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Autore: Patrizia Fabbri

Comunicato stampa – Chiusura Petizione Stand UP With Afghan Women

In occasione delle celebrazioni per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il 25 novembre 2023, il Coordinamento Italiano a Sostegno delle Donne Afghane (CISDA), Large Movements Aps e AltrEconomia, insieme alle associazioni afghane Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (RAWA) e Hambastagi (Partito della Solidarietà) inviano all’attenzione delle istituzioni italiane, europee e internazionali la petizione “Stand Up With Afghan Women”.

La petizione è stata lanciata un anno dopo il drammatico ritiro del 15 agosto 2021 delle truppe occidentali dall’Afghanistan seguito all’accordo di Doha tra Stati Uniti e Talebani, ed è una prima tappa della campagna di mobilitazione che vede coinvolte sugli stessi obiettivi 92 associazioni italiane ed europee insieme alle due organizzazioni afghane. I quattro obiettivi individuati nella petizione risultano oggi alla luce degli ultimi sviluppi ancora più pregnanti:

1)   NON RICONOSCIMENTO DEL GOVERNO DEI TALEBANI

Malgrado le rassicurazioni formali da parte dei governi e delle istituzioni internazionali, assistiamo a un riconoscimento strisciante del governo di fatto che si traduce in supporto finanziario, attraverso rapporti bilaterali e contratti economici. Attualmente sono aperte a Kabul ambasciate di ben 15 paesi, tra cui Cina, India, Indonesia, Russia, Pakistan, Qatar, Arabia Saudita, Turchia, eccetera. Gli USA, attraverso la propria agenzia governativa per lo sviluppo USAID, hanno investito

825.9 milioni di dollari in Afghanistan solo nel 2023. Sotto forma di aiuti umanitari di emergenza, la UE ha stanziato, nel novembre 2023, 60 milioni di euro per assistenza all’interno del paese, che si aggiungono ai 94 milioni già stanziati quest’anno. L’ONU ha lanciato un piano che riguarda tutte le Nazioni Unite: richiede 4,62 miliardi di dollari per assistere circa 23,7 milioni di afghani all’interno del paese nel 2023. Un simile appello per il 2022 è stato poi finanziato solo per il 52%, con 321 milioni di dollari ricevuti a fronte dei 623 milioni richiesti. Si tratta di cifre ingenti benchè insufficienti di fronte alla gravità della catastrofe umanitaria. Ma la corruzione a tutti i livelli, carattere distintivo dell’epoca di occupazione Nato, si è perpetuata anche nell’era talebana. Alla popolazione arrivano ancora una volta le briciole, mentre la mancata costruzione di infrastrutture essenziali durante i 20 anni di occupazione occidentale vanifica ogni soccorso. Oltre a intascare la gran parte degli aiuti, il governo talebano investe le risorse nel potenziamento del proprio apparato repressivo, ai danni della popolazione che dovrebbe assistere.

2)   AUTODETERMINAZIONE DEL POPOLO AFGHANO

La cancellazione dello stato di diritto, la negazione di ogni forma di partecipazione democratica, la violazione sistematica dei diritti umani, l’apartheid di genere, documentate anche da fonti autorevoli come l’ONU (Special Rapporteur R. Bennet, 9/02/23 e 15/06/23) rendono estremamente rischiosa ogni attività sociale e politica da parte dell’opposizione civile all’interno del paese. L’ingerenza negli affari interni delle potenze regionali e globali, che sostengono ognuna una qualche fazione fondamentalista all’interno o all’esterno della galassia talebana, allontana la possibilità per le organizzazioni democratiche di giocare un ruolo attraverso la politica dando rilievo invece agli attentati e alle azioni armate perpetrate dai fondamentalisti sedicenti “resistenza”. Chiediamo che gli Stati che sostengono milizie talebane o altri gruppi terroristici vengano sottoposti a sanzioni.

3)   RICONOSCIMENTO POLITICO DELLE FORZE AFGHANE PROGRESSISTE

Le forze progressiste, quali Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (RAWA) e Solidarity Party of Afghanistan – HAMBASTAGI, che sostengono i diritti e le donne quali parte attiva della società, devono essere riconosciute interlocutori politici dall’Unione Europea e dai governi nazionali in Europa. Le organizzazioni non armate continuano ad operare in clandestinità, e il fatto che vengano sistematicamente ignorate dalle istituzioni internazionali le rende più vulnerabili. Eppure attorno ad esse gravita una rete di attivisti per i diritti umani, composta da organizzazioni prevalentemente femminili, che ancora resistono e operano in tutte le province sviluppando progetti di resistenza civile (scuole segrete, sostegno umanitario, sostegno sanitario ecc.). Chiediamo che vengano sostenute.

Al contrario, i rappresentanti dei governi precedenti corrotti e fondamentalisti, che hanno goduto dei vantaggi dell’occupazione e sono stati evacuati in sicurezza, non devono avere ruoli di rappresentanza della popolazione afghana.

4) MONITORAGGIO SUL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI

Dando seguito ai rapporti dell’Human Rights Council dell’ONU del 2023 sopra citati e alle indagini documentate di diverse agenzie internazionali, come Amnesty International e HRW, vanno accertate le responsabilità in materia di violazione dei diritti umani e crimini contro l’umanità perché ogni violazione venga portata all’attenzione della Corte Penale Internazionale. Le Autorità europee, in cooperazione con le agenzie dell’ONU, devono istituire un organismo di investigazione indipendente a cui partecipino attiviste e attivisti per i diritti umani afghani e internazionali. In particolare, va perseguito con determinazione il reato di apartheid di genere come da più parti invocato. L’espulsione forzosa dei rifugiati afghani dal Pakistan a cui assistiamo in queste settimane e le inammissibili procedure da parte degli Stati occidentali che impediscono con metodi burocratici l’accesso al diritto d’asilo a milioni di profughi, sono solo l’ultima violazione massiccia ai danni della popolazione afghana, ed espongono in modo particolare le donne a ulteriori gravissime violenze.

Hanno firmato la petizione, oltre alle 92 organizzazioni della società civile italiana ed europea, 2 organizzazioni afghane e più di 4.300 cittadini italiani, europei ed extra-europei.

Alcune istituzioni hanno deciso di manifestare direttamente il proprio sostegno alla Campagna e alla Petizione attraverso l’approvazione di mozioni: la Commissione Pari Opportunità del Comune di Imola, i Comuni di L’Aquila, Modena, Fano. Altri istituzioni locali, come ad esempio la Regione Toscana, la provincia di Siena, la città di Cesena, hanno espresso la loro solidarietà in diverse forme.

Dopo la consegna delle firme ai destinatari della petizione, la campagna rimane attiva: un’inversione di tendenza in direzione dell’affermazione dei diritti universali, e delle donne in special modo, esige un impegno congiunto, solidale e duraturo. Per questo continueremo a coinvolgere la società civile, le forze sociali e politiche, e ad esercitare ogni pressione, richiamando con forza le istituzioni al loro ruolo di garanti dei diritti.

FIRMATO

C.I.S.D.A. ETS, LARGE MOVEMENTS APS, ALTRECONOMIA, RAWA, HAMBASTAGI

Scarica qui il Comitato promotore e le Organizzazioni aderenti

Il giorno 4 dicembre alle ore 18 si è svolto l’incontro online delle Associazioni promotrici. Guarda il video.

Contatto stampa: stampa@cisda.it

English Version

On the occasion of the International Day for the Elimination of Violence against Women, on 25

November 2023, the Italian Coordination in Support of Afghan Women (CISDA), Large Movements Aps and Altreconomia, together with the Afghan associations Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (RAWA) and Hambastagi (Solidarity Party) are addressing a petition to the attention of Italian, European and international institutions.

The petition has been launched a year after the dramatic withdrawal of Western troops from Afghanistan on 15 August 2021 which was the result of the Doha Agreement between the United States and the Taliban. The petition is the first stage of a mobilization campaign that involves 92

Italian and European associations and focusses on objectives shared with the two Afghan organizations. The four objectives identified in the petition are more significant than ever in the light of the latest developments:

1)   Non-recognition of the de facto Taliban government

Despite formal assurances from governments and international institutions, we are witnessing a creeping recognition of the de facto government that translates into financial support through bilateral relations and economic contracts. Embassies of 15 countries are currently open in Kabul, including China, India, Indonesia, Russia, Pakistan, Qatar, Saudi Arabia, Turkey, etc.

The US, through its government development agency USAID, invested $825.9 million in Afghanistan in 2023 alone. In the form of emergency humanitarian aid, the EU allocated € 60 million in November 2023 for assistance within the country, in addition to other € 94 million already allocated for the same year. The UN has launched a plan that affects all the members of the United Nations: it requires $4.62 billion to assist about 23.7 million Afghans inside the country in 2023. A similar call for 2022 had been financed only by 52%, with $321 million received against the $623 million requested. These figures, although large, are insufficient in view of the gravity of the humanitarian disaster. But corruption at all levels, a distinctive feature of the era of the NATO occupation, has also continued in the Taliban era. Once again, only crumbs are coming to the population, while the failure to build essential infrastructure during the 20 years of Western occupation defeats all the help. In addition to pocketing most of the aid, the Taliban government is investing resources in strengthening its repressive apparatus, to the detriment of the population they are supposed to assist.

2) Self-Determination Of The Afghan People

The cancellation of the rule of law, the denial of any form of democratic participation, the systematic violation of human rights, and gender apartheid, documented also by authoritative sources such as the UN (Special Rapporteur R. Bennet, 9/02/23 and 15/06/23) make extremely risky every social and political activity carried out by the civil opposition in the country. The interference in internal affairs by regional and global powers, each supporting one or another fundamentalist faction within or outside the Taliban galaxy, prevents democratic organizations from playing a role through politics. It emphasizes instead the attacks and armed actions perpetrated by the so-called “resistance” fundamentalists. The petition demands that sanctions are imposed on states supporting Taliban militias or other terrorist groups.

3) Political Recognition Of Progressive Afghan Forces

Progressive forces, such as the Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (RAWA) and The Solidarity Party of Afghanistan – HAMBASTAGI, who support human rights and stand up for women, must be recognized as political interlocutors by the European Union and national governments in Europe. The fact that they are systematically ignored by international institutions makes them more vulnerable. Yet they are surrounded by a network of human rights activists, composed mainly of women’s organizations, who are still resisting and working in all the provinces, developing projects of civil resistance (secret schools, humanitarian support, health support, etc.). We demand that they are supported. On the contrary, representatives of previous corrupt and fundamentalist governments, who have enjoyed the benefits of the occupation and have been safely evacuated, must not be acknowledged as representative of the Afghan population.

4) Supervising Respect For Human Rights

Following the reports of the UN Human Rights Council of 2023 cited above and the documented investigations of several international agencies, such as Amnesty International and HRW, the responsibility for human rights violations and crimes against humanity must be ascertained so that any violation is brought to the attention of the International Criminal Court. The European authorities, in cooperation with UN agencies, must establish an independent investigative body involving Afghan and international human rights activists. In particular, the crime of gender apartheid, as advocated by many quarters, must be pursued with determination. In recent weeks, we have witnessed forced expulsions of Afghan refugees from Pakistan, and the unacceptable procedures by Western states, which use bureaucratic stratagems to prevent millions of refugees from gaining access to the right of asylum: these are only the latest massive violations of human rights that affect the Afghan population, and they expose especially women to further serious risks of violence.

The petition has been signed by 92 Italian and European civil society organizations and 2 Afghan organizations, and by more than 4,300 Italian, European and non-European citizens.

Some institutions such as the Equal Opportunities Commission of the Municipality of Imola, the Municipalities of L’Aquila, Modena, Fano, have decided to directly demonstrate their support for the Campaign and the Petition by passing motions. Other local institutions, such as the Tuscany Region, the province of Siena, the city of Cesena, have expressed their solidarity in different forms.

After handing over the collected signatures to the petition recipients, the campaign remains active: a reversal of the trend towards the realization of universal rights, and women rights in particular, requires a joint, supportive and lasting commitment. This is why we will continue to involve civil society, social and political forces, and to exert all pressure, strongly calling the institutions to their role as guarantors of rights.

Signatures: CISDA ETS, LARGE MOVEMENTS APS, ALTRECONOMIA, RAWA, HAMBASTAGI

 

On December 4th at 6pm the online meeting of the promoting Associations 

Contatto stampa: stampa@cisda.it

Libere di essere

Il 10 e 11 novembre si è tenuto a Roma il convegno nazionale promosso dal Coordinamento donne ANPI “Libere di essere. Donne resistenti ieri e oggi“.

Di seguito riportiamo l’intervento di Francesca Patrizi, attivista CISDA.


Il Cisda, Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane, nasce nel 1999 da un incontro tra attiviste italiane e attiviste afgane appartenenti all’associazione RAWA  (Associazione  Rivoluzionaria  delle  Donne  Afgane),  che  in  quel momento aveva già alle spalle una storia ventennale. Infatti, era stata fondata nel 1977 a Kabul da Meena, una coraggiosissima donna afgana assassinata nel 1987 per mano di islamisti, probabilmente legati al partito di Hekmatyar in combutta con il KGB sovietico.

Fin dalla sua nascita RAWA si è posta un duplice obiettivo: la liberazione della donna nella società afgana, all’interno di un processo di autodeterminazione del popolo afgano. Le compagne di RAWA hanno da sempre lottato per costruire un Afghanistan unito (al di là cioè delle differenze etniche sottolineate e strumentalizzate da chi, dall’interno o dall’esterno del paese, vuole dominare attraverso la politica del DIVIDE ET IMPERA), laico, democratico ed egualitario. Per questo motivo sia RAWA che Hambastagi (un partito politico, il Partito della Solidarietà, con il quale RAWA ha sempre condiviso l’obiettivo politico precedentemente esposto) non hanno mai sostenuto nessuna delle formazioni di governo che si sono avvicendate nel corso dei venti anni di occupazione NATO, dal 2001 fino alla restituzione del paese ai Talebani da parte degli Stati Uniti, avvenuta il 15 agosto 2021.

Da quando è stata fondata RAWA, cioè dalla fine degli anni settanta, ad oggi, il contesto afgano ha attraversato diverse vicissitudini fino ad arrivare all’Afghanistan attualmente governato dal regime dei Talebani e segnato da un inasprimento delle condizioni di vita della popolazione. È importante però sottolineare che, a dispetto di quanto ci veniva mostrato dai media mainstream e da quanto ci volesse far credere la politica internazionale, neanche durante i governi precedenti, quelli sostenuti dall’alleanza NATO, l’Afghanistan ha vissuto situazioni idilliache, ovvero contrassegnate da sviluppo economico e sociale e liberazione della donna. Come già accennato, attualmente la situazione si fa ogni giorno più drammatica. La popolazione versa in una condizione di povertà estrema, recentemente aggravata dagli eventi sismici che hanno duramente colpito lo scorso ottobre la provincia di Herat. Le compagne di RAWA sono riuscite a raggiungere le zone colpite dal terremoto per portare soccorso e hanno denunciato l’incapacità del governo nel gestire l’emergenza, ma anche il disinteresse del governo attuale e dei precedenti in una politica del territorio avente come obiettivo lo sviluppo delle aree periferiche e rurali.

Ad aggravare il contesto agisce l’instabilità politica. Il potere è conteso tra gruppi esterni ai Talebani, come per esempio i militanti dell’Isis che sta proliferando nel paese e mostra la sua presenza attraverso attentati rivolti contro la popolazione, e le diverse correnti interne ai Talebani stessi, i quali non sono un fronte compatto come ci vengono solitamente presentati. Un esempio della spaccatura interna e dell’instabilità politica può essere fornito dalla presa di posizione del governo talebano nei confronti di Hamas a seguito di quanto sta avvenendo in Palestina. Infatti, il ministro dell’Interno, Sirajuddin Haqqani, avrebbe dichiarato un appoggio formale dettato da “una simpatia basata sulla fede nei confronti dei musulmani” ma senza l’impegno di un intervento diretto, dichiarazione che avrebbe destato malumori in molti amministratori locali e dettata probabilmente dal timore delle conseguenze che un intervento diretto potrebbe comportare sul già instabile tessuto politico interno.

A fare le spese di questa drammatica situazione sono in particolare le donne. Sono noti i divieti emessi dal governo talebano nei confronti delle donne nel corso di questi due anni. A leggerli, alcuni fanno anche sorridere, come per esempio il divieto di frequentare parchi e ristoranti. Se però li mettiamo insieme emerge la volontà di estromettere la donna dagli spazi della vita pubblica per relegarla al contesto claustrofobico della vita domestica. Questo obiettivo è raggiungibile colpendo prima di tutto quei settori che favoriscono il processo di liberazione della donna, ovvero istruzione e lavoro. Alla donna sono preclusi sempre  più  settori lavorativi;  alle  ragazze  è  stato  interdetto  l’accesso  sia all’università che alla scuola oltre la sesta classe. Il fatto che la donna sia privata di una socialità al di fuori delle mura domestiche ha un impatto grave anche sulla sua salute. Non solo infatti le donne sono le maggiormente colpite da un sistema sanitario al collasso e sempre più affidato in gestione a medici e infermieri che, in quanto maschi, non possono visitarle, ma questa reclusione ingenera importanti disturbi psichici, quali depressioni e alterazioni del sonno. Fin dalla nascita le compagne di RAWA, per perseguire gli obiettivi politici che si  sono  poste  e  attraverso una  rete  di  associazioni a  loro  supporto, hanno attivato progetti nell’ambito dell’assistenza socio – sanitaria a donne e bambini. Ovviamente questi progetti sono condizionati dal contesto, sia perché è la realtà afgana che  determina le priorità sia perché l’attualità impone frequenti riorganizzazioni, come è accaduto segnatamente negli ultimi due anni. I settori di intervento, in particolare istruzione e lavoro, non sono cambiati così come non è cambiata la condizione di clandestinità nella quale RAWA ha sempre agito (dalla nascita fino ad ora), ma i progetti in corso sono stati chiusi o riformulati. Questo è avvenuto ad esempio con gli shelter, i primi a subire pressioni e ritorsioni da parte del nuovo governo; le donne ospitate sono state costrette a tornare all’interno della violenza domestica e le avvocate che le difendevano, in alcuni casi, sono state anche incarcerate. Consapevoli che la protezione  nei  confronti  delle  donne  che  subiscono  violenza  sia  un  atto necessario,  le  compagne afgane  hanno  pensato  di  organizzare delle  case  – rifugio che possano accogliere un numero esiguo di donne e dei loro bambini, avendo così meno visibilità di uno shelter. Dopo la proibizione per le ragazze di frequentare la scuola oltre la stessa classe, hanno deciso di istituire dei corsi per numeri ridotti di studentesse dai 13 ai 18 anni e per contrastare l’isolamento, che stanno subendo le donne e che ha un impatto particolarmente violento sulle ragazze, delle case-famiglia dove le ragazze, non solo possono frequentare corsi scolastici, ma possono trovare anche degli spazi di relazione. Lo stesso avviene per i progetti in ambito lavorativo, i quali, oltre ad avere lo scopo di fornire una professione e un’entrata economica per famiglie in una situazione di grave disagio sociale, servono a contrastare l’isolamento mettendo le donne nella condizione di incontrarsi. Questo avviene con il progetto “Giallo fiducia” che, avviato nel 2017, riguarda la coltivazione di zafferano nella provincia di Herat e i  corsi di sartoria, istituiti nell’anno in corso. Invece, nell’ambito sanitario, il centro aperto a Farah nel 2010 negli ultimi mesi è stato trasformato in una clinica mobile sia perché più facilmente si riesce a fuggire dalla repressione del governo sia perché in questo modo è possibile raggiungere diverse zone del paese, anche i villaggi più sperduti. Infine, si provvede alla distribuzione di pacchi alimentari, anche in questo caso cercando di muoversi nel paese il più possibile, per portare approvvigionamenti a famiglie che altrimenti non avrebbero cibo.

Il Cisda, in collaborazione con le compagne afgane, sostiene i progetti descritti ai quali si aggiungono “Vite Preziose” e “Staffetta femminista”, finalizzati alla sponsorizzazione di singole situazioni di donne uscite dal circuito della violenza domestica. Anche per il Coordinamento, come è per RAWA, il sostegno ai progetti è importante non soltanto per il valore sociale che essi rivestono ma in quanto occasione di divulgazione del pensiero politico per il quale le compagne di RAWA si battono e sul quale ci siamo incontrate. È per questo che agli inizi del 2022, a seguito di un confronto con RAWA e Hambastagi, abbiamo aperto una petizione (che si chiuderà in occasione del 25 novembre prossimo) per chiedere,  al governo italiano e a quelli europei, di non riconoscere il governo dei Talebani, di supportare le organizzazioni laiche e progressiste, di promuovere l’autodeterminazione del popolo afgano e di monitorare il rispetto dei diritti umani. Di recente abbiamo pubblicato un Dossier con lo scopo di descrivere,  toccando  diversi  temi,  la  situazione  attuale  dell’Afghanistan  in modo approfondito e documentato.

Nonostante tutto quello che si fa e che è stato descritto, soprattutto in questi ultimi due anni, è capitato di sentirsi impotenti rispetto a una situazione di estrema emergenza, in continua involuzione e all’interno della quale le compagne sono costrette a vivere nel timore di persecuzioni nei loro confronti e delle loro famiglie. In passato il Cisda, ogni anno, si recava in Afghanistan con una delegazione che era anche un’occasione per manifestare il sostegno attraverso la propria presenza; questo oggi non è possibile. E quindi, ogni volta che ne abbiamo avuto occasione, in questi due anni abbiamo domandato alle nostre compagne che cosa possiamo fare. La risposta è stata sempre la stessa: “Dite  che  esistiamo  e  che  continueremo  a  resistere  fino  a  raggiungere l’obiettivo di vivere come donne libere in un paese libero.”

Metanfetamine e oppio arricchiscono i Talebani. Nonostante i divieti

Economica, facile e veloce, la produzione di sostanze sintetiche sta radicalmente trasformando il mercato della droga. In diverse aree del mondo metanfetamine e oppioidi di sintesi vengono prodotti in piccoli laboratori clandestini e mobili, con investimenti minimi e un know how che si acquisisce in poco tempo. Un’opportunità che ha rapidamente attratto l’attenzione di uno dei principali protagonisti del traffico internazionale di droga degli ultimi 25 anni: i Talebani.

Fin dagli anni Ottanta il contrabbando di oppio ha rappresentato un’importante fonte di finanziamento per tutti i signori della guerra afghani. Ma è solo con la presa del potere da parte dei Talebani, a metà degli anni Novanta, che la coltivazione del papavero è stata non solo incentivata pubblicamente, ma in molti casi addirittura imposta.

Nel 1997 si stimava che il 96% dell’eroina prodotta nel Paese provenisse dalle zone controllate dagli “studenti coranici” e da allora la crescita è stata costante (a parte un blocco nel 2001) fino al 2022, anno in cui la coltivazione del papavero da oppio è aumentata del 32% rispetto al 2021.

Sia negli anni della prima presa del potere (1996-2001) sia durante l’occupazione militare della Nato, i Talebani si sono sempre finanziati attraverso l’imposizione di tangenti sulla coltivazione del papavero, sull’estrazione e sul trasporto dell’oppio. In anni più recenti il pagamento di mazzette è stato esteso anche alla produzione di metanfetamine, con il coinvolgimento diretto anche in alcuni dei laboratori clandestini che avevano iniziato a proliferare nel Paese, in particolare nelle aree meridionali e Sud-occidentali tornate sotto controllo talebano tra il 2006 e il 2007.


Uno dei possibili metodi di produzione dello stimolante sintetico prevede l’utilizzo dell’efedrina, attraverso un processo molto semplice, che si sviluppa in una sola fase e può essere eseguito con conoscenze chimiche basilari. Questa sostanza si può estrarre sia da medicinali (importati in gran parte illegalmente) sia a partire dalla pianta dell’efedra, che cresce spontaneamente sulle montagne afghane.

Le immagini satellitari pubblicate dalla società britannica specializzata Alcis mostrano come la località di Abdul Wadood, nel Sud-Ovest del Paese, fosse lo snodo principale di questo commercio: vi confluiva la maggior parte del raccolto e qui si trovavano anche i laboratori di efedrina più attivi. I numeri sono impressionanti: a fine novembre 2021 il bazar era stato letteralmente inondato di efedra essiccata e macinata. Secondo le stime di Alcis ne erano stati immagazzinati oltre 11mila metri cubi: una quantità tale da permettere la produzione di circa 220 tonnellate di metanfetamina.

L’ultima nota, infine, riguarda una new entry: da qualche anno, infatti, circolano in Afghanistan anche delle pasticche con proprietà stimolanti (ribattezzate “compresse K”) che contengono diverse sostanze come metanfetamine e Mdma (ecstasy) disponibili in un’ampia gamma di colori e forme. Di solito non vi si trovano oppioidi (che sono “depressivi” e agiscono in direzione “opposta” rispetto ai farmaci con effetto stimolante) ma da qualche tempo le analisi di un gran numero di campioni di queste compresse hanno evidenziato la presenza contemporanea di oppioidi e metanfetamine. Come ha evidenziato l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc) nel rapporto pubblicato ad agosto 2023, “la produzione clandestina di metanfetamine in Afghanistan dovrebbe ricevere la stessa attenzione riservata a quella di eroina”.

Ma pochi mesi dopo la presa di Kabul, apparentemente, tutto cambia. Con il bando alla raccolta dell’efedra (dicembre 2021) e il divieto alla coltivazione dell’oppio (aprile 2022) i Talebani sembrano voler dare seguito al programma del loro leader Hibatullah Akhundzada per eradicare le coltivazioni di papavero.

Ci sono però alcuni elementi da tenere in considerazione. Questi divieti arrivano dopo raccolti estremamente abbondanti delle due piante che hanno permesso di immagazzinarne quantità ingenti. Secondo le stime del ricercatore indipendente David Mansfield -che dal 1997 indaga le economie illecite dell’Afghanistan- “è probabile che attualmente nel Paese rimangano scorte significative di oppio, dato che la sua produzione ha superato le seimila tonnellate all’anno per gran parte dell’ultimo decennio”, contro le tremila degli anni Novanta. Ed è probabile che le quantità stoccate siano addirittura superiori “a causa della sistematica sotto-dichiarazione dei rendimenti”, aggiunge Mansfield. Informazioni confermate anche dalle fonti di Cisda sul terreno. I due divieti hanno inoltre avuto un impatto diretto sull’impennata del prezzo di oppio e metanfetamine a livello globale, continuando a garantire ingenti guadagni.

In secondo luogo, quello talebano non è un governo coeso: le fazioni opposte si scontrano quotidianamente a Kabul e nelle province l’applicazione dei diktat del governo centrale non è omogenea. Non sempre la popolazione rurale -per la quale la coltivazione dell’oppio è spesso l’unica fonte di sussistenza- rispetta questi divieti e spesso sono gli stessi amministratori locali a ignorare le direttive dei leader. Come riporta sempre Mansfield “alcuni comandanti talebani incaricati di scoraggiare la coltivazione del papavero da oppio e di distruggere le coltivazioni, hanno fatto il possibile per evitare di mettere in pratica l’editto”.

L’emanazione di questi divieti ha avuto conseguenze interessanti. Partiamo dal mercato delle metanfetamine: all’aumento della raccolta dell’efedra ha fatto seguito un abbassamento sia del prezzo della materia prima (da 1,8 dollari al chilo del 2018 a 0,63 del novembre 2021) sia della metanfetamina che ha raggiunto i 200 dollari al chilo contro i 300 del 2020. Il bando imposto dai Talebani ha avuto l’effetto di far risalire in pochi giorni il prezzo della droga sintetica, che a gennaio 2022 ha toccato i 570 dollari al chilo.

Un guadagno per i commercianti (che nel giro di pochi mesi hanno visto quadruplicare il valore del prodotto stoccato) e soprattutto un aumento del “gettito fiscale” per il governo di Kabul: che incassa sia sul trasporto di efedra (circa 5.700 dollari a camion, contro i mille degli anni scorsi) sia sul contrabbando di metanfetamine oltre i confini del Paese la cui “tassa” è passata da 3,75 a 7,15 dollari al chilo nel 2022. Solo quest’ultima voce, secondo le stime contenute in un report di Alcis del gennaio 2023, ha permesso ai Talebani di incassare circa 26 milioni di dollari all’anno.

Anche i prezzi dell’oppio e dell’eroina sono aumentati vertiginosamente a seguito del divieto imposto ad aprile 2022, attestandosi ai livelli più alti degli ultimi vent’anni. Secondo le stime del “World drug report 2023” dell’Unodc nel 2022 le vendite di questa sostanza hanno fruttato circa 1,4 miliardi di dollari contro i 425 milioni del 2021. Dal momento che le scorte sono abbondanti è probabile che il traffico di oppiacei resterà a livelli estremamente elevati anche nel 2023 e nel corso degli anni a venire.

La decisione di vietare la coltivazione dell’oppio e la raccolta dell’efedra non ha dunque danneggiato economicamente i Talebani. Ma c’è un altro aspetto molto importante da tenere in considerazione: come avevano già fatto nel 2001, al di là delle dichiarazioni ufficiali, una delle principali motivazioni politiche che ha ispirato questi divieti è il tentativo del governo di Kabul di accreditarsi presso la comunità internazionale. Ottenendo così un riconoscimento formale e la conseguente apertura a investimenti di capitali esteri nel Paese. È questa la vera posta in gioco e per vincerla i Talebani potrebbero essere disposti a rinunciare (o più probabilmente a limitare) gli introiti derivanti dal narcotraffico. Ma qui usciamo dal campo dei fatti ed entriamo in quello delle ipotesi.

Pubblicato su Altreconomia n. 264

Comunicato CISDA a seguito del violento terremoto che ha colpito la provincia di Herat

Sabato 7 ottobre la provincia di Herat è stata colpita da un terremoto di magnitudo 6,3, a cui sono seguite nuove violente scosse; l’ultima l’11 ottobre.
Nel resoconto fornito dal regime talebano, che non ha attivato alcuna forma di soccorso per le popolazioni colpite, nella tragedia sono morte 3000 persone e 10.000 sono rimaste ferite; 1300 case sono state totalmente o parzialmente distrutte. Il rappresentante dell’OMS ha dichiarato che la maggior parte delle vittime sono donne e bambini.
Si tratta di un bilancio molto parziale e destinato a salire; molti villaggi non sono raggiungibili a causa della mancanza di strade e per le frane che hanno chiuso le poche vie di accesso. Nell’area mancano quasi del tutto medici e strutture sanitarie.
La comunità internazionale, concentrata sulla crisi in Medio Oriente, non ha avuto occhi per questa nuova tragedia che colpisce una popolazione ridotta allo stremo da 40 anni di guerre e fondamentalismo.
Le nostre compagne di RAWA e di OPAWC, che da sempre sosteniamo, hanno attivato i loro team medici mobili, che abbiamo visto in azione anche dopo l’alluvione che aveva colpito l’est del paese, nell’agosto 2022. Di seguito la testimonianza di una di loro, che sta organizzando il lavoro:
“I nostri colleghi e le nostre colleghe sono davvero coraggiosi, e stanno lavorando senza sosta. Ci dicono che è come un fronte: non c’è cibo, non c’è acqua, non ci si ferma mai. Tantissimo lavoro e un forte stress mentale. La città di Herat è nel caos, e moltissime persone se ne sono andate; è difficile fare qualsiasi cosa, dal trovare beni necessari ai soccorsi, all’affittare automobili che raggiungano le aree colpite…
Abbiamo saputo che ci sono molte donne che non vogliono lasciare l’ospedale perché hanno perso le loro famiglie e non sanno dove andare. Siamo preoccupate per l’arrivo di nuove scosse…
Le notti sono molto fredde e servono coperte e vestiti pesanti; le vittime sono per la maggior parte i contadini più poveri e gli sfollati che non avevano null’altro che costruirsi un riparo di fortuna dove potevano. È una zona molto arida, perciò manca l’acqua… e ci sono molte donne incinte che devono partorire…
Questo è un disastro naturale, ma la situazione è così grave a causa delle disastrose politiche: i governi passati e il regime in carica non hanno fatto nulla per mettere in sicurezza le aree a rischio, non sono capaci di gestire eventi di questa portata. Ciò che è successo mostra la miseria in cui versa la nostra gente. Il regime talebano non sta facendo nulla e addirittura vuole impedire che le donne vadano a lavorare in aiuto delle popolazioni colpite. Con il governo precedente, i signori della guerra e i politici hanno intascato milioni di dollari di aiuti della comunità internazionale e costruito palazzi per se stessi, rubando i soldi destinati alla povera gente.
Il mondo ora guarda all’Ucraina e a Israele, e così l’Afghanistan è stato completamente dimenticato, anche in questa situazione. Gli ufficiali talebani arrivano nell’area con i loro velivoli e per le vittime del terremoto non ci sono ambulanze che le portino in un ospedale.
Il CISDA sta inviando fondi per finanziare i team medici di OPAWC e RAWA e chiediamo a tutti i nostri sostenitori e sostenitrici di contribuire. Non farli sentire soli, in uno dei periodi più bui della loro storia, è un nostro dovere.
Grazie per quanto ciascuno potrà fare.
Chi volesse contribuire anche con una piccola cifra può farlo con un bonifico sul conto del CISDA, specificando nell’oggetto “DONAZIONE LIBERALE – TERREMOTO AFGHANISTAN”.
BANCA POPOLARE ETICA agenzia via Scarlatti 31 – Milano
IBAN: IT74Y0501801600000011136660

Esperimenti di scuola democratica nell’Afghanistan dei Talebani

Circa 15 anni fa in una periferia di Milano avevamo lanciato una provocazione in un istituto particolarmente difficile, offrendo agli studenti un percorso sulla possibilità di riappropriarsi della scuola. Chiedemmo loro chi non vedesse l’ora di tornare a scuola, invitandoli a mettere in discussioni modello educativo e formativo. Il fulcro sarebbe stato l’incontro con dei coetanei afghani, ospiti di un’associazione locale del Coordinamento italiano a sostegno delle donne afghane (Cisda), che pur di studiare erano disposti a lottare e rischiare. Anche 15 anni fa in Afghanistan studiare era difficile, malgrado la propaganda dei governi occidentali che volevano giustificare l’occupazione e la guerra in corso camuffandola da intervento umanitario.

Un diritto all’istruzione tutto storto: sia per gli afghani resi orfani dalla guerra, costantemente a rischio, con il futuro ipotecato dall’occupazione straniera; sia per i giovani in Italia che spesso subivano la scuola come un peso imposto dagli adulti, impermeabile alla vita e al mondo. Quel progetto educativo d’avanguardia era stato sviluppato in oltre 40 anni di attività formativa da parte dell’Associazione rivoluzionaria delle donne afghane (Rawa) all’interno di campi profughi, case-famiglia, orfanotrofi, appartamenti autogestiti per sole ragazze, centri educativi aperti in quartieri strategici.

Luoghi in cui è maturata un’esperienza che ha permesso a molte persone di raggiungere un’alfabetizzazione di base ma anche, quando possibile, altissimi livelli di maturazione, comprensivi di una solida consapevolezza politica. Metodi consolidati, ancora oggi adattati, di volta in volta, alle nuove condizioni dei corsi “clandestini”, ma non solo. Perché fare scuola non significa soltanto trasmettere nozioni e solo una raffinata pedagogia della liberazione può contrastare la politica di annientamento del genere femminile attualmente in corso.

Una cattiva scuola è forse meglio di niente ma quella imposta dai Talebani ai bambini afghani oggi è davvero pessima, per maschi e femmine: il rigido controllo sugli insegnanti è mortificante e la dottrina religiosa integralista è il solo contenuto che viene impartito. L’unica nota positiva è poter uscire di casa e incontrare dei compagni.

In alternativa chi può permettersi di pagare una scuola privata, dove esiste, non esita a investire tutte le sue risorse per dare ai propri figli un’istruzione di livello adeguato. E il mercato del “privato” contribuisce a risollevare l’economia, in un contesto di stagnazione. Così, paradossalmente, i Talebani tollerano centri educativi a scopo di lucro inquadrati come business e registrati presso il ministero dell’Economia e del commercio, per far sì che il ministero dell’Educazione interferisca al minimo sulla loro gestione. I divieti imposti alle ragazze sono validi anche lì, ma fino al sesto grado, in classi separate per sesso, è possibile a volte studiare matematica, scienze, inglese, le lingue nazionali, informatica. C’è anche l’arte, ma non la musica, espressamente proibita anche in quei centri.

In queste maglie di privilegio, tra una popolazione che al 90% vive al di sotto della soglia di povertà e in preda alla fame, si insinuano esperimenti di scuola democratica: destinata prevalentemente ai più poveri, facendo risultare il pagamento di rette in realtà insostenibili per famiglie in gravi difficoltà, occultando ogni legame con donatori esteri, queste scuole selezionano personale insegnante di eccellenza. Posti di lavoro a supporto della crescita economica del territorio, gestiti secondo il modello educativo di Rawa. Accade anche in aree remote, ed è un peccato che a causa dei problemi di sicurezza non sia possibile pubblicare le foto di bambini e adulti coinvolti: i loro visi raccontano più delle parole.

Quelle che arrivano da un centro privato aperto a marzo 2023 in un’area rurale dell’interno (sperduta tra i monti, abitata da contadini e pastori) aiutano a comprendere il contesto. La priorità viene data alle bambine, con qualche classe separata per i maschi. Ogni mese i genitori vengono convocati in assemblea per discutere dei progressi dei loro figli ma anche della gestione della scuola, raccogliendo critiche e proposte: un esercizio di educazione popolare per adulti.

La popolazione locale apprezza l’iniziativa ed è pronta a sostenerla di fronte alle minacce che possono insorgere in qualsiasi momento. Questa è la garanzia di continuità di una anonima impresa commerciale femminile privata che potrebbe altrimenti venire spazzata via in qualsiasi momento. Nel mese di luglio un gruppo di studenti ha celebrato solennemente il passaggio a un successivo livello di lingua inglese, con tanto di premiazione. Nell’incontro pubblico, i ragazzi hanno raccontato l’importanza che ha per loro studiare: rielaborare a parole la propria esperienza e confrontarsi è il primo passo per prendere coscienza di sé e del mondo.

La maggior parte di loro appartiene a famiglie contadine. Mahdia, otto anni, ha raccontato che il papà era un poliziotto ed è stato ucciso durante il precedente governo, lasciando una famiglia di sei persone. La mamma ha dovuto sposare, secondo la tradizione, un fratello analfabeta del marito. Mahdia ricorda che il suo papà comprava cibo, vestiti, scarpe ed erano felici. Ora mangiare abbastanza è solo un sogno per loro.

Mujida appartiene invece a una famiglia di sette persone. Sua madre era la direttrice di una scuola e guadagnava abbastanza per mantenerli, ma quattro anni fa è morta di infarto. Hanno dovuto vendere tutto e trasferirsi alla ricerca di un’occupazione ma ora il padre lavora solo un paio di giorni alla settimana. “Certe sere papà torna a casa con le tasche vuote e vuole suicidarsi, ma poi pensa a noi figli, a cosa ci può succedere senza di lui, e si ferma. Da quando sono arrivati i Talebani la nostra vita è tragica”. Trovare le parole e lo spazio per dirlo, tra compagne solidali, celebrando un successo in un percorso di trasformazione, è fare scuola. Un modello da cui abbiamo tutto da imparare.

Pubblicato su Altreconomia n. 263

Tribunale delle donne per le donne in migrazione. La testimonianza Nahid Akbari

Il 27 maggio 2023 si è tenuta la prima seduta del Tribunale delle donne nell’ambito del progetto “Da vittime a testimoni. Un Tribunale delle donne per i diritti delle donne in migrazione”. Le donne afghane presenti all’incontro hanno raccontato la loro esperienza.

In questo video la parola a Nahid Akbari che ha raccontato i cinque anni di viaggio per arrivare in Germania dall’Afghanistan attraverso Iran, Turchia, Grecia, Albania, Croazia. Racconta le violenze che non sono risparmiate né ai minori né alle donne incinte. Nahid testimonia le drammatiche condizioni di vita nei campi profughi, dove sono negati i diritti fondamentali come l’assistenza sanitaria o la scuola