Sorelle senza confini – Mama Mercy
30 Ottobre 2024
Mi chiamo Shogofa, ho 18 anni e sono di Mazar-e-Sharif.
Mia madre è morta presto, non la ricordo. Sono cresciuta con due matrigne, le mogli di Rozi Bay, mio padre. Un lavoro vero non l’ha mai trovato. Il problema è mangiare tutti, tutti i giorni, almeno una volta. Non abbiamo una casa, abbiamo vissuto sempre sotto una tenda. Noi e i galli. Prima devono mangiare loro. Sono la nostra fonte di sopravvivenza. Dicono che i galli cantino. A me sembra che urlino. Sono la passione di Rozi Bay e il suo “lavoro”. Belli, superbi, rabbiosi.
Così devono essere per combattere. Penso che mio padre e gli altri uomini gli somiglino. Quasi tutti. Anwar no, è diverso. I combattimenti si fanno davanti alla nostra “casa”. Il giorno delle scommesse mio padre è nervoso. Gli uomini si riuniscono tutti insieme, urlano, incitano. I galli saltano, colpiscono, le penne volano. O uccidono o muoiono. Qualche volta sono feriti e dobbiamo curarli. Il sangue dei galli schizza, rimane nella polvere, l’odore c’è sempre.
C’è confusione. E allora io posso parlare con Anwar, dietro la “casa”. Anche noi donne dobbiamo fare qualcosa. Mio padre ci manda a mendicare per le strade. Le mie madri lo fanno da tempo, sono abituate.
A me non piace, lo odio. Sembra facile. Le madri dicono che bisogna richiamare l’attenzione, lamentarsi. Io non ci riesco, mi vergogno. Dicono anche che ogni tanto quando un uomo si ferma si deve sollevare il burka, farsi vedere. Se ti vede i soldi te li da, tu sei bella.
Ma gli uomini mi fanno paura, dicono cose brutte, pronti a beccare come i galli. Anche Anwar è arrivato con i galli, ne ha venduto uno a mio padre. Anwar è come una porta, aperta verso un’altra vita.
Perché un’altra vita può esserci. Senza galli, senza rabbia, senza fame. Lui non vuole che io vada a mendicare. Lui lavorerà, ci sposeremo. Sarà diverso. È gentile e ha il sorriso più bello del mondo. Ma mio padre non vuole. Ha dei progetti su di me, ne parla con gli uomini, tratta. Anwar dice che non si può più aspettare che mi venda, come i galli. Abbiamo deciso il giorno, il combattimento più importante del mese.
Nessuno badava a noi, ce ne siamo andati. Il burka, un fagotto, un po’ di pane e il sorriso di Anwar vicino. Siamo arrivati a Kabul. Siamo andati subito al Tribunale, per sposarci. Stava per finire tutto bene quando sono arrivati loro dal fondo del corridoio, correvano, mio padre e la matrigna più vecchia. Hanno cominciato a picchiarmi, sembravano impazziti. Dovevo ubbidire e tornare subito a casa, doveva sposarmi con chi diceva lui. Anwar non ha soldi da pagare per me.
Rozi gridava come un pazzo, agitava le braccia. Il giudice era calmo, un’altra specie di uomo. Li ha fermati. Mi ha chiesto cosa volevo fare. Ho detto che non sarei mai tornata a casa. Mai. Volevo sposare Anwar e basta. Lui li ha mandati via. Il giudice mi ha mandato allo shelter di Hawca. Aspetto la nuova vita ma non abbiamo niente per cominciare.
Vorrei sposarmi e anche aiutare la mia famiglia, che le madri e le mie sorelle non fossero più costrette a mendicare, a umiliarsi, a vivere del sangue dei galli. Aspetto.
Shogofa rimane più di due anni nella Casa Protetta, sognando il suo amore e il giorno in cui potrà sposarlo. La famiglia la minaccia e minaccia anche il ragazzo. Sono scappati insieme e questo è un grave reato in Afghanistan. È la Corte che deve decidere se lo può sposare.
Cristina e Roberto la sostengono e lei continua a sperare. Finalmente la Corte dà il sospirato permesso e, nonostante le minacce del padre che assicura che li ucciderà entrambi, i due ragazzi, con il coraggio dell’amore, si sposano e vanno a vivere in un luogo nascosto e protetto con l’aiuto di Hawca. Il marito trova un lavoro e vivono felici insieme con due figli. La ragazza esce dal progetto per lasciare, come lei stessa chiede, il posto a chi ha più bisogno di lei.
Due anni fa, Shogofa chiede di nuovo aiuto ad Hawca. E lo trova con Rita e Luigi. È in gravi difficoltà economiche. Sono costretti a spostarsi spesso perché il padre non ha smesso di cercarli. Qualche mese fa sono scappati da un villaggio, vicino a Mazar-e-Sharif, che era diventato troppo pericoloso. In queste condizioni è difficile mantenersi un lavoro e Shogofa è di nuovo con noi.
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Una storia del progetto Vite preziose.
La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.
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