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Autore: Patrizia Fabbri

Centro culturale polivalente

Inaugurato nel marzo 2008 a Kabul. Realizzato in collaborazione con un’associazione afghana, ICS e CISDA e finanziato per un triennio da MAE (2007-2009 per un totale di 800.000 euro).
Il centro accoglie: una biblioteca accessibile a tutti gli studenti e gli uffici dell’Associazione.

CISDA sostiene le spese del sito Internet.

Le restrizioni alle donne peggiorano un sistema già fragile

Nel 2022, il 95% della popolazione non ha avuto abbastanza cibo per nutrirsi. Si prevede che nel 2023, oltre 3 milioni di bambini e bambine e 840.000 donne incinte e madri che allattano soffriranno di malnutrizione acuta. Basterebbero questi dati per immaginare quali possono essere le condizioni di salute degli afghani. Ma la malnutrizione si innesta in una situazione sanitaria estremamente fragile e i dati sono spaventosi:

  •  la tubercolosi provoca circa 13.000 morti ogni anno;
  •  nel 2022 si sono registrati 78.441 casi di morbillo, più del doppio rispetto al 2022, con 394 decessi;
  •  a metà del 2022 si è diffusa una grave epidemia di colera che nel 55,4% dei casi ha riguardato bambini con meno di 5 anni;
  • sono stati registrati 208.771 casi di Covid-19 con circa 8.000 decessi, cifre che l’OMS valuta in difetto a causa della limitata attività di tracciamento e diagnosi;
  •  negli ultimi anni i talebani hanno reso impraticabile la vaccinazione contro la poliomielite in ogni territorio che occupavano, mettendo a rischio di infezione fino a tre milioni di bambini;
  •  l’Afghanistan ha uno dei più alti tassi di mortalità infantile del mondo con 638 morti ogni 100.000 nati vivi (dati 2017, gli ultimi disponibili).

Alle malattie vanno aggiunte le migliaia di feriti per attentati, scontri armati e disastri naturali. Il sistema sanitario pubblico afgano è sottofinanziato, a corto di personale e disfunzionale, mentre quello privato, per via degli alti costi, risulta proibitivo per la maggior parte della popolazione.

Fino all’agosto 2021, il progetto Sehatmandi, finanziato dalla Banca Mondiale, ha sostenuto circa i due terzi di tutte le strutture pubbliche. Con la sospensione dei finanziamenti il sistema è collassato e gli operatori sanitari hanno smesso di ricevere gli stipendi: “Questo è avvenuto” si legge nel report 2023 di Medici Senza Frontiere “dopo che molti non erano stati pagati per mesi a causa di un mix di fondi insufficienti e cattiva gestione, compreso l’uso improprio dei fondi stessi”.

Nel giugno 2022, Unicef, Banca mondiale e OMS hanno concordato un finanziamento di 333 milioni di dollari per la fornitura di servizi sanitari emergenziali, ma permangono preoccupazioni sulla gestione di questi fondi.

Di fatto, le organizzazioni umanitarie, come Medici Senza Frontiere, Croce Rossa Internazionale, Emergency e le agenzie dell’ONU, sostituiscono da anni il sistema sanitario pubblico.

La cronica carenza di personale sanitario qualificato si è acutizzata dopo il ritorno dei talebani a causa delle restrizioni imposte alle donne, la cui presenza tra gli operatori sanitari era molto elevata. Per lo stesso motivo, la maggior parte delle entità che sostengono le persone con disabilità ha chiuso o ridotto i propri servizi.

Se è molto complesso e costoso per tutti gli afghani che vivono nelle zone rurali raggiungere i presidi sanitari, per le donne, a causa delle limitazioni imposte agli spostamenti, è diventata un’impresa quasi impossibile. Di conseguenza la salute di donne e bambini è ulteriormente compromessa.

Come segnalato nel rapporto dell’Human Rights Council dell’ONU del giugno 2023, le donne devono abitualmente partorire senza assistenza professionale o incorrere in debiti significativi per partorire presso strutture sanitarie private. Alle donne che cercano di entrare da sole nelle farmacie è stato negato l’accesso.

Altra piaga è il disagio mentale: contrariamente alle affermazioni dei talebani secondo cui i suicidi sono diminuiti e la salute mentale è migliorata dall’agosto 2021, le segnalazioni di depressione e suicidio sono diffuse, soprattutto tra le ragazze adolescenti a cui è stato impedito di proseguire gli studi.

Ma si sta verificando un altro grave sopruso nei confronti delle donne, come segnala il Rapporto annuale dell’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani: i funzionari del Ministero per la virtù e la prevenzione del vizio effettuano controlli presso le strutture mediche per verificare che medici maschi non stiano curando donne. Un veto che corrisponde, di fatto, a una condanna a morte visti gli ostacoli posti all’attività dei medici donna, il cui numero verrà ulteriormente ridotto in futuro a causa del divieto di accesso all’università per le donne.

 

Stop a bambine e ragazze

A giugno 2021, due mesi prima della presa del potere da parte dei talebani e venti anni dopo l’occupazione USA-NATO, il sistema scolastico afghano presentava già notevoli criticità.

La popolazione scolastica, secondo l’UNICEF, ammontava a 6,6 milioni nella scuola primaria (di cui 2,6 milioni di bambine, circa 4 su 10) e 3,1 milioni nella scuola secondaria (di cui 1,1 milioni di ragazze), mentre 4,2 milioni di bambini, di cui il 60% femmine, non frequentavano alcuna scuola.

Ma alla fine del ciclo primario, il 93% degli studenti non aveva comunque raggiunto il livello minimo di competenze.

Questo insuccesso va correlato alla permanente situazione di guerra, alla miseria e alla fame, alla mancanza di trasporti, al rischio di aggressioni e rapimenti durante il tragitto scuola-casa, ai matrimoni precoci, ai ruoli tradizionali, alla carenza e inadeguatezza degli edifici, spesso occupati da milizie armate, alla pesante corruzione, che ha vanificato i finanziamenti esteri, ma anche alla scarsa formazione del personale: solo il 38% degli insegnanti maschi e solo il 34% donne, destinate alle classi femminili, sono in possesso del titolo di studio richiesto (14° grado).

Brevi i turni di lezione, eccessivo il numero degli studenti per classe: tra 40 e 60.

Tra il 2001 e il 2021 il tasso di alfabetizzazione è raddoppiato (dal 17% a quasi il 30%), ma è rimasto fortemente disomogeneo per genere (l’analfabetismo femminile è tra l’84% e l’87%) e per aree geografiche, con le aree rurali fortemente penalizzate.

Dopo la presa del potere da parte dei talebani, nell’agosto 2021, la riapertura graduale delle scuole ha escluso le ragazze a partire dal 7° grado (12 anni di età), causando forti proteste interne e condanne internazionali. Le pressioni dei donatori esteri, interessati a normalizzare le relazioni con il governo di fatto, si sono concretizzate in esenzioni da alcune sanzioni imposte precedentemente, come per esempio la risoluzione 2615 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 22 dicembre 2021, sostenuta da tre “General licences” USA, che si è concretizzata in donazioni per l’emergenza umanitaria e a favore dell’educazione delle ragazze: il 13 settembre 2021 ECW (il fondo ONU per emergenze educative), Italia e USA hanno versato 12 milioni di dollari; il 18 gennaio 2022 l’Unione Europea ha versato 50 milioni di euro per pagare gli insegnanti; il 25 gennaio 2022 l’Asian Development Bank ha versato 405 milioni di dollari per cibo, salute, educazione; il 1° marzo 2022 la Banca Mondiale un miliardo di dollari e così via.

Le pressioni per limitare l’oppressione di genere hanno inasprito il conflitto interno tra le fazioni al governo, da una parte coloro che vogliono trattare per ottenere fondi e dall’altra gli intransigenti. Malgrado determinate province abbiano riaperto alcune scuole alle ragazze, nel dicembre 2022 è stata vietata loro l’istruzione universitaria, e oltre 100.000 studentesse sono state espulse anche dallo studio di discipline (come medicina e pedagogia per la scuola primaria) in cui l’occupazione femminile viene parzialmente tollerata.

Intanto, la qualità dell’istruzione è totalmente compromessa: le discipline religiose in chiave fondamentalista sostituiscono in gran parte le altre materie, specie quelle scientifiche. Insegnanti e alunne sono sottoposte a misure vessatorie che scoraggiano la frequenza scolastica.

Infine, le istituzioni educative sono oggetto di attacchi terroristiche che colpiscono principalmente donne e ragazze: l’attacco contro il Kaaj Educational Center il 30 settembre 2022 a Kabul ha causato la morte di 54 persone e il ferimento di altre 114; la maggior parte delle vittime erano giovani donne e ragazze hazara che si stavano preparando per l’esame di ammissione all’università.

 

Informazione – Giornaliste e giornalisti bersaglio dei talebani

Dopo la presa del potere da parte dei talebani, la raccolta di notizie in Afghanistan da parte dei media locali è pressoché inesistente. Migliaia di giornalisti afgani, tra cui centinaia di donne i cui volti erano noti, sono stati bersaglio immediato della rappresaglia delle milizie talebane, costringendo molti di loro alla clandestinità o alla fuga.

Nella classifica mondiale sulla libertà di stampa di Reporters Sans Frontières del 2020, l’Afghanistan era al 122° posto tra 180 paesi e nella mappa globale di Freedom House era classificato come paese non libero.

Già nel precedente governo di Ashraf Ghani però, si era tentato di limitare il lavoro indipendente dei reporter con una proposta di legge che avrebbe voluto obbligare alla rilevazione delle fonti. Proteste da parte delle categorie coinvolte avevano bloccato il tentativo di ingerenze dell’autorità, giustificato dal timore di ritorsioni. La situazione oggi si è ulteriormente aggravata.

Il 20 luglio 2022 Unama ha pubblicato un rapporto sui diritti umani in Afghanistan  nel quale, a proposito di informazione, si legge: “Nei 10 mesi trascorsi da quando hanno preso il controllo dell’Afghanistan, le autorità de facto hanno chiarito la loro posizione sui diritti alla libertà di riunione pacifica, alla libertà di espressione e alla libertà di opinione. Hanno limitato il dissenso reprimendo le proteste e limitando la libertà dei media, anche arrestando arbitrariamente giornalisti, manifestanti e attivisti della società civile e imponendo restrizioni ai media”. Sempre secondo il rapporto Unama, sono stati colpiti 173 giornalisti e operatori dei media, 163 dei quali sono stati attribuiti alle autorità de facto. Tra questi vi sono stati 122 casi di arresto e detenzione arbitrari, 58 casi di maltrattamento, 33 casi di minacce e intimidazioni e 12 casi di detenzione. Durante il primo anno di regime sono stati uccisi anche sei giornalisti (cinque da parte dell’ISIS-K, uno da autori sconosciuti).

Il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) l’11 agosto 2022 ha pubblicato un report  in cui viene denunciata la situazione dell’informazione in Afghanistan a un anno dalla presa del potere da parte dei talebani. Censure, arresti, aggressioni, restrizioni alle donne giornaliste, fuga di giornalisti esperti hanno ridotto in modo allarmante la libertà di informazione.

Il Rapporto di Human Rights Watch del 2023 nella sezione Eventi 2022 – Libertà di stampa e parola, a proposito della libertà dei media e dell’informazione dichiara: “Le autorità talebane hanno attuato un’ampia censura e messo in atto restrizione e violenze contro i media afghani a Kabul e nelle province. Centinaia di media sono stati chiusi e si stima che l’80% delle giornaliste in tutto l’Afghanistan abbia perso il lavoro o lasciato la professione dalla presa del potere da parte dei talebani nell’agosto 2021”.

Attualmente la situazione è peggiorata. I giornalisti e le giornaliste afghani che vogliono restare nel loro paese e non andare via devono essere aiutati, perché l’evacuazione non può essere la soluzione. Le minacce che provengono dal regime talebano repressivo e rigido non possono impedire che esca la verità su ciò che sta accadendo nel paese.  A tale proposito abbiamo raccolto la testimonianza di chi dall’interno resta e continua a resistere.

 

Ci sono ancora emittenti radiofoniche o televisive che trasmettono a livello nazionale? Se sì, quanti e quali sono?

Sebbene molti canali radiofonici e televisivi siano stati chiusi dopo la presa del potere da parte dei talebani, molti sono ancora operativi. Naturalmente, c’è una severa censura imposta dai talebani e molti giornalisti, conduttori di notizie ed editori sono stati arrestati e minacciati. Pertanto, tutti i media sono molto attenti ai loro rapporti.

Che tipo di programmi vengono trasmessi, e in che lingua?

La maggior parte dei programmi di intrattenimento sono stati chiusi. Non viene messo in onda alcun film o serie, anche se a tema religioso. In passato venivano messe in onda molte soap opera dalla Turchia e dall’India tradotte in dari e pashto. La TV nazionale sta agendo secondo l’agenda dei talebani. Ma ora sono vietati.

I telegiornali possono trasmettere immagini?

Sì, i telegiornali trasmettono immagini, ma invece la maggior parte delle immagini dai cartelloni pubblicitari e dai negozi della città sono state rimosse.

È vero che non si possono più fare foto o video?

Ufficialmente, non è vietato. Diversi gruppi di talebani agiscono secondo i loro metodi. Mentre alcuni gruppi fermano le persone, controllano i loro telefoni cellulari e cancellano immagini e video, mentre altri gruppi non se ne preoccupano.

Ci sono giornaliste che possono lavorare? Dovrebbero coprirsi completamente?

Alla maggior parte delle giornaliste donne è vietato apparire sugli schermi televisivi, e poche appaiono, ma devono seguire rigorosamente gli le imposizioni dei talebani sull’hijab. Devono vestirsi di nero dalla testa ai piedi e persino indossare una maschera nera. Solo i loro occhi sono visibili.

Ci sono giornali o stampa clandestina?

Alcuni giornali e canali televisivi operano dall’estero, mentre hanno i giornalisti segreti all’interno dell’Afghanistan o acquistano la maggior parte del materiale dalle agenzie di stampa internazionali. Usano anche il materiale dei social media, condiviso dai netizens all’interno del paese.

Che tipo di media utilizza il regime talebano per la sua propaganda?

La TV e la radio nazionali.

 

Forbidden to Live: The Main Rights Denied by the Taliban

Taliban rules infiltrate the daily lives, bodies, and minds of women, influencing every gesture and action, making fear a normal and everyday state of mind. Mental distress and suicides are on the rise. Transgressions are punished with physical and psychological violence against both women and the male members of their families. Women’s prisons are filled with women accused of moral crimes.

The following report lists some of the decrees issued by the Taliban to restrict Afghan women in various spheres of life, imposed since August 2021, when they were brought back to power by the United States/NATO.

  1. Revoked the right to participate in public and political life. Women are forbidden from engaging in political and public activities.
  2. Revoked the right to protest. Dozens of courageous women have been arrested and tortured for organizing demonstrations for their rights.
  3. Revoked the right to hold government positions.
  4. Prohibition of high school education for girls above sixth grade. This ban has increased violence against girls, including child and forced marriages. Nada Mohammad Nadim, the Taliban’s Minister of Higher Education, declared in a speech, “Girls in schools are obscene and immoral.”
  5. Closure of music and art schools. Since the end of August 2021, all centers dealing with music and art education have been closed. Playing music on television and radio channels, as well as at weddings and other celebrations, is banned because the Taliban consider music “forbidden” in Islam. Some musicians have been publicly mistreated, humiliated, and arrested, and their musical instruments destroyed.
  6. Prohibition of sports activities. Since September 8, 2021, women have been banned from sports: “Women’s sports are inappropriate and unnecessary activities because players’ faces and bodies cannot be covered, which is not allowed by Sharia.” Therefore, women have no right to physical activity.
  7. Sex segregation in public spaces.
  8. Creation of the Ministry of “Morality.” The Ministry of Women’s Affairs has become the “Ministry for the Propagation of Virtue and the Prevention of Vice.” This ministry is the main body of the Taliban regime that imposes strict Islamic rules, including the dress code, the requirement of a mahram (father, brother, husband, or son) to accompany women when traveling, and the ban on wearing white shoes (because the Taliban flag is white). Women who do not follow these rules can also be arrested.
  9. Ban on appearing on television. According to an order issued by the Taliban in November 2021, women are forbidden to appear and work on television; journalists and presenters are ordered to cover their faces completely.
  10. Travel restrictions. On December 26, 2021, the Taliban imposed restrictions on women’s movements. Drivers were ordered not to pick up women without a hijab. Women without a mahram cannot travel alone beyond a distance of 72 kilometers. Women are not allowed to sit in the front seat of cars, and any man and woman traveling alone are stopped and questioned to determine if the man is the woman’s mahram.
  11. Imposition of the hijab. Women were ordered to wear the hijab in January 2022. The Taliban also created a program called “Hijab Observance,” installing billboards in cities. On May 7, 2022, it was ordered that all women must cover their faces in public places, and if the order is violated, the woman’s male guardian will be punished. Members of the religious police can stop women on the street and force them to buy a hijab in the nearest market before returning home.
  12. Driving ban. In May 2022, a decree was issued in Herat province banning women from driving and driving schools from teaching women.
  13. Ban on attending public places. On March 27, 2022, women were banned from attending recreational parks, public baths, hair salons, and sports clubs.
  14. Prohibition of interaction between female students and male staff. The Taliban imposed restrictions on university staff, preventing them from interacting with female students. Female students were also not allowed to interact with male classmates or attend their graduation ceremonies. Girls were banned from language training courses. In September 2022, the Taliban ordered language training centers to hire female teachers or face closure.
  15. Ban on choosing different fields of study. Girls are forbidden from choosing certain fields of study in universities. In the first week of October 2022, when high school graduates took university entrance exams, they were asked not to choose fields like agriculture, veterinary medicine, civil engineering, and mining engineering. Two weeks later, girls were also banned from continuing their master’s studies in fields such as agriculture, commerce, computer science, and engineering.
  16. University education ban. On January 28, 2022, all private universities were ordered not to admit female students for the next year until further notice. With the issuance of Decree No. 2271 on December 20, 2022, all public and private universities were closed to girls due to the “presence of female students without a mahram in dormitories.”
  17. Banning the right to work. Women are banned from working outside the home, particularly in international and national non-governmental organizations. The Taliban do not allow women to work from home either. Many offices were forced to lay off female employees.
  18. Control of reproductive rights. Restrictions on family planning were imposed in Kabul and several other provinces. Doctors, healthcare workers, and pharmacists were ordered not to prescribe or sell birth control and sexual enhancement drugs. If violated, their work permits would be confiscated.
  19. Valentine’s Day ban. On February 14, 2023, the Taliban declared Valentine’s Day a blasphemous culture and beat some flower sellers. Shops and restaurants were forced to close on this day.
  20. Removal of female images from public places. Images of women in public spaces, including beauty salons, billboards, markets, wedding halls, educational courses, and private schools, private clinics, and public and private hospitals, were forcibly removed or defaced with black paint. The statue of a woman in the courtyard of Kabul University was also defaced, removed, and broken.
  21. Removal of female mannequins from shops. Clothing stores cannot display female mannequins. In Herat province, shopkeepers were forced to decapitate mannequins.
  22. Prohibition of publishing images of living beings. Government newspapers do not have the right to publish images of living beings because, from the Taliban’s perspective, it is forbidden in Islam to print images of humans and animals.
  23. Restriction on providing government services. Government offices can only provide services to women with hijab and mahram twice a week, while on other days, women are prohibited from entering any government office.

I delitti contro le donne… non sono delitti

Per le donne in Afghanistan non c’è giustizia, c’è una mirata e ossessiva persecuzione di genere. Il Ministero della Giustizia e tutte le leggi che vige6vano nel paese sono state smantellate, così come il Ministero degli Affari femminili e tutti i programmi di sostegno alle donne vittime di violenza. L’unica legge in vigore nel paese è la sharìa, secondo l’interpretazione estrema dei talebani. Legge, declinata in innumerevoli divieti, sempre più numerosi, che escludono le donne dalla vita sociale e sospendono la vita stessa.

E se limitare i diritti delle donne e delle ragazze è il principale risultato previsto degli editti, diversi editti sono diretti agli uomini (per esempio, un dipendente pubblico rischia la sospensione dal lavoro se sua moglie o sua figlia non indossano “l’hijab adeguato”) contribuendo così ad aumentare il controllo sociale sulle donne.

I delitti contro le donne non hanno nemmeno la dignità di essere delitti, sono comportamenti, governati dalla sharia. Accettati. Accolti dentro la vita di ogni giorno. L’impunità è totale. La violenza domestica e sociale non è più reato. Non c’è più nessuna autorità alla quale appellarsi. Nelle corti talebane le decisioni, in ambito sia civile che penale, vengono prese dagli uomini in assenza delle donne. I codici cambiano e sono i talebani a possederli. La giustizia è sprofondata nel fanatismo. Basta la sharia.

Chiedere un intervento della corte talebana, mette le donne a rischio di violenza e violenza sessuale. Come si legge nel rapporto del giugno 2023 rilasciato dall’Human Rights Council dell’ONU, le donne che chiedono il divorzio o fuggono da situazioni domestiche violente sono le più colpite, poiché sono abitualmente costrette a tornare a relazioni violente. Gli esperti dell’ONU hanno sentito gli avvocati che gestiscono casi in cui donne che erano andate in tribunale chiedendo il divorzio sono state ammonite dal giudice con osservazioni del tipo “la tua mano non è rotta, la tua gamba non è rotta, perché vuoi il divorzio?”, “Ottieni prima il consenso di tuo marito” e categoricamente “non puoi divorziare”. Il ritorno forzato delle donne a partner violenti è stato ulteriormente esacerbato da un editto secondo cui qualsiasi caso di divorzio risolto durante l’era della Repubblica può essere rivisto da un giudice dell’Emirato islamico dell’Afghanistan.

Le donne che lavoravano in ambito giuridico, avvocate, procuratrici, giudici, sono senza lavoro, vivono nascoste e minacciate per la loro passata attività a favore delle donne. Sono anche il bersaglio di uomini condannati per le violenze inflitte e liberati dai talebani. Uomini che cercano tenacemente vendetta.

Com’era prima: la giustizia nei 20 anni di occupazione USA/NATO

La violenza strutturale contro le donne non è stata intaccata nel corso degli ultimi 20 anni, nonostante la propaganda. Le opportunità c’erano, ma non per tutte. A fronte di alcune donne che riuscivano ad affermare la propria autonomia e a percorrere la propria strada professionale, spesso con gravi rischi (attacchi alle scuole e alle studentesse, omicidi mirati dei talebani alle donne professionalmente attive, minacce e intimidazioni), il resto del mondo delle donne afghane soffocava nel silenzio e nella quotidiana violenza che raggiungeva l’87% delle donne.

La giustizia per i reati commessi contro di loro restava una chimera ma esistevano fondamentali strutture di sostegno per le donne: Centri di Aiuto Legale, con assistenza legale, medica e psicologica, Case Protette, Ministero degli Affari Femminili, associazioni e Ong molto attive. L’impunità per i delitti contro le donne è rimasta comunque molto alta in tutto questo periodo.

Le leggi in vigore 2001/2021

Eppure le leggi buone c’erano. Il sistema giudiziario era stato riformato proprio dagli italiani Eccole.

Ratificata nel 2003, la CEDAW (Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne).

Nel 2004 la Costituzione prevede l’Articolo 22: “I cittadini afghani, sia uomini che donne, hanno gli stessi diritti di fronte alla legge.” L’efficacia di questo articolo è però indebolita dall’Articolo n. 3: “Nessuna legge può essere contraria ai principi e alle disposizioni della sacra religione dell’Islam”, la sharia dunque è fondamento del diritto e non può essere ignorata in alcun caso.

Nel 2009 la legge EVAW( Eliminazione della violenza contro le donne, trasformata in legge da Karzai ma mai ratificata dal Parlamento) prevede sanzioni penali per i colpevoli di 17 forme diverse di violenza e criminalizza le tradizioni dannose, ba’d (bambine date in spose per riparare un torto) e badal, (scambio di ragazze e bambine tra famiglie.)

Solo il 5% dei casi è trattato con la procedura penale sotto la legge Evaw (Unama ’16); nell’80% dei casi funziona o la mediazione familiare o la Giustizia Parallela, sistema giuridico informale basato sulla sharìa e sulle leggi tribali tradizionali.

In pochi si rivolgono alla Giustizia governativa per gli alti costi della corruzione.

Purtroppo, le buone leggi, nei 20 anni di occupazione, sono state poco usate e molto ostacolate.

Le strutture del potere, che avrebbero dovuto applicarle, come il Parlamento o il Governo delle diverse province, erano saldamente in mano ai Signori della Guerra, potenti capi tribali, fondamentalisti feroci, che si erano macchiati di innumerevoli crimini di guerra oppure ai talebani che continuavano a governare parte del paese. Proteggere le donne e condannare i colpevoli di violenza non era certo una loro priorità. Ostacolare i percorsi intrapresi per ottenere giustizia, era prassi comune nella quale venivano utilizzate minacce, intimidazioni, omicidi.

I sistemi giuridici. La difficile scelta delle avvocate

Come ci hanno spesso raccontato le avvocate che si battevano per i diritti delle donne, quando si è di fronte a una cliente in difficoltà, bisogna sostenere e coltivare il loro coraggio ma rispettarne la paura. Difendere le donne e pretendere i loro diritti fondamentali era un’attività molto rischiosa per la cliente e per l’avvocata. Si potevano seguire percorsi legali diversi per cercare di ottenere giustizia, a seconda delle situazioni e dei rischi.

Processo Penale. Denunciare penalmente l’uomo violento sotto la legge Evaw, era una strada piena di ostacoli.        Si prevedeva la condanna dell’aggressore, (che spesso scontava pene molto brevi perché era in grado di minacciare i giudici o corrompere le autorità) e diventava quindi più probabile la ritorsione violenta da parte dell’accusato e della sua famiglia.

Il processo civile alla Family Court. Non erano previste condanne né pene né denunce, il colpevole rimaneva impunito, ma si poteva ottenere almeno il divorzio, un prezioso pezzo di carta che sanciva la libertà della donna dal marito violento.

Mediazione Familiare. Era sempre il primo gradino, entrare nella famiglia, discutere, ottenere rassicurazioni e impegni positivi. Mettere sotto sorveglianza. Raramente efficace.

La Shura, Corte Tradizionale, Assemblea degli anziani e dei religiosi. Nella shura è in vigore la sharìa e le decisioni raramente sono a favore della donna. Ma, a volte, era l’unica strada e poteva sancire una separazione dal marito violento.

Chi ancora combatte per la giustizia delle donne

Nell’oscuro vuoto nel quale il paese è precipitato, dove la giustizia per le donne si è sbriciolata e se ne nega perfino l’esistenza, ci sono donne che mantengono vive piccole luci di protezione.

Organizzazioni di donne coraggiose come RAWA, HAWCA, OPAWC, continuano a cercare di difendere le donne, schivando, come possono, i divieti e le sanzioni talebane. Scuole segrete, dove ancora si parla di diritti e di giustizia per le donne, dove si trovano conforto e aiuto, piccoli appartamenti nascosti e sicuri dove le donne a rischio possono rifugiarsi, dopo la chiusura degli shelter, e cercare di vivere una vita protetta, nell’ombra.  È proprio nell’ombra, dove le donne si nascondono, che si coltiva la speranza.