Skip to main content

Autore: Patrizia Fabbri

Collaborazione tra ANPI e CISDA

Il Coordinamento Nazionale Donne ANPI e il Coordinamento Italiano Sostegno alle Donne Afghane (CISDA) hanno siglato una lettera che sancisce la collaborazione tra le due organizzazioni con l’intento di rendere visibile l’attualità della resistenza delle donne afghane.

Ecco il testo della lettera, con la quale si invitano le sezioni locali e provinciali dell’ANPI a farsi promotrici di eventi in collaborazione con CISDA.

 

Lettera ANPI CISDA

Sartoria

Le donne sono confinate a casa, non possono lavorare né nei servizi pubblici (ad eccezione dei ruoli che non possono essere ricoperti da uomini in campo sanitario ed educativo) né in quelli privati. Nel gennaio 2022 la totalità delle famiglie con capofamiglia donna ha dovuto far fronte a una grave situazione economica e di disagio.

Il progetto Sartoria è stato organizzato per rendere le donne autonome lavorando da casa.

Oltre a fornire un corso per apprendere il mestiere, è stata data loro la possibilità di conoscere i temi della salute e del diritto delle donne al lavoro.

Il corso è iniziato nella città di Kabul ed è stato esteso ad altre 4 province.

Il progetto prevede l’acquisto di 80 macchine da cucire e relativo materiale (stoffe e filo) che al termine del corso verranno lasciate alle donne e serviranno al sostentamento delle famiglie.

Origine del progetto

A metà agosto 2021 i talebani hanno preso il controllo di tutte le province dell’Afghanistan e hanno promulgato le loro leggi e i loro regolamenti; per questo motivo il progetto del centro di assistenza legale per le donne vittime di violenza non ha potuto continuare in assenza di un quadro giuridico per la difesa delle donne. Inoltre, la maggior parte dei casi che sono stati esaminati erano casi di percosse e, secondo le leggi e i regolamenti talebani, è un diritto dell’uomo picchiare una donna se ritiene che faccia qualcosa di sbagliato.

Quando il team che lavorava al progetto si è consultato con le autorità talebane, è stato detto loro che ora non è consentito alcun progetto per le donne e che faranno sapere se in futuro le cose cambieranno.

Per lo stesso motivo, dopo aver aspettato per due mesi e non aver avuto notizie dal governo talebano, con il consenso dell’organizzazione donatrice, il progetto è stato trasformato in un centro per implementare la competenza delle donne ed è stata creata una classe di sartoria e confezionamento abiti al quale si sono iscritte 40 donne.

Obiettivo

Il progetto di sartoria e confezione di tessuti è stato organizzato per rendere le donne indipendenti grazie a guadagni ottenuti lavorando da casa. Questo obiettivo è stato scelto considerando la situazione attuale in Afghanistan, dove il lavoro per le donne è inesistente o molto limitato.

Attività di avanzamento del progetto

Il primo passaggio necessario è stato trovare una sede sicura, in cui le donne si potessero trovare per seguire il corso. L’opzione migliore è stata quella di trovare una sarta professionista disposta a permettere alle donne di andare a casa sua per imparare a confezionare i vestiti. Poiché i talebani non consentono di portare avanti progetti per le donne, il luogo doveva essere tenuto segreto.

Fortunatamente una delle associazioni che CISDA sostiene è riuscita a trovare una sarta professionista pronta a gestire il corso con le studentesse.

L’istruttrice di sartoria era disposta ad accettare il rischio e la sfida, perché sostiene che le donne debbano essere autosufficienti e contribuiscano al reddito della famiglia. Inoltre le condizioni economiche di tutte le persone stanno peggiorando ogni giorno di più e questi corsi possono aiutare molte famiglie a sostenersi e a ottenere un reddito adeguato e dignitoso.

Dopo aver assunto la sarta e affittato la sede, sono state acquistate le attrezzature e i materiali per il centro. Il progetto non poteva coinvolgere troppe donne perché avrebbe attirato l’attenzione e così ne sono state selezionate 40. Sono quindi state acquistate 40 macchine per cucire.

Dopo questo ulteriore passaggio sono state istruite le beneficiarie del progetto in modo che la notizia non si diffondesse e arrivasse alle autorità; la notizia è stata fatta circolare con l’aiuto di anziani locali e di persone colte, e le donne disposte a partecipare sono state ammesse nel centro.

Consapevolezza

Oltre a fornire alle donne il corso di sartoria, è stata organizzato un programma che verteva su questioni sanitarie e sul diritto delle donne al lavoro. Questi programmi di sensibilizzazione sono stati condotti su basi regolari affinché le donne venissero aggiornate sui loro diritti e sulla loro salute.

Nonostante tutto…i corsi di cucito (e non solo) continuano

Qualche giorno fa abbiamo ricevuto informazioni dall’organizzazione afghana che sostiene il progetto Sartoria e volentieri lo pubblichiamo. Ricordiamo che al corso di taglio e cucito si affiancano lezioni di alfabetizzazione. Come sempre, per ragioni di sicurezza, abbiamo omesso o modificato nomi e situazioni che potrebbero aiutare a identificare le nostre valorose compagne che continuano a svolgere in Afghanistan attività a favore delle donne.

“Tutti i nostri corsi stanno procedendo senza intoppi, senza grossi problemi. Gli studenti frequentano i corsi con amore ed entusiasmo. Nonostante le circostanze estremamente difficili e impegnative che mettono ogni giorno un’enorme pressione sulle donne, i nostri devoti insegnanti si sono opposti coraggiosamente alle decisioni discriminatorie dei talebani e continuano a insegnare alle ragazze che sono state lasciate indietro. Prendiamo in considerazione tutte le precauzioni, assicurandoci che gli studenti frequentino i corsi individualmente in orari diversi e lascino le aule con discrezione, per non attirare l’attenzione. In questi giorni i talebani hanno reso le condizioni ancora più difficili per le ragazze, arrestando giovani donne e ragazze con il pretesto di aspetto o codice di abbigliamento inappropriati e tenendole in custodia per ore. Una ragazza che protestava nella provincia afghana di Kunduz ha perso la vita dopo qualche tempo sotto la custodia dei talebani. Lo spirito delle donne e delle ragazze in Afghanistan si deteriora ogni giorno e loro si sentono davvero impotenti. Il team della nostra organizzazione si sforza di avere un impatto positivo sulle ragazze afghane attraverso questi corsi. Continueremo i nostri sforzi fino all’ultimo momento per sostenere le ragazze del nostro Paese e fornire loro speranza, aspirazioni e motivazione. Siamo immensamente grati di avervi al nostro fianco”.

La comunicazione dell’organizzazione afghani è proseguita raccontandoci una triste storia emblematica della condizione nella quale sono costrette a vivere le donne e che, purtroppo, non rappresenta un caso isolato.

“Attualmente, una delle nostre studentesse di cucito è scomparsa da più di venti giorni. Abbiamo organizzato un incontro con la madre Fariba (nome di fantasia ndr) per esserle di supporto nella ricerca della figlia. Fariba ha spiegato che la figlia era andata a iscriversi al corso di cucito che si era aperto nel loro quartiere qualche giorno prima, ma purtroppo da allora non è più tornata a casa. Quando il suo fidanzato è venuto a conoscenza della situazione, si è arrabbiato moltissimo e ha chiesto l’annullamento del fidanzamento, elencando tutte le spese sostenute durante il loro fidanzamento e accusando Fariba di inganno.

Fariba ha visitato tutte le prigioni talebane, ma non ha ricevuto alcuna informazione. La madre è estremamente preoccupata perché tutti i parenti hanno tagliato i ponti con la famiglia, sostenendo che non sono più rispettabili a causa della scomparsa della figlia. Si rifiutano di avere qualsiasi contatto.

L’istruttrice di cucito e la responsabile del progetto, hanno fatto ogni sforzo per fornire supporto a Fariba, ma il suo dolore è travolgente e versa solo lacrime. Tutti speriamo che un giorno la figlia di Fariba venga ritrovata.

La situazione peggiora ogni giorno e tutte le donne e le ragazze sono terrorizzate. Tuttavia, tutte le nostre studentesse sono determinate a non arrendersi a queste difficili circostanze. Si avvicinano agli studi con entusiasmo e dicono: “Non ci sottometteremo alle cattive condizioni“.

Possono i talebani smettere di essere fondamentalisti?

Possono i talebani smettere di essere fondamentalisti? Possono restituire libertà e diritti alle donne e alle ragazze afghane?

È quello che speravano l’Onu e la comunità internazionale quando hanno organizzato, il 18-19 febbraio a Doha, il secondo Incontro dei 25 paesi più ricchi del mondo per parlare dei problemi dell’Afghanistan, come avevano già fatto un anno fa, ma questa volta invitando direttamente i talebani a parteciparvi per avviare un processo di avvicinamento e “normalizzazione” in grado di aggirare lo scoglio, per i più insormontabile, del riconoscimento del loro governo.

Nelle intenzioni, un atto di real politik, un riconoscimento di fatto, senza ufficializzarlo, così che l’opinione pubblica non se ne accorgesse – o comunque non se ne sentisse in colpa.

Questa strategia era iniziata nell’aprile 2023 con l’affidamento al Coordinatore speciale delle Nazioni Unite per l’Afghanistan Feridun Sinirlioğlu dell’incarico di fare una valutazione “indipendente” sull’andamento dei rapporti tra il mondo democratico e il governo de facto dell’Afghanistan, cioè sulle condizioni delle donne e della popolazione afghana dopo due anni di crisi economica e umanitaria conseguente al ritorno dei talebani a Kabul.

Verificato che le sanzioni economiche e politiche, messe in atto nei confronti dell’Afghanistan per premere sui talebani e costringerli ad allentare la morsa sui diritti umani delle donne, non avevano minimamente scalfito l’ideologia fondamentalista e nemmeno scosso la loro saldezza politica; che nonostante i miliardi di aiuti arrivati direttamente e indirettamente dalla cooperazione internazionale e dagli stati più ricchi la situazione per il popolo non era granché migliorata mentre i talebani avevano continuato a consolidarsi proprio grazie agli aiuti internazionali e alle buone relazioni con gli stati delle Regione, in barba alle rituali lamentele circa le violazioni delle norme internazionali, anche le Nazioni Unite avevano cominciato a parlare di cambiare strategia.

Non si pensava più di premere direttamente sui talebani per ottenere l’adeguamento del loro governo alle norme internazionali in materia di democrazia, diritti alle donne e inclusività dando loro in cambio il riconoscimento. Si decise invece di mettere in atto un avvicinamento ai talebani, un dialogo con loro, che si pensava efficace perché il confronto con l’Occidente li avrebbe persuasi della bontà della nostra democrazia e della cattiveria della loro sharia, o almeno della convenienza a diventare più malleabili.

Da questa nuova convinzione è nata l’idea di invitare anche i talebani al secondo Incontro di Doha – nonostante le proteste delle organizzazioni democratiche della società civile e delle donne, messe a tacere con il contentino di un invito a qualcuna di loro – ma scelta come? veniva chiesto – per un incontro a margine di quelli ufficiali.

E qui il colpo di scena: i talebani non solo non si sono dimostrati riconoscenti di fronte a questa possibilità di entrare finalmente nel consesso internazionale degli stati per bene ma addirittura hanno snobbato l’incontro, rifiutandosi di partecipare se non fossero stati gli unici rappresentanti del popolo afgano – niente donne, niente altre forze – cioè, in sostanza pretendendo da subito il riconoscimento… e senza nulla in cambio.

Quindi nella controversa questione, che da mesi mette a confronto l’Onu che difende la ragion di stato e le organizzazioni che difendono le donne e i diritti umani, se sia più utile alla causa della democrazia legare il riconoscimento del governo de facto alla concessioni di diritti o andare al dialogo nella speranza di convincerli gradualmente a cambiare, sono stati gli stessi talebani a risolvere il problema, non presentandosi all’incontro in quanto non interessati al dialogo se non alle loro condizioni.

Nella conferenza stampa finale Guterres ha fatto buon viso non manifestando delusione per questo rifiuto, plaudendo all’accordo tra tutti i presenti, prendendo atto che con i talebani funzionano maggiormente gli incontri bilaterali o regionali e augurandosi che in futuro si mostrino più disponibili. Un commento di prammatica, insomma, che ha nascosto il fallimento del meeting.

Ma perché i talebani non hanno accettato la mano tesa dell’Occidente, la possibilità per loro di uscire finalmente dall’isolamento? 

Innanzitutto, perché isolati non sono. Già “dialogano” con Usa e Unione europea e ricevono soldi dai paesi occidentali e sempre più alacremente fanno trattative e accordi economici con Cina, Russia, Iran, con i paesi della Regione e del Medio Oriente, stati che li hanno già, chi più chi meno, riconosciuti di fatto e senza porre difficoltà ideologiche nonostante le dichiarazioni formali.

Ma soprattutto perché, se anche così non fosse, se fossero davvero isolati, i talebani non potrebbero comunque aprire a un governo inclusivo e tanto meno trattare sui diritti delle donne, perché la loro ideologia integralista e fondamentalista non contempla il confronto delle idee e la mediazione, vogliono tutto o niente, l’applicazione integrale della loro visione della religione e della politica o il passaggio dall’altra parte, la chiusura nel loro mondo in attesa di ritornare vincitori.

Quindi è illusorio credere che dare riconoscimento e concessioni possa strappare qualche diritto per le donne. Le posizioni dei talebani non sono scalfibili perché, se non fossero così misogini, intransigenti e fondamentalisti non sarebbero talebani.

Possono fare accordi economici con chiunque e accettare condizioni, ma ciò che li distingue e caratterizza è l’intransigenza nella vita personale e nell’ideologia, l’assoluta schiavitù del corpo e della mente a quei principi religiosi “musulmani” che loro considerano l’unica verità possibile. Se diventassero inclusivi e democratici perderebbero l’identità e la ragion d’essere.

L’ostilità verso le libertà e i diritti delle donne fa parte dell’identità dei gruppi fondamentalisti, che non possono rinunciarvi perché vorrebbe dire rinunciare alla loro identità. Per questo non è fattibile trattare con i talebani, bisogna semplicemente sconfiggerli, eliminare la loro ideologia.

Il fanatismo religioso, la convinzione di essere depositari della parola di dio, è del resto ciò che compensa il popolo dei sacrifici e li persuade ad accettare la sua povertà economica e culturale: non hanno niente ma si sentono privilegiati per il loro rapporto con dio.

Perché cambi questa mentalità è necessario quindi fare una battaglia culturale, che contrasti l’ignoranza presente soprattutto nelle zone più remote e isolate e renda le persone consapevoli della propria dignità e dei propri diritti contro una schiavitù che appare inevitabile.

È ciò che fanno le attiviste di Rawa, che da anni lavorano in questo senso soprattutto con le donne, che sono le più oppresse dalla ideologia patriarcale e che stanno resistendo tutti i giorni nella speranza di creare un consenso popolare capace di ribellarsi ai talebani e rovesciarli.

Così come non si può esportare la democrazia, come pretendevano di fare gli Usa e gli alleati con l’invasione dell’Afghanistan conclusasi con il ritorno dei talebani, perché è solo il popolo che può conquistarla in maniera duratura agendo in prima persona, così adesso è solo il popolo che può decidere di porre fine a questo regime che li opprime.

Noi dobbiamo sostenere le forze democratiche all’interno del paese. A loro, alle donne, ai gruppi e alle organizzazioni che lavorano lì per creare una cultura e una resistenza che contrasti l’ideologia talebana nel profondo, deve andare il sostegno internazionale. Non solo con azioni politiche direttamente rivolte a ciò ma prima ancora con aiuti concreti alla popolazione per far fronte ai bisogni primari che la crisi umanitaria ha reso impellenti. A patto che il sostegno umanitario non passi attraverso le mani dei talebani stessi, che lo destinano a ben altri fini, ma attraverso canali indipendenti.

Coalizione euro-afghana per la democrazia e la laicità

CISDA ha deciso di rispondere all’appello delle forze laiche e democratiche  afghane – RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan) e a Hambastagi (Solidarity Party of Afghanistan) e di  creare una alleanza tra queste e le Associazioni e le Reti Europee che, pur agendo in ambiti specifici, quali ad esempio il disarmo, pace e antimilitarismo, eguaglianza di genere, questione migratoria, fuoriuscita dalla Nato, individuino terreni comuni di azione per promuovere una reale democrazia sia in Afghanistan, sia in Italia e in Europa.

Cosa ha fatto CISDA 

Dopo la presa di potere dei Talebani a metà agosto 2021, abbiamo aggregato tante piazze italiane intorno allo slogan Afghan lives matter-Ogni vita conta con flash mob ed eventi in presenza in numerose città nelle giornate dell’11 e del 25 settembre, e abbiamo avviato il processo di costruzione della Coalizione euro-afghana Stand Up With Afghan Women!  attraverso i primi incontri nazionali.
Fra settembre e dicembre 2021, CISDA ha realizzato o partecipato a circa 150 iniziative in tantissime città italiane, rispondendo alla richiesta delle organizzazioni locali e inviando le proprie attiviste in presenza o in remoto. Diverse sono anche le iniziative realizzate nelle scuole. Le richieste di partecipazione continuano ad arrivare nonostante si sia registrato un calo di attenzione dei media: segno che la società civile invece è molto vitale e determinata a portare avanti la mobilitazione.
Sul piano istituzionale, CISDA è stata invitata alle seguenti audizioni parlamentari:

  • III Commissione/Comitato Permanente per i Diritti Umani nel mondo – Camera (21/09/2021). Indagine conoscitiva sull’impegno dell’italia nella comunità internazionale per la promozione e tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni. Insieme a CISDA è stata invitata a partecipare RAWA.
  • III Commissione (Affari Esteri e Migrazioni) e IV Commissione (Difesa) – Senato della Repubblica (intervento internazionale in Afghanistan 09/11/2021). Insieme a CISDA, è stato invitato a partecipare il Prof A. Giustozzi del King’s College di Londra.

Obiettivo della Rete di Coalizione euro-afghana

L’obiettivo della rete di Coalizione è di sostenere la resistenza delle associazioni democratiche in Afghanistan agendo in modo coordinato fra tutte le organizzazioni aderenti alla Coalizione e in collaborazione con altre reti della società civile.

La Coalizione promuove campagne fondate su appelli specifici che partono dai punti della piattaforma come strumento per arrivare ai decisori politici in un mutuo sostegno alla promozione di campagne e mobilitazioni.

Cos’è la Coalizione? Piattaforma politica

Le forze laiche e democratiche afghane chiedono alla società civile occidentale due cose: sostenere l’autodeterminazione del popolo afghano poiché la democrazia non può essergli imposta dall’esterno, e creare una grande rete di sostegno alla loro resistenza in Europa. 

Scarica la Piattaforma politica completa della Coalizione per la democrazia e laicità in Eu e Afghanistan dove sono riportati nel dettaglio i principi intorno ai quali si è costituita la Coalizione.

Le campagne e le azioni promosse o sostenute dalla Coalizione euro-afghana

Essere parte attiva della rete euro-afghana di coalizione significa anche agire in un’ottica di sostegno reciproco per mandare a buon fine le campagne e le azioni promosse o adottate da Stand Up With Afghan Women! o lanciate da organizzazioni partner della nostra rete comune.

Di seguito tutte le campagne lanciate o sostenute dalla rete euro-afghana di coalizione. Vi invitiamo a consultarne i siti, a inviare la vostra adesione e a diffondere l’opportunità a tutti i vostri contatti.

Campagne attive

  • Campagna sociale multisoggetto a favore dei diritti delle donne

    Leggi tutto

  • Stop border violence

    Leggi tutto

Campagne concluse

Dossier Afghanistan

Tra le azioni promosse dalla Coalizione vi è inoltre la creazione di un Dossier di controinformazione che consiste in un Documento di partenza e un’area del sito CISDA aperta alle realtà della Coalizione e a singoli esperti che vorranno proporre un proprio contributo all’azione comune, facendone uno strumento di scrittura e azione collettiva con il contributo di tutte le realtà e di singoli.

Come aderire alla Coalizione euro-afghana

Se volete essere contattati per ulteriori informazioni, aderire direttamente alla Coalizione euro-afghana o ricevere informazioni sulle attività della Coalizione compilate il modulo sottostante:

    Denominazione organizzazione*

    Nome e Cognome referente*

    Telefono*

    Email*

    Città o area territoriale nella quale opera l'organizzazione*

    Sito web o social*

    Con l'invio di questi dati desidero (indicare il numero relativo a una delle 3 scelte sottostanti)*:

    1 - Aderire alla coalizione

    2 - Essere contattato per avere maggiori informazioni

    3 - Ricevere informazioni sulle campagne della Coalizione

    Accetto la Privacy Policy

    In base alle disponibilità di ogni organizzazione, chiediamo agli aderenti di:

    • partecipare alle assemblee nazionali di Coalizione online (in genere una convocazione ogni due/tre mesi). Le comunicazioni e i report degli incontri verranno inviati al/ai referenti che avete indicato nell’adesione. Saremo felici anche di poter proporre alle nostre compagne e ai nostri compagni afghani degli arricchimenti al testo della piattaforma politica, in un’ottica intersezionale: saranno quindi benvenuti eventuali contributi derivanti dalla vostre specificità di azione e dall’esperienza da voi maturata;
    • mobilitarvi con noi per sostenere le azioni della Coalizione;
    • aiutarci a raccogliere ulteriori adesioni sul vostro territorio;
    • utilizzare per iniziative ed eventi che possano essere collegati alla Coalizione euro-afghana il banner comune a tutta la nostra rete Stand Up With Afghan Women!  da inserire nel vostro materiale promozionale per un maggiore impatto mediatico e nei confronti dei decisori politici. L’immagine è stata realizzata da una delle giovanissime ospiti dell’orfanotrofio sostenuto da Cisda a Kabul, evacuato per questioni di sicurezza in occasione dell’avanzata talebana nell’agosto 2021. Porteremo con noi quest’immagine in tutto il percorso della Coalizione. Il banner può essere richiesto a rete@cisda.it

    Cisda si impegna a prendersi cura della rete di Coalizione continuando ad organizzare incontri nazionali online di condivisione fra tutte le realtà coinvolte. Tali incontri si estenderanno successivamente alle realtà europee ed extra-europee che vorranno aggregarsi.

    Cisda, è disponibile a partecipare (in presenza o in remoto), compatibilmente con la disponibilità delle sue attiviste che sono tutte volontarie, agli eventi che verranno organizzati localmente dalle organizzazioni aderenti per presentare la Coalizione e le campagne da essa promosse e sostenute.

    Rimani aggiornato

    Per tutte le News su #Coalizione euro-afghana clicca qui

    Continua a leggere

    Can the Taliban Stop Being Fundamentalists?

    Can the Taliban stop being fundamentalists? Can they restore freedom and rights to Afghan women and girls?

    This is what the UN and the international community hoped for when they organized the second meeting of the 25 richest countries in the world on February 18-19 in Doha to discuss Afghanistan’s issues, as they had done a year ago. However, this time they invited the Taliban directly to participate, aiming to initiate a process of rapprochement and “normalization” that could circumvent the seemingly insurmountable obstacle of recognizing their government.

    In essence, it was a realpolitik move, a de facto recognition without making it official, so that public opinion wouldn’t notice—or at least wouldn’t feel guilty.

    This strategy began in April 2023 when the UN Special Coordinator for Afghanistan, Feridun Sinirlioğlu, was tasked with conducting an “independent” assessment of the relations between the democratic world and the de facto government of Afghanistan. This assessment focused on the conditions of women and the Afghan population after two years of economic and humanitarian crises following the Taliban’s return to Kabul.

    It was verified that economic and political sanctions imposed on Afghanistan to pressure the Taliban and force them to ease their grip on women’s human rights had not shaken their fundamentalist ideology or their political solidity. Despite billions in aid received directly and indirectly from international cooperation and the richest states, the situation for the people had not significantly improved, while the Taliban had continued to consolidate thanks to international aid and good relations with regional states, ignoring the ritual complaints about international law violations. Even the United Nations began discussing a strategy shift.

    No longer was the idea to pressure the Taliban directly to conform their government to international norms of democracy, women’s rights, and inclusivity in exchange for recognition. Instead, a rapprochement strategy was devised, engaging in dialogue with the Taliban. It was thought that engagement with the West might persuade them of the benefits of democracy and the drawbacks of their sharia, or at least show them the advantage of becoming more flexible.

    From this new conviction arose the idea of inviting the Taliban to the second Doha meeting—despite protests from civil society and women’s democratic organizations, who were silenced with a token invitation to a few of them—but how were they chosen? it was asked—for a side meeting apart from the official ones.

    Here comes the twist: the Taliban not only did not show gratitude for this opportunity to finally join the international community of respectable states but outright snubbed the meeting, refusing to participate unless they were the sole representatives of the Afghan people—no women, no other forces—in essence demanding immediate recognition… and without offering anything in return.

    Thus, in the controversial issue that has been debated for months between the UN, which defends state interests, and organizations that defend women and human rights—whether it’s more beneficial to democracy to tie recognition of the de facto government to concessions of rights or to engage in dialogue in hopes of gradually convincing them to change—the Taliban themselves resolved the problem by not showing up, uninterested in dialogue unless on their terms.

    In the final press conference, Guterres put on a brave face, not showing disappointment at the refusal, applauding the agreement among all present, acknowledging that bilateral or regional meetings work better with the Taliban, and hoping they would be more open in the future. A perfunctory comment that masked the meeting’s failure.

    But why didn’t the Taliban accept the West’s extended hand, the chance to finally emerge from isolation?

    Firstly, because they are not isolated. They already “dialogue” with the US and the European Union and receive money from Western countries. Increasingly, they make economic deals and agreements with China, Russia, Iran, and regional and Middle Eastern countries, which have already, to varying degrees, recognized them de facto without ideological difficulties despite formal statements.

    But most importantly, even if they were genuinely isolated, the Taliban could not open to an inclusive government or negotiate women’s rights because their integralist and fundamentalist ideology does not allow for the exchange of ideas and mediation. They want all or nothing—the complete application of their religious and political vision or complete isolation, awaiting a victorious return.

    Therefore, it is illusory to believe that granting recognition and concessions could secure any rights for women. The Taliban’s positions are unshakeable because if they were not misogynistic, uncompromising, and fundamentalist, they would not be the Taliban.

    They can make economic agreements with anyone and accept conditions, but what distinguishes and characterizes them is their intransigence in personal life and ideology, the absolute enslavement of body and mind to those “Muslim” religious principles they consider the only possible truth. If they became inclusive and democratic, they would lose their identity and reason for being.

    Hostility towards women’s freedoms and rights is part of the identity of fundamentalist groups, which cannot give it up without losing their identity. This is why it is not feasible to negotiate with the Taliban; they must simply be defeated, and their ideology eradicated.

    Religious fanaticism, the conviction of being the custodians of God’s word, compensates the people for their sacrifices and persuades them to accept their economic and cultural poverty: they have nothing but feel privileged for their relationship with God.

    For this mentality to change, a cultural battle is necessary, one that combats the ignorance prevalent especially in the most remote and isolated areas and makes people aware of their dignity and rights against an apparently inevitable slavery.

    This is what Rawa activists do, working for years mainly with women, who are the most oppressed by patriarchal ideology, resisting every day in the hope of creating popular consensus capable of rebelling against the Taliban and overthrowing them.

    Just as democracy cannot be exported—as the US and allies pretended to do with the invasion of Afghanistan that ended with the Taliban’s return—because only the people can conquer it enduringly by acting in person, now it is only the people who can decide to end this oppressive regime.

    We must support democratic forces within the country. International support should go to them, to women, to groups and organizations working there to create a culture and resistance that deeply contrasts the Taliban ideology. This support should not only be in political actions directly aimed at this but, first and foremost, with concrete aid to the population to meet the primary needs made urgent by the humanitarian crisis. As long as humanitarian support does not go through the Taliban’s hands, who would divert it for other purposes, but through independent channels.