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Autore: Patrizia Fabbri

Farzana, Farah

Farzana ha 28 anni ed è nata in un villaggio della provincia di Farah (una delle più pericolose, con combattimenti continui). Apparteneva alla classe media, una grande famiglia con sei sorelle e tre fratelli.

Come altre ragazze del villaggio, sposa, senza il suo consenso, a 18 anni un uomo di 30. Nonostante lei non lo volesse sposare, con quest’uomo ha una vita felice e due figli. Farzana ricorda con gioia quei tempi con il marito che era un essere umano buono e gentile. Purtroppo non aveva lavoro ed deve emigrare in Iran per qualche tempo. Questa decisone non porta nessun guadagno alla famiglia e, alla fine, il marito si unisce ai talebani, l’unico modo per far sopravvivere la famiglia. Resta due anni con loro, combattendo in infinite battaglie ma la situazione si deteriora e diventa troppo pericolosa. Così il marito scappa dalle milizie talebane. Non sa fare altro che combattere e si arruola nell’esercito, pensando di essere meno esposto. Non è così e, durante un combattimento, dopo solo qualche mese dal suo arrivo, viene ucciso. I nuovi arrivati sono sempre mandati in prima linea.

Farzana inizia la sua vita di vedova con i parenti di lui e i suoi due figli. Si occupa di tutto in casa per la famiglia che conta 12 membri. I parenti del marito la insultano, la minacciano, la picchiano, ma lei sopporta la violenza per proteggere i suoi figli.

‘ Ogni tanto- dice Farzana- pensavo di scappare e rifugiarmi a casa dei miei genitori ma non potevo lasciare in quella famiglia i miei figli. Non sarebbero sopravvissuti senza di me. Il mio bambino più grande mi ha sempre aiutata nelle faccende domestiche e nel lavoro che dovevo fare, mi era molto vicino e avevo paura di lasciarlo lì. Ho due suocere. La peggiore è la seconda moglie del padre di mio marito. E’ lei che mi minaccia e mi insulta, è lai la fonte di tutti i problemi.’

Dopo sei anni di vedovanza, Farzana si rassegna e sposa il cognato, come prescrive la tradizione. Da lui ha un figlio che ora ha due anni. Ora vive in una stanza separata con il marito, ma tutta la casa è composta di due stanze in un grande cortile, più la cucina e il bagno comuni. Con il marito va abbastanza bene, è contenta, ma la famiglia continua a insultarla e minacciarla e le rende la vita difficile. La perseguitano e la umiliano. Per le credenze tradizionali, quando un uomo muore, la colpa della disgrazia ricade sulla moglie che viene additata come una persona cattiva che porta sfortuna e sciagura alla famiglia. Una sorta di strega. Per questo sono così feroci con lei.

‘I miei due figli più grandi sono tutto quello che ho nel mondo e loro, i parenti di mio marito , li istigano contro di me. Cercano di tagliare il legame d’amore che c’è tra madre e figli. Dicono loro continuamente che sono una donna cattiva. Nonostante mio marito sia una brava persona, subisce l’influenza dei suoi parenti e ha cominciato a insultarmi e a picchiarmi anche lui. A volte dice che sposerà un’altra donna perché io sono una vedova, insomma qualcuno che non vale niente e porta anche male.

Mio marito non ha una buona situazione finanziaria. Ha uno stipendio che a stento ci permette di arrivare alla fine del mese. I problemi nella vita stanno continuando ad aumentare. Ho paura per i miei figli, voglio che siano istruiti e ricevano un’educazione. Anch’io vorrei tanto studiare, ma è impossibile in questa casa. Sono sicura che se resteremo tutti a vivere qui, con la famiglia di mio marito, i miei figli lavoreranno per loro come schiavi e saranno analfabeti come me e mio marito.’

Aggiornamenti

Farzana crede fermamente che, se avesse i mezzi di sussistenza, sarebbe in grado di portare i suoi figli lontano da questa famiglia e dalla sua pessima influenza, e di mandarli ogni giorno a scuola. Potrebbe dargli tutto l’amore e le cure di cui hanno bisogno e che non hanno potuto avere.

Le serve un aiuto per fare questo passo. Allontanarsi da questa famiglia, trovare un lavoro e mandare a scuola i suoi figli e magari poter anche lei studiare.

Aggiornamento gennaio 2023

Farzana è molto felice con il marito e i figli. Adesso vive da sola con la sua famiglia e si è salvata dalla violenza della suocera che le rendeva la vita impossibile. Si considera molto fortunata ad avere uno sponsor. Ci racconta: “Mio marito lavora nei campi di grano ed è molto difficile coltivarlo perché non abbiamo mezzi agricoli idonei. Mio figlio lo aiuta molto. Con il denaro che ho ricevuto dalla sponsor ho comprato vestiti caldi per i miei bambini e della legna per scaldarci. Anche mio marito ha bisogno di vestiti caldi perché comincia a lavorare la mattina presto quando fa molto freddo. Così ho comprato due set di vestiti anche per lui. Io sono molto occupata con la casa e i bambini. Cerco di far vivere i miei figli e mio marito in una spazio sicuro e sano. Voglio insegnare ai miei figli che noi possiamo vivere con sincerità e amore. Anche se io vivo una vita semplice e povera, sono felice. Sono sicura che un giorno i miei figli potranno studiare e tutti i nostri problemi saranno risolti.” Manda alla sua sponsor saluti e amore.

Aggiornamento gennaio 2024

Farzana dice di sentirsi emotivamente esausta. Dice: “Io e mio marito stiamo facendo del nostro meglio, ma la siccità e l’impennata dei prezzi dei fertilizzanti hanno causato una significativa diminuzione dei raccolti, portando a perdite ancora maggiori. E d’altra parte, la pressione dei talebani per impadronirsi delle nostre terre è implacabile. Non ascoltano quando spieghiamo che non abbiamo guadagnato nulla, ci minacciano e ci mandano via se non gli diamo la loro parte. Queste pressioni hanno messo a dura prova i nervi di mio marito, che è diventato estremamente aggressivo. L’atmosfera della nostra casa, già pesante per la povertà, è diventata ancora più difficile e tesa. Mio marito, un tempo di buon cuore, non sopporta più il rumore e la giocosità dei nostri figli. Li rimprovera costantemente e ricorre persino a punizioni corporali. I miei figli sono diventati estremamente introversi. Penso sempre che ora, oltre al cibo, manchi loro anche l’amore. Mi frustra profondamente il fatto di non poter fornire loro quello che gli serve per i loro primari bisogni. Sono profondamente rattristata dalle strane leggi che i talebani hanno imposto alle donne, impedendomi di lavorare e risolvere i problemi nella vita dei miei figli. Prego con fervore dal profondo del mio cuore perché questo popolo selvaggio scompaia al più presto dalla nostra patria, in modo che tutti possano tirare un sospiro di sollievo. Qualche settimana fa, quando la mia bambina si è ammalata e si è indebolita, eravamo tutti devastati. Purtroppo non potevo permettermi di portarla dal dottore. Dopo che sono passati alcuni giorni e le sue condizioni sono peggiorate, ho preso in prestito una piccola somma di denaro e l’ho portata dal dottore. Dopo l’esame, il medico ha detto che mia figlia soffriva di una grave anemia e che se non fosse stata trattata, le sue condizioni sarebbero peggiorate ulteriormente. Ha sottolineato la necessità di una corretta alimentazione e di cibi nutrienti. Con il cuore pesante, mi sono resa conto che quando sono tornata a casa e ho affrontato mio marito, anche lui era angosciato, ma la sua frustrazione si è trasformata in brutti commenti sul dottore e se l’è presa con me. Tuttavia, sento che la mia unica fonte di felicità e fortuna è avere uno sponsor buono e compassionevole che è sempre venuto in mio aiuto nei momenti difficili e mi ha aiutato. Anche questa volta, è arrivato il suo sostegno e sono riuscita a curare mia figlia e a farla mangiare meglio”.

 

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Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.

 

 

 

 

 

The Self-Interested Dialogue with the Taliban: The Latest Western Betrayal of Afghanistan

In the creeping attempt to sway public opinion toward recognizing the Taliban government, the new buzzword is “engagement,” according to the Italian ambassador to Afghanistan, Natalia Quintavalle, or “normalization,” as per the U.S. Special Envoy for Human Rights and Afghan Women, Rina Amiri, at the Doha Forum.

This “new” term serves to conceal from the public—outraged by the treatment of the Afghan population, especially women—the real intentions of the United States and Western governments, which is to resume talks with the Taliban that had brought them back to power in 2021. These talks were officially halted because they were difficult to justify given the obvious persistence of the Taliban’s fundamentalism and the severity of their anti-democratic measures, after a 20-year war that the West claimed was fought to eliminate them.

While official recognition of the Taliban government is still not accepted, the need for dialogue is acknowledged as a pragmatic stance that recognizes this as a fact, and if we don’t engage, only other regional powers will, making economic deals. The justification for this concession lies in the immense need of the Afghan population, reduced to hunger by forty years of conflict, economic and climatic factors (cold, famine, earthquakes), and not least, the Taliban’s own policies.

This path began last spring when John Sopko, the Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction (SIGAR), publicly and indignantly stated that the humanitarian aid sent to Afghanistan was largely seized by the Taliban to run their state apparatus and support their backers, leaving only crumbs for the population. This was echoed by reports from various major international aid organizations for Afghanistan, which disappointingly stated that the improvements for the population were minimal.

Thus, the idea of a strategic shift began to take hold: the need for not just emergency aid but support for the country’s economic recovery. Maneuvers for rapprochement started, initially by giving Turkish diplomat Feridun Sinirlioğlu, the UN Special Coordinator for Afghan Affairs, the task of writing an “independent” report outlining the path to “full normalization and integration of Afghanistan into the international system.” This was followed by international meetings at various levels, and finally, on December 10-11, with direct contact between the United States and the Taliban at the Doha Forum.

The conference, after the usual recommendations and complaints about the lack of recognition of girls’ and women’s right to education and work, focused on the real issues of interest to both the Taliban and the participating states: the unfreezing of Afghan funds held by the U.S. and the possibilities for the Afghan economy’s recovery, leading to economic and trade agreements aimed at a “normalization” without “recognition” that would make Afghanistan one of the many countries worldwide that do not respect human rights as they should but with whom economic deals are made because “if the economy stops, everything stops, and the starving population suffers too.”

Italy is also fully engaged in this dialogue with the Taliban, as Ambassador Quintavalle explained clearly in an interview published by Avvenire at the end of November 2023. She stated that her role is to act as a bridge between the embassies abroad (which, like ours, do not want to show direct contact with Kabul), NGO officials, Afghan exiles, and the Taliban.

She regularly meets with Kabul representatives to engage them in concrete matters (humanitarian intervention, terrorism, economy), because it is easier to find agreement on these practical issues than on matters of principle, anti-fundamentalism, secularism, human rights, and women’s rights. Once these problematic principles are stated and contested by both sides, they are set aside to address more urgent, practical problems. On these issues, the Taliban are willing to dialogue and even agree to grant education to girls, if not for the “bad” emir who commands everything from afar and does not allow it. But perhaps they will manage to send the girls at least to religious schools, where they learn nothing but religion (as we have recently seen, even boys who attended these schools were disappointed because they realized they had nothing practical for their future) but, at least, these girls can leave their homes, poor things, relax a bit, and maybe won’t commit suicide as much as they do now.

The ambassador claims that this is what women and girls left in Afghanistan ask for. However, it seems unlikely that she has direct contact with them from afar and from her institutional position and knows what they want. It is the former political leaders who left the country who are invited to various international forums and whom she has surely often met. Think of Fazia Kofi, Rangina Hamidi, Hoda Khamosh, Mahbouba Seraj, the same ones who directly participated in the Doha Talks in 2019, who take every opportunity to advocate the need to dialogue with the Taliban and convince them to form a more “inclusive” government, meaning a government that allows them to return to leadership positions, even if secondary, they held in the old executive.

This is not what the activists living in Afghanistan want and ask for, those who fight and manifest in every possible way their opposition to the Taliban regime and its normalization. There is nothing in that ideology and government practice that can be considered acceptable even in the slightest or translated into laws that allow the life and rights of women and the Afghan population.

The ideological and practical principles of the Taliban government are incompatible with any form of compromise or inclusion, and their governance system cannot be reformed to respect human rights. Supporting the regime through dialogue only betrays the Afghan people, who need genuine support to overthrow the oppressive regime and build a society that truly respects human dignity and rights.

Benhaz e Sara

Ho 22 anni e vengo da Ghor, nella parte occidentale del paese, vicino ad Herat. All’inizio sono stata fortunata, più di tante altre. Mi sono sposata a 16 anni, lui ne aveva 20. Un uomo gentile, premuroso, ci volevamo molto bene. Non so come sia possibile che sia nato in una famiglia come quella. Siamo andati a vivere con loro. Mio marito mi ha sempre protetta, litigava spesso, soprattutto col fratello. Un anno fa, mio marito è morto.
Mi ha lasciata sola con le mie due bambine, adesso hanno 2 e 4 anni. Anzi, magari fossimo sole, noi tre. Essere vedova qui non è facile. Non ho soldi, non ho lavoro, non sono in grado di mantenerci. Una donna qui non è niente. Ci vuole un mahram, un uomo che si occupi di lei. La famiglia di mio marito ha deciso per me: devo sposare mio cognato che ha già due mogli e molti figli. Secondo la tradizione.
Così tutto sarebbe a posto. Non per me però. Io non voglio. Non mi piace, è un uomo violento, so bene come si comporta con le mogli. Così sono andata da mio padre. Ma lui non è disposto a prenderci con sé. Non riesce nemmeno a far mangiare gli altri figli, non può accollarsi anche noi. Mi ha rimandata a casa dei suoceri, devo fare come vogliono loro , è l’unica soluzione per vivere, dice. Ma qui, ogni volta che rifiuto di sposarlo, mio cognato mi picchia. Potrei essere libera, certo, scappare, andarmene. Ma dovrei dire addio alle mie figlie. Se non le posso mantenere o se mi sposo con qualcun altro devo rinunciare a loro.
Ecco, è questo il ricatto. Essere madre ti rende fragile. Quando non ce la faccio più torno da mio padre e lui mi rimanda indietro. E tutto ricomincia. Ogni tanto sto male, mi agito molto e perdo i sensi. Questa situazione non può durare ancora per molto. Sono giovane e vorrei tanto una vita tranquilla, crescere le bambine e mandarle a scuola… sì lo vorrei proprio.

Aggiornamenti

Il ricatto è chiaro: o Benhaz sposerà un cognato o perderà le figlie, non potrà vederle mai più. Il sostegno di Annalisa le permette di fare un passo importante. Finalmente il padre, ora che può mantenersi, le permette di abitare con lui insieme con le figlie. La famiglia del marito non demorde e Benhaz cerca disperatamente un lavoro.
Se dimostrerà di poterle mantenere forse la Corte le darà il permesso di tenerle con sé.
Può solo fare la cuoca o la donna di servizio, non ha istruzione, ma il padre non vuole e anche questo è un ostacolo. Non si lascia scoraggiare e può curare la sua depressione. Ora le figlie abitano con lei ma la vita a casa dei suoi genitori non è facile. Non le perdonano la sua scelta di lasciare la casa del marito. Riesce a mandare a scuola le figlie.
Questo è un grande successo. Sara, la maggiore, è molto brava e decisa a costruirsi una vita migliore. Così le abbiamo trovato uno sponsor, Enrico, che la sostiene nel suo percorso scolastico e le permette di integrare la scarsa qualità dell’istruzione con altri corsi. Benhaz è molto fiera di lei e della sorella, il loro entusiasmo per lo studio e per la vita l’aiuta a combattere i suoi problemi psicologici e a credere nel futuro.

Aggiornamento gennaio 2023

Benhaz

Benhaz manda tutto il suo amore al suo sponsor. Dice che il suo sponsor è la sua migliore amica, un’amica che è nella sua vita e che le sta accanto in ogni momento difficile. È orgogliosa della amica e spera che rimanga con lei. Ecco cosa dice:

“Mia figlia (v. Sara) è molto impegnata a studiare anche se non abbiamo nessuna speranza che le scuole possano riaprire nel prossimo futuro. Recentemente avevo deciso di mandarla a un corso di parrucchiera per poter lavorare in un salone, un mestiere che aveva delle possibilità per le ragazze, ma, sfortunatamente anche i parrucchieri sono spariti sotto le grinfie dei talebani. Prego cinque volte al giorno per il collasso del regime dei talebani. Spero che possa arrivare un buon regime che riapra al più presto le scuole per le ragazze.”

Chiede di accompagnare ancora la sua vita perché ha molto bisogno di aiuto.

Sara

Sara ringrazia tanto chi la sta sostenendo da lontano e gli manda tutto il suo affetto, non dimentica mai di pregare perché la sua vita sia felice. Dice Sara: “I talebani non potranno mai sbarrare completamente le porte all’educazione delle donne. Quando loro chiudono una porta, noi troviamo una nuova strada e continuiamo a studiare e imparare nuove cose per renderci sempre più forti e capaci e per resistere, con fermezza e con le nostre armi, all’oscurità. Oltre allo studio per potenziare le mie capacità seguo un corso di sartoria e uno di inglese. So bene che stiamo vivendo una situazione terribile e insopportabile per ogni donna ma noi facciamo del nostro meglio per andare avanti e non farci schiacciare.” Chiede di non dimenticarla e di continuate ad aiutarla come ha sempre fatto, perché per lei è indispensabile.

Aggiornamento gennaio 2024

Behnaz dice: “Io, come migliaia di altre madri afgane, assisto alla morte dei sogni delle mie figlie. Non hanno futuro, e temo che se ne stiano con le mani in mano a casa. Le mando a imparare la sartoria da uno dei nostri vicini, ma ogni giorno si scoraggiano di più. Una delle mie figlie, che aveva una grande passione per diventare avvocato, ora soffre di ansia ed emicrania a causa dell’angoscia. Anche io e la mia famiglia siamo angosciati, ma purtroppo non possiamo fare molto. Qualche tempo fa, l’ho portata in una clinica che forniva consulenza e servizi psicologici gratuiti. Tuttavia, quando ci siamo recati lì, i talebani l’avevano chiusa. I medici e i farmaci sono molto costosi e mi rattrista il fatto di non poter sempre portare mia figlia dal medico. I medici mi consigliano di cercare di renderla felice, ma la povertà e l’angoscia per aver dovuto abbandonare gli studi ci impediscono di essere felici. Questa volta, con l’aiuto della mia gentile sponsor, sono riuscita a procurarmi dei vestiti e delle medicine, e sono infinitamente grata alla mia generosa sponsor per aver aiutato me e i miei figli”.

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Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.

 

 

 

Somaya

Somaya Saifullah, 15 anni, ha un fratello e quattro sorelle. Attualmente sta studiando in una delle classi segrete di HAWCA, dice: “Prima dell’arrivo dei talebani, avevamo una vita relativamente tranquilla e modesta. Lottavamo contro la scarsità di cibo, ma ogni mattina andavo volentieri a scuola e studiavo con grande entusiasmo, sognando di diventare un giorno medico e di esaudire i desideri dei miei genitori. I miei genitori hanno fatto infiniti sacrifici per me e per gli altri loro figli, tessendo sogni separati per ognuno di noi”. E continua: “Mio padre lavorava come cuoco prima dell’arrivo di questi spietati talebani, e mia madre era instancabilmente impegnata nelle faccende domestiche delle case dei vicini per guadagnare qualcosa. Tuttavia, con l’arrivo di questi miliziani, la nostra vita pacifica è andata in frantumi. Mio padre ha perso il lavoro, e in seguito la donna per cui lavorava mia madre è rimasta disoccupata e ha dovuto licenziarla. Essendo la più grande tra le mie sorelle, sono stata e continuo ad essere testimone delle difficoltà e dei problemi vissuti dai miei genitori in ogni momento. Mio padre cerca lavoro ogni giorno, diventando sempre più disperato ogni giorno che passa. Dopo un po’, il padrone di casa è venuto e ha chiesto l’affitto, affermando che se non fosse stato pagato, avremmo dovuto lasciare la casa entro la fine della settimana. Questo è stato un altro duro colpo per i miei genitori. Hanno fatto sforzi infiniti, ma purtroppo non sono riusciti a trovare lavoro. Alla fine mia madre è andata dal suo vecchio datore di lavoro e ha chiesto un prestito. Il datore di lavoro le ha proposto di vivere gratuitamente nella loro vecchia casa e in cambio mia madre avrebbe lavorato per loro senza essere pagata. È stata la notizia più bella per mia madre e mio padre. Ci siamo trasferiti nella nostra nuova casa il prima possibile. Tuttavia, queste circostanze hanno influito molto sul benessere di mio padre, che si è ammalato gravemente. Ha bisogno di vedere un medico e ricevere cure. Spero di poter trovare un modo per guarire il mio caro padre”.

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Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.

 

Nazbo, Kapisa

Nazbo nasce in un villaggio rurale, Najrab, nella provincia di Kapisa. Ha 15 anni quando la sua famiglia la vende in matrimonio, contro la sua volontà, a un mullah di 45, con due mogli e svariati figli. È la più giovane e le toccano sempre i lavori più pesanti. Le botte arrivano, tutti i giorni, per qualsiasi sciocchezza. Non solo il marito ma anche le due mogli più vecchie fanno a gara per picchiarla e insultarla.
Passa 20 anni così, fronteggiando e sopportando violenze di ogni tipo. Ha 5 figli, dei quali il padre non si occupa mai.
4 di loro muoiono in tenera età per la malnutrizione e la mancanza di cure. Racconta Nazbo: ”I miei bambini erano piccoli e io non avevo tempo per prendermi cura adeguatamente di loro, dovevo sempre lavorare sotto la minaccia delle botte. Dovevo lavare, cucinare, pulire, fare il bucato per tutti e nessuno si prendeva cura dei miei piccoli”.

Per loro, non c’era mai abbastanza cibo.” Una sola figlia sopravvive alla famiglia, ma, a 13 anni, il padre la sposa a un uomo di 40 anni. Lo stesso destino di sua madre, la storia infinita. Rimane subito incinta, ma è troppo giovane per avere una gravidanza normale.
L’assistenza medica non esiste. Muore durante il parto, insieme al suo bambino. La vita di Nazbo precipita. Il marito e le mogli la insultano, la picchiano, la umiliano, le dicono che porta male, che è lei la responsabile delle sue sventure. In quel periodo ha seri problemi mentali, i cui effetti continuano ancora oggi. Dopo qualche anno, il marito si ammala e muore. Le mogli più anziane la sbattono fuori di casa.

Trova rifugio da alcuni parenti che la accolgono e la portano in ospedale. Le cure le fanno bene e, quando sta un po’ meglio, decide di adottare un bambino.
Restano a vivere con queste persone per parecchio tempo. Per fortuna, la sua strada, un giorno, incrocia quella di Hawca e comincia a lavorare per loro, nel Centro di Peace Building, come cuoca. Trova una stanza vicino al Centro e comincia una nuova vita con suo figlio. Purtroppo, al Centro, tutto lo staff è minacciato dai talebani.

La situazione si fa sempre più pericolosa e Hawca è costretta a cambiare zona e a trasferire il Centro in un’altra parte della città, lontano dall’abitazione di Nazbo. Spostarsi, per grandi distanze, nella città è difficile e rischioso, Nazbo deve lasciare il lavoro.
Gli anni passati a lavorare con Hawca, dove ha trovato l’affetto che non aveva mai conosciuto, sono stati i migliori della sua vita ma, adesso, è di nuovo senza lavoro. Ogni giorno è una scommessa. Di nuovo, la sua vita è difficile e le tracce del suo passato riemergono rendendola fragile.

Aggiornamenti

Entra nel progetto un anno fa. Ora non è più sola, ha accanto a sé il sostegno di Maurizio. Potrà curarsi e cercare, senza ansia, insieme ad Hawca, il lavoro di cui ha bisogno. Nazbo è stata incredibilmente felice quando ha saputo di avere uno sponsor e del denaro per vivere, lo ringrazia con tutto il cuore.

Non sapeva dove andare a vivere e Hawca le ha trovato una stanza nella casa di un insegnante della scuola di Peace Building che hanno dovuto chiudere a causa delle minacce talebane. Potrà stare lì fino a quando non avrà trovato un lavoro per pagarsi una stanza autonoma.
Sta cercando un lavoro come domestica, magari anche tra i vicini di casa. Ma il quartiere dove vive è abitato da gente molto povera che non può permettersi una domestica.
Per questo è difficile, per lei, trovare lavoro.

Dice Nazbo al suo sponsor:’ Sono molto felice, non avrei mai pensato che ci potessero essere persone, in giro per il mondo, così amorevoli come te, che si occupano degli altri e si aiutano l’un l’altro. Il tuo aiuto sta cambiando la mia vita. Grazie a te sono viva, potrò vivere e stare ancora per molto tempo con il mio bambino.’

Aggiornamento gennaio 2023

Nazboo è una donna in grave difficoltà. Ringrazia tanto il suo sponsor e spera nel suo aiuto per la sua sopravvivenza. “Al telefono la sua voce , dice Shafiqa, era fievole e oppressa. Non ha mezzi di sussistenza e il denaro del progetto serve per le medicine e le cure che deve fare. Ha problemi per procurarsi la legna e, senza aiuto, non sa come superare l’inverno.” Dice: “I miei vicini conoscono la mia situazione, e, ogni tanto, quando possono, dividono il loro cibo con noi. La loro solidarietà e la vostra è tutto quello che abbiamo.”

È importante continuare a sostenere questa donna, di cui, comunque, Hawca si sta prendendo cura.

Aggiornamento gennaio 2024

Nazbo dice: “Che cosa posso dire della mia vita dolorosamente difficile? Ogni giorno affronto pressioni strane e insolite, e a volte mi chiedo quando è stata l’ultima volta che ho riso veramente. La vita in Afghanistan era dura, ma lo è diventata ancora di più con l’arrivo dei talebani. Non vediamo alcuna speranza per condizioni migliori. Tutti fuggono e nessuno è soddisfatto di questa situazione. I sogni e le aspirazioni delle ragazze e delle donne sono stati sepolti. Nonostante l’estrema povertà, speravo che mio figlio potesse ricevere un’istruzione in modo da non soffrire come me. Ma ora ho perso la speranza per il suo futuro e temo che subirà lo stesso mio destino e le mie stesse miserie. Uno dei nostri parenti, vedendo le mie condizioni di vita, si è dispiaciuto per me e si è offerto di presentarmi al loro datore di lavoro nella speranza che potessi trovare lavoro. Fortunatamente, ha accettato e ora lavoro in un laboratorio di cucito. Anche se il reddito è molto scarso e i miei occhi sono diventati estremamente deboli, sono ancora contenta. Rimango sveglia fino a tarda notte per lavorare un po’ di più. Sono felice del mio lavoro. Questa volta, con l’aiuto del mio gentile sponsor e del mio magro stipendio, sono stata in grado di provvedere ad alcune cose essenziali per la casa e al cibo per mio figlio. Esprimo la mia più sentita gratitudine al mio gentile e solidale sponsor che è al mio fianco e ci aiuta in questa situazione. Auguro loro tutto il meglio”.

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Una storia del progetto Vite preziose.

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Nahida

Nahida ha due sorelle più piccole e un fratello di 8 anni.
Siamo una famiglia povera ma fino a un anno fa ce la facevamo a vivere decentemente. Poi c’è stato quell’attacco suicida, uno dei tanti.
Ma quel giorno c’era anche mio marito. Ha perso i piedi e le mani e non può più lavorare. Sono io a mantenere la famiglia, faccio il bucato per i vicini.
Ma Nahida è la mia preoccupazione più grande.
Ha un‘infezione alle orecchie che ha attaccato anche l’osso. Quando mio marito stava bene, ha cercato di curarla. Il medico ha detto che deve essere operata al più presto altrimenti sarà sorda per sempre e avrà problemi anche con la gola. Ma i soldi adesso non ci sono per curarla. L’unico modo per trovarli è andare a mendicare.
A volte, i problemi che ho sulle spalle mi sembrano troppi e mi manca il coraggio.

Aggiornamenti

Nahida ha sei anni quando entra nel progetto. Albalisa, che è considerata dalla famiglia una seconda mamma, si prende cura di lei fin dall’inizio e le è sempre vicina per tutti questi anni.
La bimba soffre molto d’inverno, gli inverni qui sono durissimi, gelidi e riscaldarsi costa molto. Deve anche mangiare bene per sostenersi.
Pian piano migliora le sue condizioni, si cura e riprende la scuola con molto successo. È brava anche se deve fare parecchie assenze.
Il suo problema non è di facile soluzione e va spesso in Pakistan per le cure. Ora Hawca le ha trovato un apparecchio per sentire meglio e la sua vita è molto migliorata.

Aggiornamento gennaio 2023

Nahida è sempre tanto grata alla sua sponsor per tutto l’aiuto che le hanno dato in questi anni. È sempre una ragazza forte e non smette mai di andare avanti e di imparare nuove competenze e abilità. “Nonostante i miei problemi fisici, adesso, tengo dei corsi di Dari e matematica per i bambini dei miei vicini. Naturalmente la maggior parte dei miei allievi sono ragazze e io sono felice di passare del tempo insieme a loro. Con quello che guadagno dai miei allievi mi pago i corsi di Inglese e Scienze (che organizza Hawca)” È sempre sotto trattamento regolare per i suoi problemi alle orecchie.

Manda tutto il suo amore alla sua sponsor che le sta accanto da tanto tempo e anche adesso, in questi tempi così difficili.

Aggiornamento gennaio 2024

Nahida dice di aver perso la speranza. I talebani hanno chiuso il corso che teneva per i bambini del vicinato a casa sua e hanno minacciato la prigione per chi si azzarderà a farlo. Hanno persino annunciato nella moschea che, a meno che non sia una scuola religiosa, chiunque inizi un corso privato sarà arrestato insieme a tutti gli uomini del villaggio. Di conseguenza, Nahida è stata costretta a chiudere il suo corso, ed è molto a terra. A volte le sue studentesse la contattano, piangendo e dicendo che le loro speranze si basavano su questo corso. Due sue studentesse, di circa quindici e sedici anni, si sono sposate. Quando parlano con Nahida, dicono: “Maestra, i nostri sogni sono stati sepolti per sempre”. Da un lato, Nahida ha perso tutte le sue entrate e, dall’altro, si sente immensamente dispiaciuta e preoccupata per i suoi studenti. Tutte queste preoccupazioni e stress l’hanno resa profondamente depressa e senza speranza. È rattristata dal fatto che il mondo non ascolti le voci delle donne afghane e che siano costrette a rinunciare ai loro diritti umani. Si sente angosciata e triste, ma è grata che ci siano ancora sponsor gentili come l’amica che sostiene lei e altre donne afghane. Con l’aiuto della sua amorevole sponsor, è riuscita a visitare un medico e a pagare parte dell’affitto della sua casa. Esprime profonda gratitudine per il suo aiuto e spera che verrà un giorno in cui potrà stare in piedi da sola e coprire le sue spese.

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Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.