administered in public for “moral crimes” and “running away from home”. Spectators are strictly controlled, no journalists, no witnesses, cell phones confiscated.

Zina, or adultery, is the crime. An axe hanging over the head of every woman for many years, not only since the Taliban have controlled the country. It is not at all necessary to actually cheat on one’s husband, which is quite difficult now for women locked up in their homes and under surveillance. A woman who runs away from the house of an abusive husband to save her skin is accused of zina, as is a girl who refuses to marry an old stranger, a woman who talks to men who are not family, a girl who wants to marry the man she loves. The crime is always zina. It condemns, with a slanderous mark, any rebellion of women, who can become victims of the increasingly frequent “honor killings” by families. The threat of moral crimes cages the daily behavior of women. And, since almost everything is forbidden to women, it is easy to commit crimes. “Going out has become very difficult,” says Salima, a social worker in Kabul. “The moral police are everywhere, they check everything, from the way you dress to the reasons why you are on the street. They try to scare us. If you are not in order, you will be arrested and we know what to expect, sexual violence and beatings. Months ago, we were going with my family to Pagman, a recreational destination, a beautiful park. At the entrance, the Taliban guards stopped us, as soon as they saw that there were women in the car. They started shouting that women are forbidden to enter public parks and to have fun. They threatened to arrest us, to whip us, because we were breaking the law. This scene will remain in my mind forever, as an image of the total deprivation of all our rights. The organized will to bury us alive.”

Suicides and mental illnesses are on the rise among women, especially among the youngest. Frightened mothers keep their daughters locked up at home. “Manizha was one of our most enthusiastic students,” says Razia, a teacher at the clandestine schools. “One day she didn’t show up, and the next day she didn’t show up either. She disappeared. We did everything we could, together with her mother, to find her. We don’t know anything about her anymore.” The Taliban feel free to kidnap the girls whenever they want.

No one protests. No one punishes.

But how does Taliban justice work? An example, just to get an idea. A woman is rushed to the hospital by her neighbors. Her husband beat her and set her on fire. The burns are very serious. After a month of agony, the woman dies. Her family appeals to the Taliban court to have the murderer punished. After much insistence, the court orders the man to give the family a small plot of land as compensation. That’s it. A vegetable garden instead of a daughter.

The Taliban have dismantled the legal and institutional framework. Justice, as we understand it, no longer exists. There is a Taliban Supreme Court and there are several specific and local courts. But the previous staff is completely replaced.

Instead of judges, lawyers and prosecutors there are students or graduates of Pakistani madrassas, with no experience in the legal field, or in other fields. No idea what a trial is, no investigation. The result is a void and widespread chaos in which violations of rights and abuses increase uncontrollably. The most common method to close a case remains torture and forced confession, as reported by Rawadari, an Afghan human rights organization based in England, with operators inside Afghanistan, in its report on justice. The laws of Parliament have been almost completely abolished, especially those concerning women.

For them, no protection, no hope of having justice. Crimes against women are no longer a crime. So there is no longer any limit to domestic violence and the escalation of suicides and forced marriages of girls. If a woman has the courage to go to the police to complain about her husband’s violence, she risks suffering further violence, verbal and physical. In the Taliban courts, cases concerning women are not taken into consideration.

In the last year, there have been no proceedings involving accusations brought by women. The most serious criminal cases are judged in religious courts, in jirgas, presided over by mullahs and village elders, and are handled outside of any legal structure.

The life of the population is regulated by continuous decrees issued with the effect of law. There have been more than two hundred of which one hundred concern women. “There is only the sharia,” says Soheila, a militant of Rawa, the Revolutionary Association of Afghan Women. “We have no laws and we do not have a Parliament that can discuss laws, or other institutions. Afghanistan is a country that has no Constitution, no legal system, it only has the sharia. You don’t need anything else, according to the Taliban. Every type of problem, in any field, education, family, justice, can be solved according to the laws of the sharia. Anyone who knows, or thinks they know, the Koran and the sharia can be a judge, especially if they are armed and have power. Everything is completely arbitrary.”

During 2023, women’s lives have further deteriorated. There is no limit to the worst. Rawadari’s latest report tells us. The new bans for women have increased in number, worsened by the frequency of arrests and public punishments. Some have been arrested and detained for taking a taxi without a male guard, the mahram. Extrajudicial killings, torture, killings of prisoners, forced disappearances, increase in cruel and degrading punishments, these are the testimonies collected. Intimidation and fear paralyze people, especially women, who, less and less, rebel. The prison is increasingly narrow.

Even the hospital becomes a mirage. Access to medical care is limited by 14 specific measures. In the hospital, you do not go alone. No one lets you in and you are mistreated. It is mandatory to have a mahram by your side. But the men of the family are often not interested in having their women treated. The additional obstacle is the lack of female staff. A male doctor can’t even see you.

In hospitals, the mahram is not only required for female patients. “On October 24, 2023 – according to Rawadar’s report – officials from the public health department in Bamyan prohibited female hospital employees, nurses, pharmacists, doctors, from continuing their service without a mahram to supervise them throughout their working hours. In Nimruz, however, one hundred female health professionals were expelled and replaced by as many male relatives of the Taliban”.

Little is known about those who have been kidnapped, arrested, punished, the media are controlled. Intimidation and threats against witnesses, victims of abuse and journalists are daily. In some provinces, such as Panjshir, cell phones have been banned, so that videos and testimonies cannot be spread.

A prisoner, the Guardian reported on July 3, is the victim of a gang rape by the Taliban, her jailers. Men turn a video about violence and send it to the girl, threatening to make it public if she doesn’t keep her mouth shut about what happened. But the girl defies them and sends the video to the local and international press. We don’t know if she survived her courage.

The little that we can learn comes from social media. Not only from the victims but also from the Taliban themselves, who are very active on the platforms. On Twitter (now X) you can find sentences, convictions and punishments decided by the Taliban courts. They mostly concern women and LGBTQ+ people. They support the propaganda of fear.

None of this was discussed at the recent conference in Doha between the end of June and the beginning of July. The United Nations Assistance Mission in Afghanistan (Unama) publishes excellent reports on the situation of women, they talk about gender persecution and crimes against humanity, with consequent recommendations to act. That fall into the void of the luxurious halls of Doha where the blackmail of the Taliban, which tied their participation to silence on women’s rights, was accepted by the UN without batting an eyelid.

So women, girls and children continue to walk, day after day, their labyrinth of prohibitions, with anxiety in their throats, fear nestled firmly in their thoughts. What is left for women? Little, apart from the tenacity and courage of those who persist in not letting themselves be crushed, in not letting their dreams burn to ashes. Girls who continue, for example, despite the high risk, to study in secret schools, protecting the precious knowledge of women like a treasure.

Samia, a student at a clandestine school in Rawa, says: “I have nothing to achieve my goals, except a pen.”

Published in Altreconomia

The image is from a stock photo and refers to a stoning carried out in Afghanistan by the Taliban in 2015.

Come funziona la brutale giustizia talebana che seppellisce vive le donne afghane

Dal loro pieno ritorno al potere nell’agosto di tre anni fa i Talebani hanno imposto un sistema che prevede crimini “morali”, spesso puniti con la fustigazione o la lapidazione. Leggi usate per opprimere le donne mentre i tribunali e le corti ignorano sempre di più i crimini e le violenze di genere. Uno scenario asfissiante che le insegue anche negli ospedali e nei parchi pubblici,

Un villaggio di polvere e vento, come tanti altri in Afghanistan. Lo spazio di terra battuta coperto di sassi è circondato da uomini, barbuti, inturbantati, i fucili che ciondolano dalla spalla. Parlano tra loro, sembrano incerti, si armano. Raccolgono da terra i sassi, come bambini goffi per un gioco. Al centro un buco, profondo abbastanza per coprire la parte inferiore di un corpo. Di un corpo di donna.

Il suo volto è cancellato nel video ma si sentono i suoi deboli lamenti. Non grida, non ne ha più la forza. Ha rinunciato. Gli uomini cominciano il tiro al bersaglio, si guardano tra loro, si approvano. I lamenti aumentano, strascicati, come una litania. Il bersaglio è facile, esposto. Una dopo l’altra, le pietre spengono la vita della giovane donna. Una buona lapidazione ha le sue regole: sassi non troppo piccoli, altrimenti non fanno abbastanza male, né troppo grossi altrimenti l’agonia è subito finita. Il buco in cui la condannata è sepolta le impedisce di fuggire ma salva anche la “moralità”, impedisce che le sue parti intime siano visibili.  

Da marzo scorso il leader supremo talebano Hibatullah Akhundzada ha annunciato che le punizioni corporali, comprese la fustigazione pubblica e la lapidazione, sono strumenti di legge e verranno obbligatoriamente applicati in tutto l’Afghanistan. Poi si è rivolto all’Occidente: “Nella vostra visione la lapidazione è una violazione dei diritti delle donne. Nel prossimo futuro, prevediamo di applicare la punizione per l’adulterio, che include la lapidazione e la fustigazione pubblica delle donne. Proprio come voi affermate di lottare per salvare e liberare l’umanità, anch’io lo faccio. Voi rappresentate satana e io rappresento dio. Il partito di Allah prevarrà”. 

Il partito di Allah, ossia i Talebani, prevale sicuramente in Afghanistan, dove fanno quello che vogliono, con timide e inutili proteste dei Paesi democratici solo a casa loro, più interessati agli affari con le autorità de facto del Paese, che ai diritti delle donne.

Il rappresentante dell’Onu per i Diritti umani, Jeremy Laurence, ha denunciato a giugno l’aumento della diffusione delle punizioni fisiche, impartite in pubblico per “crimini morali” e “fuga da casa”. Sugli spettatori c’è uno stretto controllo, niente giornalisti, né testimoni, cellulari sequestrati.

Zina, ossia adulterio, è il crimine. Una mannaia sospesa sulla testa di qualunque donna da molti anni, non solo da quando i Talebani controllano il Paese. Non è affatto necessario tradire realmente il proprio marito, cosa piuttosto difficile, adesso, per donne recluse nelle case e sorvegliate. Una donna che scappa dalla casa di un marito violento per salvarsi la pelle è accusata di zina, così come una ragazza che si rifiuta di sposare un vecchio sconosciuto, una donna che parla con uomini che non siano della famiglia, una ragazza che vuole sposare l’uomo che ama. Il crimine è sempre zina. Condanna, con un marchio infamante, qualsiasi ribellione delle donne, che possono diventare vittime dei sempre più frequenti “delitti d’onore” da parte delle famiglie. La minaccia dei reati morali, ingabbia il comportamento quotidiano delle donne. E, dato che alle donne è proibito quasi tutto, è facile delinquere. 

“Uscire è diventato molto difficile -racconta Salima, assistente sociale a Kabul-, la polizia morale è ovunque, controlla tutto, dal modo in cui sei vestita ai motivi per cui ti trovi in strada. Cercano di spaventarci. Se non sei in regola arriva l’arresto e sappiamo che cosa aspettarci, violenze sessuali e botte. Mesi fa, stavamo andando con la mia famiglia a Pagman, una destinazione ricreativa, un bellissimo parco. All’ingresso i Talebani di guardia ci hanno fermato, appena hanno visto che nella macchina c’erano delle donne. Si sono messi a gridare che alle donne è proibito l’ingresso nei parchi pubblici e lo svago. Hanno minacciato di arrestarci, di frustarci, perché stavamo violando la legge. Questa scena rimarrà per sempre nella mia mente, come l’immagine della totale deprivazione di tutti i nostri diritti. La volontà organizzata di seppellirci vive”.

I suicidi e le patologie mentali sono in forte aumento tra le donne, specialmente tra le più giovani. Le madri spaventate tengono chiuse in casa le loro figlie. “Manizha era tra le nostre allieve più entusiaste -dice Razia, insegnante alle scuole clandestine-. Un giorno non si è presentata e nemmeno quello seguente. Sparita. Abbiamo fatto di tutto, insieme alla madre, per trovarla. Non sappiamo più niente di lei”. I Talebani si sentono liberi di rapire le ragazze, quando meglio credono. Nessuno protesta. Nessuno punisce.

Ma come funziona la giustizia talebana? Un esempio, tanto per avere un’idea. Una donna è portata con urgenza in ospedale dai vicini. Il marito l’ha picchiata e le ha dato fuoco. Le ustioni sono molto gravi. Dopo un mese di agonia la donna muore. La famiglia di lei si appella alla corte talebana perché l’assassino sia punito. Dopo molte insistenze, la corte condanna l’uomo a dare, in risarcimento alla famiglia, un piccolo pezzo di terra. Questo è tutto. Un orto al posto di una figlia. 

I Talebani hanno smantellato il quadro giuridico e istituzionale. La giustizia, come noi la intendiamo, non esiste più. C’è una Corte suprema talebana e ci sono diverse corti specifiche e locali. Ma il personale precedente è totalmente sostituito.

Al posto di giudici, avvocati e procuratori ci sono studenti o diplomati alle madrase pakistane, con nessuna esperienza in campo legale, né in altri campi. Nessuna idea di che cosa sia un processo, nessuna indagine. Il risultato è un vuoto e un caos diffuso nel quale le violazioni dei diritti e gli abusi aumentano senza controllo. Il metodo più comune per chiudere un caso rimane la tortura e la confessione estorta, come denuncia Rawadari, organizzazione afghana per i diritti umani, basata in Inghilterra, con operatori all’interno dell’Afghanistan, nel suo report sulla giustizia. Le leggi del Parlamento quasi completamente abolite, specialmente quelle che riguardavano le donne. 

Per loro nessuna protezione, nessuna speranza di avere giustizia. I delitti contro le donne non sono più reato. Così non c’è più argine alle violenze domestiche e all’escalation di suicidi e dei matrimoni forzati di bambine. Se una donna ha il coraggio di presentarsi alla polizia per lamentarsi delle violenze del marito rischia di subire ulteriori violenze, verbali e fisiche. Nelle corti talebane i casi che riguardano le donne non sono presi in considerazione.

Non esistono, nell’ultimo anno, procedimenti che riguardino accuse mosse da donne. I casi penali più gravi, vengono giudicati nelle corti religiose, nelle jirga, presiedute da mullah e anziani dei villaggi, trattate al di fuori di qualsiasi struttura giuridica.

La vita della popolazione è regolata dai continui decreti emanati con effetto di legge. Ce ne sono stati più di duecento di cui cento riguardano proprio le donne. “C’è solo la sharia -racconta Soheila, militante di Rawa, l’Associazione rivoluzionaria delle donne afghane-. Non abbiamo leggi e non abbiamo un Parlamento che possa discutere delle leggi, o altre istituzioni. L’Afghanistan è un Paese che non ha Costituzione, non ha sistema legale, ha solo la shariaNon ti serve altro, secondo i Talebani. Ogni tipo di problema, in qualsiasi campo, istruzione, famiglia, giustizia, può essere risolto in base alle leggi della sharia. Chiunque conosce, o pensa di conoscere, il Corano e la sharia può essere un giudice, specialmente se è armato e ha potere. Tutto è completamente arbitrario”. 

Nel corso del 2023 la vita delle donne si è ulteriormente deteriorata. Al peggio non c’è limite. Ce lo racconta l’ultimo report di RawadariI nuovi divieti per le donne sono aumentati di numero, peggiorati dalla frequenza di arresti e punizioni pubbliche. C’è chi è stata arrestata e detenuta per aver preso un taxi senza il guardiano maschio, il mahram. Uccisioni extragiudiziali, torture, uccisioni di detenuti, sparizioni forzate, aumento delle punizioni crudeli e degradanti, sono queste le testimonianze raccolte. L’intimidazione e la paura paralizzano le persone, soprattutto le donne, che, sempre di meno, si ribellano. La prigione sempre più stretta.

Anche l’ospedale diventa un miraggio. L’accesso alle cure mediche è limitato da 14 misure specifiche. In ospedale, da sola, non ci vai. Nessuno ti fa entrare e vieni maltrattata. È obbligatorio avere accanto un mahram. Ma gli uomini della famiglia spesso non sono interessati a far curare le loro donne. L’ulteriore ostacolo è la mancanza di personale femminile. Un dottore maschio non può nemmeno vederti.

Negli ospedali il mahram non è richiesto solo alle pazienti. “Il 24 ottobre 2023 -secondo il report di Rawadar- ufficiali del dipartimento per la salute pubblica di Bamyan hanno proibito alle donne impiegate all’ospedale, infermiere, farmaciste, dottoresse, di continuare il loro servizio senza un mahram che le sorvegliasse per tutto il tempo di lavoro. A Nimruz invece, cento donne professioniste della salute sono state espulse e sostituite da altrettanti parenti maschi dei Talebani”.

Di chi è stato rapito, arrestato, punito, poco si riesce a sapere, i media sono controllati. Intimidazioni e minacce verso testimoni, vittime degli abusi e giornalisti sono quotidiane. In alcune province, come nel Panshir, sono stati vietati i cellulari, perché non si possano diffondere video e testimonianze.  

Una prigioniera, riporta il Guardian il 3 luglio, è vittima di uno stupro di gruppo da parte dei Talebani, suoi carcerieri. Gli uomini girano un video sulla violenza e lo mandano alla ragazza, minacciando di renderlo pubblico se lei non terrà la bocca chiusa su quanto successo. Ma la ragazza li sfida e manda il video alla stampa locale e internazionale. Non sappiamo se sia sopravvissuta al suo coraggio. 

È dai social che arriva quel poco che si riesce a sapere. Non solo dalle vittime ma anche dai Talebani stessi, molto attivi sulle piattaforme. Su Twitter (ora X) si possono trovare sentenze, condanne e punizioni decise dalle corti talebane. Riguardano soprattutto le donne e le persone Lgbtq+. Sostengono la propaganda della paura.

Di tutto questo non si è parlato alla recente conferenza di Doha tra fine giugno e inizio luglio. La Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama) pubblica ottimi report sulla situazione delle donne, si parla di persecuzione di genere e crimini contro l’umanità, con conseguenti raccomandazioni ad agire. Che cadono nel vuoto delle lussuose sale di Doha dove i ricatti dei Talebani, che vincolavano la loro partecipazione al silenzio sui diritti delle donne, sono stati accettati dall’Onu senza battere ciglio. 

Così donne, ragazze e bambine continuano a percorrere, giorno dopo giorno, il loro labirinto di divieti, con l’ansia nella gola, la paura annidata stabilmente nei pensieri. Che cosa resta alle donne? Poco, oltre alla tenacia e al coraggio di chi si ostina a non lasciarsi schiacciare, a non far incenerire i propri sogni. Ragazze che continuano, ad esempio, nonostante l’alto rischio, a studiare nelle scuole segrete, proteggendo il prezioso sapere delle donne come un tesoro.  

Dice Samia, allieva di una scuola clandestina di Rawa: “Non ho nulla per realizzare i miei scopi, tranne una penna”. 

Pubblicato su Altreconomia

L’immagine è di repertorio e si riferisce a una lapidazione eseguita in Afghanistan per mano dei talebani nel 2015

Cristiana Cella, giornalista, scrittrice, sceneggiatrice. Segue le vicende afghane dal 1980, quando entrò clandestinamente a Kabul, vietata ai giornalisti, per documentare la resistenza della città contro l’invasione russa.  Dal 2009 fa parte del Direttivo dell’Associazione Cisda (Coordinamento Italiano Sostegno donne afghane), ha partecipato a diverse delegazioni in Afghanistan. Ha pubblicato un libro: ‘Sotto un cielo di stoffa. Avvocate a Kabul’, edito da Città del Sole Edizioni.

The Hamoon Mobile Health Unit in a slum near Kabul

The Hamoon Mobile Health Unit in a slum near Kabul

The Hamoon Mobile Health Unit provides essential health services to women and children.

We are publishing the latest report, which arrived yesterday, from the Afghan organization that manages the Unit relating to the intervention carried out in a shantytown self-built by internal refugees not far from Kabul, marginalized and abandoned by the de facto authorities.

The story testifies, once again, to the inhuman conditions faced by the population of Afghanistan.


The Hamoon Mobile Health Team provided essential medical services to women and children living in makeshift homes in Chahara-e-Sarsabzi, a marginalized and remote IDP camp near Kabul.

These families have faced years of war and adversity, losing their homes and seeking refuge in Kabul, only to encounter further poverty and hardship. They live in fragile, dark homes lacking basic amenities. When we approached this camp, it was unbelievable to find such conditions near the capital city where for twenty years, the United States spoke of democracy, women’s rights and reconstruction. Yet here, women and girls were lost amidst piles of garbage, their eyes full of pain and suffering.

Upon seeing our health team, people ran to us with joy. An elderly man asked with despair, “Have you lost your way?” Our doctors compassionately treated the desperate people in this camp. Each woman, girl, and child who received care was found to be suffering from severe infections, largely stemming from their involvement in garbage collection and sorting activities.

Beside the illness, most patients were malnourished and weak, suffering from inflammatory diseases and vitamin deficiencies due to lack of access to proper food and clean drinking water.

Habiba, a middle-aged woman, came to us seeking treatment for herself and her young daughter who were suffering from throat infections and diarrhea caused by their environment. “The pain and suffering of women never seem to end. After us, it will be our daughters who will suffer and die in poverty and hunger,” she lamented. “I lost my husband years ago, and I have two daughters aged 12 and 18, as well as a 15-year-old son. My son collects garbage nearby during the day and brings it home, where my daughters and I spend the entire day sorting through it, hoping to find leftover food to eat and plastics to sell. Every day, my daughters and I fall sick. No one can ever get used to eating leftover food from garbage; we are simply forced to do so,” she said tearfully, wiping away her tears.

One of our team members embraced her and provided the necessary vitamins and medications, though unfortunately, it could only alleviate a fraction of her pain and suffering.

Each patient had stories of years of war, suffering, and poverty that had plagued them. None of the children were attending school, and as child laborers, they had to solely fill their families’ stomachs. They could only lament their lost opportunities for schooling and education.

The health team spent the whole day with them, not only curing and distributing medicine and supplies but also listening to their pains and sorrows. In the end, people waved goodbye with kindness, pleading for us to visit again, as nobody else cares to help them; they have all been forgotten.